lunedì 2 gennaio 2012

Ogni tanto bella televisione

Da quando con la coda dell'orecchio avevo sentito Fazio che menzionava una puntata speciale dedicata alla montagna e al più grande di tutti i tempi, aspettavo con trepidazione questa puntata.
Che Tempo che fa, 1 gennaio 2012
Poco da dire, meglio vedere la puntata. Personalmente ho provato invidia quando Paolo Rumiz ha parlato del suo primo incontro con Bonatti. E devo dire che ho capito di essere sulla strada giusta quando sia Rosanna Podestà che Messner parlvano della montagna, esprimendo concetti più sul come viverla che sul come vincerla, su una certa filosofia che regola le cose, e nella quale l'uomo può solo tentare di incastrarsi.
Ce ne fossero di più di puntate del genere (magari non solo come ricordo di qualcuno!).

Per quanto riguarda la morte del grande, rimando a un mio articolo apparso sul Notiziario Novembre Dicembre 2011 del Cai di Carpi (mi hanno gentilmente invitato a scriverlo, ma non è stato per nulla difficile), che qui sotto ripropongo. Ma prima, una bellissima risposta data da Rossana Podestà a un'intervistatore dopo la morte di Bonatti:
Intervistatore: «Qual è il regalo che conserva di lui?»
Rossana:«Nessun oggetto: Walter non era uomo da entrare in un negozio a comprarmi qualcosa. Ci regalavamo la nostra vita l’uno con l’altro: è questo il regalo più bello che ci siamo fatti».

E ora il mio articolo.
In ricordo del Mito
La mia carriera alpinistica è iniziata tardi, almeno secondo me (lui era già sul K2), ed è naturale in una propria passione cercare delle orme da seguire, imitare, o meglio invidiare viste le mie (ragionevolmente) limitate possibilità.
E col passare degli anni ho trovato questa persona in Walter Bonatti. Lui aveva tutto, tecnica, tenacia, filosofia di vita, forza, testa. Certo, una persona la conosci davvero solo dopo molti anni, e se questi sono passati a contatto diretto, non certo leggendo solo i suoi libri, le sue storie, o ascoltando e leggendo le sue interviste. Ma più passava il tempo e più questo mi sembrava un grande, il migliore. Ultimo alpinista del vecchio stampo, quelli che per intendersi percorrevano l’avvicinamento in bicicletta, usavano il materiale che avevano (forgiato dall’amico che faceva il fabbro magari) o che si costruivano (erano semplicemente senza soldi), si spingevano verso limiti in cui potevano contare solo sulle proprie forze e volontà, e non come oggi su materiali portentosi, telefonini e elicotteri di soccorso.
Mi appassionai alla storia del K2, aveva allora 24 anni, la sopravvivenza a un bivacco senza tenda a più di 8000 metri, messo in trappola da quelli che dovevano essere i suoi compagni di avventura (un tradimento che chi si lega in cordata può immaginare cosa voglia dire), una meticolosa e proterva negazione dei fatti realmente accaduti al ritorno a casa, anni di combattimento legale e morale per salvaguardare la propria dignità, senza mai mollare, finché finalmente 50 anni dopo gli viene data ufficialmente ragione. 50 anni dopo. 50 anni di lotte. 50 anni in cui resta coerente nel modo di comportarsi e relazionarsi col pubblico e le istituzioni.
Compresi la decisione di passare alle solitarie dopo il disastro del Bianco, nel quale impotente vide morire compagni di cordata storici, e altri trovati nel mezzo della bufera, riportando gli altri superstiti in rifugio, senza aiuto alcuno, se non la sua tremenda forza di volontà; aveva allora 31 anni!
Grandi disgrazie, oltre a quelle di una vita normale, che intaccano una persona nel profondo, e con le quali un uomo normale si sarebbe abbattuto. E invece no: rimbocchiamoci le maniche, cambiamo un po’ il modo di fare, ma avanti.
La decisione di abbandonare l’alpinismo quando era ancora giovane, appena rientrato trionfalmente dalla prima solitaria invernale alla Nord del Cervino, per darsi all’esplorazione di posti sconosciuti, con mezzi azzardati, per il puro gusto di farlo: 20 anni passati praticamente su un altro pianeta.
Un grande, è sempre riuscito a voltar pagina, e in quella nuova ha scritto sempre un racconto migliore. Fino alle ultime interviste, dove dichiarava:
«Non mi sento di avere 80 anni se penso all’intensità con la quale ho vissuto, credo di averne 200, per il resto mi sento come un quarantenne»
Questa è una persona che valeva la pena incontrare nella vita, magari per i monti, scambiare quattro chiacchiere, ma non come si farebbe con un borioso divo del cinema o di un irruento gruppo musicale, no. Parlare con un maestro di vita vissuta. Peccato che questo non potrà più accadere. In ogni caso, grazie di contribuire (e non solo di aver contribuito) all’ardere della mia passione alpinistica, di questo te ne sarò, certo come tanti altri, sempre riconoscente.
(Per chi lo conoscesse appena, leggetene).

Nessun commento:

Posta un commento