domenica 21 ottobre 2012

Dreaming the snow: la si guarda dal Baldo (divertendosi)


Oggi un giretto per far gamba. No, un giro di esplorazione. No, un giro di divertimento per la ferrata. In realtà parto senza nemmeno sapere come e perché: e infatti arrivato al parcheggio in perfetto orario per iniziare la salita e vedere l'alba dalla cresta del Baldo nei dintorni del Chierego, mi giro e dormo in macchina. Tira vento e non ho voglia di prendere freddo, oppure ho paura dell'orso.
Alle 6e30 la sveglia suona, mi vesto al volo e parto: metto la frontale, ma non ce ne è più bisogno ormai. Salgo a spron battuto, ho le ore contate oggi, e nonostante la falsa partenza vorrei fare un po' di km. Le cime innevate (ah!) del Gruppo dell'Adamello prendono colore mentre salgo, e quando arrivo su la speranza del calore del sole muore sotto la sfrontatezza di un vento freddo.
Scalzo dalla cima di Costabella un nutrito gregge (o mandria? O branco?) di camosci, una ventina, e mi fermo a mangiar qualcosa, che lo stomaco già chiama. Dai, son passate sol due ore, proseguiamo verso nord e vediamo dove arriviamo, così poi scendo verso Brenzone e mi raccordo per Prada. Nello zaino ho imbraco e set da ferrata, si sa mai mi venga voglia di provare la ferrata delle Taccole.
Nel veronese e vicentino nubi basse creano l'effetto alta quota nonostante sono a soli 2000m. Le agogniate prime nevicate hanno spruzzato il Brenta: speriamo solo che ne venga giù tanta e presto, che le picche e i ramponi reclamo aria aperta!
Risali Col Santo e arrivo al Passo del Camino. Un camoscio si sdraia sulla Vetta delle Buse, guardandomi, come per dire “cacchio vuoi, sono io a casa mia, faccio quello che mi pare!”, che vuoi, non ho detto nulla io. Bene, adesso che proseguo verso il Telegrafo (bella questa parte di sentiero) dovrei trovare l'indicazione per la ferrata. Passo lo stemma in ferro immenso del CAI di Verona, e poi arrivo alla targhetta della ferrata. Ok, ma dov'è?
Scendi un po', ma non vedo nulla, vado avanti ma son troppo avanti, torna indietro. Boh, saranno tracce quelle? Lascio giù i bastoncini e provo a vedere. Esitante ogni metro che scendo questo ghiaione, poi altri bolli rossi e infine l'attacco: ok. Stavolta calzo imbraco e set, essendo da solo non posso fare come facciam di solito con Ricky e Marco: anche se poi alla fine i moschettoni resteranno sempre attaccati all'anello dell'imbraco, lasciandomi salire in velocità.
Caminonefessurone e poi altra fessura: ferrata corta, una mezz'oretta, ma fisicamente intensa, tutta verticale, con staffe abbastanza lontane tra loro (anche per i 180cm che mi porto appresso): mani ghiacciate (tutta all'ombra) e poi son fuori. Via, torna indietro verso il Telegrafo. Presi i bastoncini lasciati alla targhetta della ferrata decido che adesso tutta cresta: non posso spingermi fino a Cima Valdritta, non voglio rischiare di far tardi, quindi al Rifugio Burana mangerò qualcosa e poi giù.
Le gambe sentono la salita e la ferrata, e sulla cresta si rallegrano nel sapere che dopo questa, altre salite non ce ne saranno. Cima Sascaga, la prima cima raggiunta dal gruppo completo Andrea-Marco-Riccardo: tanti anni son passati, e tanto ci siamo evoluti, ma per fortuna, giriamo ancora insieme. Poi raggiungo il Telegrafo, in maglietta nonostante il vento, perché poi il sole scalda a bestia. Una bella serie di foto, mi pare di scorgere la sud della Marmolada laggiù, e poi giù al riparo dal vento.
Al rifugio esploro il locale invernale (per un progetto che abbiamo in mente) e mi rifocillo. Quando sono lì quasi pronto a partire, arriva una donna che mi chiede indicazioni per la ferrata. Tra me e me penso “oh però, sale da sola, in ottobre a cercare la ferrata, intraprendete e avventurosa! Potrebbe far per me!”, poi mentre le spiego tutto il percorso per arrivare all'attacco, arriva anche un uomo (il moroso, mah) che però decide di aspettarla lì.
Scendiamo per questo vallone che non conosco, verso il Lago alla ricerca dei colori autunnali. Incontro altri due tizi che mi chiedono della ferrata (“ma oggi va tutti la?! Fortuna che l'ho appena percorsa e quindi so dove sia”), e di nuovo altra spiegazione. Oggi proprio non ho voglia di correre e fracassarmi le ginocchia, dopo la corsa per salire a Costabella, l'adrenalinica e forzuta ferrata, keep calm.
Accidenti quanta roccia vergine, compatta, invitante.. Mi avvicino a una parete, ma evito di metterci la mano a contatto per non prendere quella scossa di voglia di salire..brrrrrrrrrrr! Entro invece pian piano in un bosco colorato di giallo e arancione, e la mia mente vola all'Appennino: poteva essere un'altra meta di oggi, ma temevo le nubi basse. Passo vicino a un pino sempreverde che si contrappone a un faggio oggi giallo: meglio restare sempre uguali o cambiare con ciclicità? Momento filosofico..
Potrei deviare per il sentiero natura, ma al Rifugio c'era un cartello che lo dava chiuso, e per oggi la mia dose di pericolo l'ho già presa. E la discesa è sempre una palla. Trovo un cartello inaspettato che mi indica un bivio per Prada: bene, prendiamolo! Ma poi dopo poco finisce sulla strada, e mi aspetta quasi un'ora di asfalto. E va beh, ho voluto la bicicletta, e mo pedalo.
E sotto un sole cocente ritorno alla mia auto, che ha ancora il sedile in posizione coricata: mi sdraierei volentieri al sole per un pisolino, ma oggi non c'è il tempo: prossima volta, magari con la neve complice!

Qui altre foto.
Qui i tempi.

sabato 20 ottobre 2012

Una Nicolata: Palestra del Babo

Oggi nasce un termine che per lungo periodo era rimasto nascosto, non volendo uscire allo scoperto, nella speranza che magari non si dovesse più usare, o che il suo utilizzo diventasse talmente sporadico e sparpagliato su più persone da renderlo inutile. E invece eccolo qui, “la Nicolata”: vediamo come nasce.
Ci ritroviamo solo in tre per andare a provare una nuova falesia, anche in preparazione al Riprendiamoci di Vista organizzato dal CAI di Carpi. Sotto il Forte di San Marco (che domina la bassa Val d’Adige, all’altezza di Tessari) si ergono pareti calcaree che hanno spinto qualcuno a chiodare vari settori. Data la nostra scarsezza, non possiamo far altro che cercare di arrampicare sul settore A, quello più a Nord.
Trovare il parcheggio è già dura. La guida non è proprio chiara, entriamo nel paese citato, via su per quella via che sembra giusta, avanti un po’ ALT! Divieto d’accesso. Dietrofront. Sali per un'altra via, ma dove cacchio va? Torna giù, prova qui. Prova la. Chiedi a un muratore che parla solo in dialetto, prova a seguire le sue indicazioni (“ma voleva dire piazza o paese?”), chiedi ad altri due muratori, “dalla casa rossa sali su”. Vai, chiediamo a un’anziana, “su di la”, ma è dove siamo stati al primo tentativo. Sfondiamo il divieto d’accesso e pare il parcheggio giusto.
Su gli zaini e via. Scollina sul crinale da dove ammiriamo la Val d’Adige, l’A22 e la ferrovia, wuau. E adesso? Sinistra o destra? Ma andiamo verso nord, il nostro è il settore più a nord. Si ma dove. Siamo già sul crinale, non mi pare si possa scendere qui. Va beh, andiamo. Ometti, ok. Stiamo più bassi del crinale su tracce di sentiero, perché non possiam mica arrampicare sul cielo. Poi diventa una cengia esposta, mah. Poi la cengia diventa attrezzata. Sopra di noi nessuna traccia di spit, sotto nemmeno. Mah. Vai avanti, la cengia da attrezzata diventa anche bella esposta, va beh. Mi pare un po’ strano come avvicinamento.
La cengia finisce, Nicola prova a scendere a esplorare, ma se già da su non vedevamo spit, non penso che adesso possa trovarne. Marco torna indietro per il sentiero che rimane sul crinale. Ma secondo me c’è da andare avanti. Proviamo a vedere: la cengia prosegue, senza tratti attrezzati, pur sempre un po’ esposta. Cammina cammina, Nicola mi segue, io avanzo, finché non gli urlo il nome di una via, “Giuseppina?!”. “Sì, va bene, vado a chiamare Marco!”
Mentre Nicola va a cercare Marco, vado ancora più avanti del settore A, scoprendo una bellissima formazione rocciosa. Uno strapiombo giallo grossissimo a forma sferica, con sotto un grottone (beh, più una rientranza) gigantesca, dove l’odore di stalla e le numerose cagate, fa capire che sia consueto riparo di bestie ungulate. Ma che bella ma che bella. Proseguo la cengia, mi sa che si possa tornare sul crinale anche di qui.
Oh, arrivano gli altri due, dopo ore di avvicinamento, invece che poche decine di minuti, ci si mette l’imbraco e si sale. Deve essere una falesia poco frequentata, la roccia è bella pulita, e ci divertiamo su questi monotiri gradati alla base IV, IV+, V. Certo che il V di Allegria è bello tosto..
Arriva l’ora di andarsene, dopo 3-4 monotiri a testa (uno giù fa sicura a due che salgono), decidiamo di uscire facendo una via intera. C’è un bel caldo, e si arrampica a petto nudo, una goduria. E la birra al bar sarà un’altra super goduria con questo sole ottobrino che scalda abbuco!
E veniamo all’etimologia della parola, “Nicolata”: partire all’esplorazione di un posto nuovo (esplorazione finta, perché le descrizioni ci sono, quindi si dovrebbe trovare tutto bene; posto nuovo solo per chi parte, in realtà ben famoso a molti) e metterci il quadruplo del tempo per trovarlo, partendo da un girovagare in auto (eventualmente con coordinate gps caricate sul dispositivo, errate) e continuando a piedi, ritrovandosi invece che su un comodo sentiero, su qualcosa di croccante (una cengia esposta, una calata in doppia), per poi fermarsi ogni tre per due cercando qualcosa che è chiaro che non ci sia.

Qui altre foto, per gentile concessione di Nicola.

domenica 14 ottobre 2012

Accarezzando il granitoide: Rocca Sbarua atto secondo

Dopo la bella giornata di ieri, oggi si replica. Cerchiamo di anticipare l’altro corso presente al rifugio (in numero triplo rispetto al nostro) per non imbottigliarci sulle vie, e così avvolti da una certa foschia ci incamminiamo e alle 8 siamo già sotto l’attacco della Cinquetti. Anche oggi faccio cordata con Cristian, e sulla nostra stessa via abbiamo LucaGiorgio. Oggi dovrebbe essere più facile di ieri, anche se un po’ più lunga.
Si parte ad arrampicare ancora dentro al bosco, con passaggio sotto i rami per uscirne. La roccia è comunque bella asciutta nonostante l’umidità, e la temperatura è ben più che accettabile! Si prevede un’altra fantastica giornata. Il contatto con questo tipo di roccia è stato amore a primo..appiglio e appoggio, speriamo oggi non mi tradisca!
Dalla prima sosta iniziamo già ad avere dubbi su dove andare, qui ci sono troppi spit che partono dappertutto.. Punto a destra e ce la caviamo. Ma cosa vedo davanti a me, che bel tiro mi sa che mi aspetta! Recupero Cristian, osservo Davide sulla Rivero con sfondo di foschia (di sole oggi non ne vedremo mica, ma siam già contenti di non beccare pioggia!).
Roccia gialla, già perché si sale lasciando uno strapiombo a mezzo boomerang sulla sinistra: un po’ di dulfer, un po’ di spaccata, un po’ di placca, un po’ di traverso, e un'altra placca, per finire in sosta sotto un tetto da tonnellate di granito. Un tiro fantastico e vario. Però..adesso dove si va? In realtà crediamo di essere più in alto di quello in cui siamo..
Va affrontato questo tiro, che prosegue sotto il boomerang e gli strapiombi, ma azzo quanto è duro! Sarà che leggo male, resto troppo in fessura e mi ci trovo imprigionato. Dovrei passare a destra, ma sono girato davvero male qui in questa nicchietta, me tocca azzerare. Fortuna che doveva essere più facile di ieri!
Altre persone salgono, dovremmo iniziare a vedere la famosa cengia da attraversare, ma.. Riparto aggirando l’albero sulla sinistra, in pratica ci siamo su una mega cengia che traversa verso destra, ma non siamo convinti. E infatti gira e briga, chiedi ad altri che stanno facendo una via sulla nostra destra, “la cengia è più su”. Allora torna indietro sul traverso appena fatto e attacca quello che dovrebbe essere il tiro che ci porta sulla cengia. Insomma, si perde un po’ di tempo ma ce la famo.
Visto il tempo perso decido di concatenare, l’avessi mai fatto: il traverso per arrivare sotto all’ultimo tiro sarà anche facile, ma è tutto bello esposto, su una cengia dove ci sta mezzo piede o la punta, e io devo tirarmi la corda come se fosse un tiro alla fune, che faticaccia!
Ma adesso ci siamo, recupero Cristian, e mi lancio per l’ultimo tiro. Ma niente a che vedere col quarto (che maledetto lui, mi ha davvero messo in soggezione!). Un po’ di placchetta, spaccata e dulferino, e son fuori. Ma è un tiro particolare, perché parti da un terrazzino fatto in modo da sembrare di essere in falesia a terra, poi però sotto di te hai un vuoto di cento metri. E la foschia di oggi che fa un effetto “vedo non vedo” rende l’atmosfera magica.
Ci ritroviamo io, Cristian, Luca e Giorgio fuori dalla via. Dopo un book fotografico a una corsista del CAI di Monza (che foto che le ho fatto, spettacolo, che invidia) scendiamo per sentiero per tornare al rifugio, che l’ora fissata del ricongiungimento è già passata! E dopo aver sbavato sui piatti di polenta degli altri, e bevuto la nostra sana birra, si aspetta la discesa degli altri, per infine abbandonare questo bellissimo luogo e tornare verso il piattume e una pessima settimana lavorativa.
Qui altre foto.

sabato 13 ottobre 2012

Accarezzando il granitoide: Rocca Sbarua atto primo

Ah era ora! Si arrampica su granito (o simile)! È la prima volta per me.. L’occasione è l’uscita del Corso AR1 del CAI di Carpi, destinazione Rocca Sbarua con pernottamento al Rifugio Melano, adesso Casa Canada.
Partiamo belli contenti dal solito parcheggio di ritrovo, ma il viaggio intristisce: la nebbia che incontriamo non rende gioiosi gli animi, e siamo pur sempre con le dita incrociate per il meteo. Già, perché proprio lui potrebbe guastarci la festa, ma per fortuna andrà più che bene! Non patiremo freddo, e vedremo anche qualche sprazzo di sole, che mi consentirà di starmene in maglietta sabato, e in maglietta e intimo domenica.
La ripida strada che conduce al borghetto dove si lascia la macchina, ci fa già assaporare il senso di verticalità che ci aspetta, senso che però le quattro ruote si sarebbero risparmiate volentieri, ma così è. Le nebbie, o le nuvole, avvolgono l’atmosfera di avvicinamento, la luce del sole a volte filtra impetuosa, e ciò permette qualche foto ad effetto. Poi appare lei, la roccia. È la in lontananza, e l’avidità di scalare fa aumentare il passo verso questa attrazione intima.
Nicola mi aveva parlato della Gervasutti, e al rifugio sento da Davide se posso andare a farla: mi dice che il mio allievo di oggi è Cristian (che accetta la via), e che anche lui pensa venire a farla, meglio di così.. Via allora! Nonostante non abbia arrampicato su granito, nonostante nemmeno su dolomia accetti di spingermi oltre il V (e questa via è di V), non sto più nella pelle, e ciò mi da una spinta che mi fa dimenticare ogni timore. Poi, si mette la prima mano sulla roccia, la seconda, il primo piede, e la mente entra in uno stato tutto suo, di alta concentrazione, ma mantenendo il divertimento presente (“siamo qui per divertirci”).
A me piace arrampicare in diedri, fessure, camini, quindi qui dovrei trovarmi a mio agio, e con mia piacevole sorpresa così è: passato il primo tiro mi tranquillizzo che dovrei farcela. E salito Cristian mi tranquillizzo che anche lui può farcela.
Il primo tiro parte con una bella placchetta ma dove si può sfruttare in spaccata il lato sinistro, si aggira uno spigolo e poi si trova una lama da salire in aderenza, che da qualche brivido. Ma raggiunta la sosta la concentrazione passa la palla al divertimento, che può sfogarsi dopo esser rimasto represso per qualche istante. È solo il primo tiro, ma già me gusta assai!
La parete inizia a popolarsi, qui è pieno di speroni, settori, vie, tiri, è un marasma. Se di solito una difficoltà che può esserci è quella di trovare la via per la presenza di pochi chiodi o spit, qui è il contrario: ci sono talmente tanti spit che rischi sempre di finire sulla via a fianco, magari nemmeno presente nella guida, che magari sopra diventa un 6c. Fortuna che Davide davanti fa da apripista, anche se questa Gervasutti è abbastanza intuitiva.
Il secondo tiro è facile, è un trasferimento verso la parte divertente: due tiri in diedro (concatenati) con passagini per nulla banali in strapiombo. Non saprei dire come mi sento: tutti mi avevano detto che il granito spiazza se sei abituato al calcare, invece mi pare di conoscere questa roccia da sempre. Pur restando che il mio modesto grado di arrampicata è quello, ma mi sento tranquillo, non trovo passaggi che mi mettano particolare agitazione (e il mio secondo mi da una certa fiducia sulle sue capacità di assicurazione). Anche Cristian e Giorgio e Roberto (legati con Davide) salgono come gatti.
Beh, e adesso? Il temuto e famoso Dulfer finale della via: 18m di fessura faticosa, ce la faranno i nostri eroi?! Davide neanche a parlarne, uno scherzo per lui, i suoi secondi son già su. Dall’alto mi da un paio di dritte per salire, io non sono bravo in tecnica, ma sarà la smania o altro, salgo salgo fino all’ultimo spit prima della sosta: cazzo, la corda non viene, son qui con una mano sola, una fatica bestia e la corda non viene! Poi finalmente arriva (si era aggrovigliata), rinvio, tac, e finisco il tiro. Ci starebbe un “hi ha!” ma intorno a me ci saranno mille persone più brave del sottoscritto, mi sentire un pirla..
Anche Cristian supera il tratto più ostico della via, e siam fuori. Ma perché scendere già per il sentiero?! Finiamo in cima, passando sugli ultimi tiri della normale (che poi diventerà un tiro unico). Parto, seguo la variante di Davide, metto un nut che Cristian farà fatica a togliere (gulp!), e giugno al passo del gatto: un cunicolo in lieve salita dove occorre strisciare come un serpente, non come un gatto, e anche lungo un buon 4m! Un passaggio che fatto una volta, mai più! Questo è anche un collo di bottiglia di traffico di climber..
Ed ecco la “cima”, ultimi metri tirando la corda come un tiro alla fune, e recupero Cristian, bravo. Si mangiucchia qualcosa e..adesso che si fa? O meglio, adesso che si sale? Gully e Luca son con noi, sono saliti dalla Normale a fianco a noi, scendiamo a ripetere i, loro passi, ma partendo già con l’idea di evitare assolutamente l’ultimo tiro del passaggio nel loculo ma scendere per sentiero.
Quindi scendiamo e poi si riparte. Via più facile, ma comunque non banale, soprattutto se ci si complica la vita con passaggi al fianco. Avido di scalata concateno i primi due tiri, un buon 45m di tiro. Sale anche Cristian, che prova l’ebbrezza del passaggio sullo spigolo, con roccia alla propria sinistra e vuoto alla destra (ah, laDelago!). Tiro in diedro e ci ritroviamo alla congiunzione con la Gervasutti: scendiamo in doppia dai, così le ripassiamo un po’!
La doppia è sempre un emozione, secondo me anche quando sarò alla millesima avrò sempre il buon caro e vecchio tuffo al cuore quando sgancio il moschettone dalla sosta per rimanere solo sul freno e sul machard. Prima doppia volutamente su una sola corda per non rischiare nodo impigliato, e la seconda lunga lunga, dove scendo per primo per sbrogliare i mille inghippi venuti da un lancio scarso..
Alla base troviamo oltre a Luca e Gully, anche paolo e Roberta, che tutti e quattro provano monotiri (la parete è bella affollata adesso!): ne provo uno anche io e poi decidiamo che sia ora della birra, via al rifugio! Affiancata da un panino con le famose acciughe piemontesi..
Onestamente, son già li a pensare a cosa fare domani, sperando non piova: lo so, faccio schifo, non mi accontento. Una bella cena allegra viene intervallata dai discorsi sul cosa fare domani: la Cinquetti sembra alla nostra portata, Cristian ci sta, Luca decide di venire a farla anche lui (col suo secondo, che diventerà Giorgio per indisponibilità di Gully, vittima dei peperoni della cena).
Con la panciozza piena, via a letto, mentre il CAI di Monza canta fuori, domani è un altro giorno. Un altro giorno di arrampicata!

Qui  altre foto.

sabato 6 ottobre 2012

Emozioni appenniniche: alba sul Cusna

Classica salita, ma stavolta voglio salirla davvero presto, per due motivi. Il primo, devo essere a casa a pranzo. Il secondo, voglio esserci per l’intera alba, dai primi bagliori fino alla palla infuocata completa sopra l’orizzonte. Perciò eccoci qui, ore 2 la sveglia suona.
Dopo la gita sull'Altissimo mi son dimenticato i bastoncini sulla macchina di Marco: “beh dai, tanto li uso raramente, e il giro è corto” ma mentre mi lavo i denti mi ricordo un’altra loro funzione, lo sbattere tra loro per fare rumore e spaventare gli animali..cazzo! non posso andare via in notturna da solo senza quegli arnesi! Racconto due bastoncini rotti (non si bloccano più bene) e dopo 15 minuti di lotta riesco a bloccarli.
Ok, adesso son completo. Dovrei trovare una luna non piena ma comunque forte ad accogliermi, e così sarà. Dovrei trovare un vento debole in quota, e invece ciccia, il solito vento dell’Appennino: non da cadere per terra, ma l’equilibrio va sempre cercato con cura.
Nella salita (ormai questo sentiero l’ho percorso più volte al buio che con la luce) trovo un sacco di funghi, ma tutti rossi a pua bianchi, ovvero don’t touch. Non sento troppi brusii nel bosco, ma come sempre ogni rumore sospetto accelera di colpo i battiti del cuore. E poi si sbuca bel vallone sotto il Passone: le luci delle città, la colonna di fumo della ceramica, la luna sopra me, e il vento che si inizia a sentire. Dai su, non voglio perdere tempo, mi riposerò in cima gustandomi l’alba.
Sali sali il vento è sempre maggiore, ”accidenti a me e cascarci ogni volta, devo mettermi in testa che il vento debole in Appennino non esiste”. Poi abbandonata la croce di Katia, inizio a sentire i versi.. Porca vacca, ma che bestia è?! Non è un cinghiale (sento anche dei grugniti, ma durano poco), non è un capriolo, non è un lupo, non è una marmotta, cos’è?! E perché non smette?! Sbatti i bastoncini, tossisci, ma il vento ce l’ho contro, quindi anche il mio odore alla bestia non arriva, e i miei rumori forse anche. “buuuuu”, un muggito ma invece che con Milano, con Bologna. Non sembra una bestia piccola.
Però il sentiero gli va incontro. Bon, taglio, mi butto sulla cresta e tiro veloce verso ovest, saranno dieci minuti che sento questo lamento, e mi giro per vedere se alle mie spalle qualcosa arriva. Poi non lo sento più, sul crinale mi sento più tranquillo rispetto allo spazio aperto del prato sotto. Sembra fatta, posso andare.
Solite roccette e poi la croce. Mii che vento, mi copro subito. Mi dimeno per installare il tre piedi (cinese) sulla madonna e predispongo la macchina fotografica per tentare un video: poi lo accelererò a casa per vedere che effetto fa. Speriamo venga bene. Si ma quanto è lento il sole a salire?! Son arrivato in cima alle 6e30, alba prevista 7e20..
Poi mi godo lo spettacolo. Non si può descrivere, ecco tutto. Video.
Via giù adesso, in mezzora passo dal patire freddo con guanti e giacca, al patire caldo in maglietta: quanto lo tartassiamo il nostro corpo con la nostra passione per la montagna! Ripassando sopra la Costa delle Veline (ho scelto di tornare indietro per crinale) scorgo la bestia: un bel cervo cornuto massiccio. A casa cercadno su youtube, scoprirò che il verso era suo. Non è un animale che dia un senso di “stai tranquillo, non ti faccio niente”.
Il bosco non è ancora colorato da autunno, peccato, speravo di godermi anche questa magia. Ho deciso di allungare appena appena per vedere il Ricovero Vallestrina, ma nella foga di scendere lo passo senza accorge mene. Possibile? Ok camminare a testa bassa, ma mi pare strano non averlo visto, mah.. Giungo, tagliando per le piste da fondo, a Pian Vallese: quanti fungaioli!
Osservo la Piella e la saluto: grazie Appennino Reggiano, salirò qui quattro o più volte all’anno, ma è sempre bello. E di notte, è sempre cagata a dosso assicurata!

Qui altre foto.
Qui video dell'alba.