sabato 14 settembre 2013

Cordata a 5: Spigolo Steger alla Prima Torre del Sella

Siamo alla fine di settembre. Oddio, saremmo in realtà a metà, ma tra impegni vari futuri, sentiamo che la stagione arrampicatoria dolomitica è quasi finita prima ancora di iniziare. Occorre porre rimedio e sfruttare tutte le cartucce rimaste nel fucile. Una è già stata malamente sprecata sul Cimon de la Pala, vediamo se questo weekend riusciamo a sparare e centrare il bersaglio.
Nicola come sempre fantastica parecchio, ma stavolta non spara nemmeno troppo alto. Destinazione passo Sella, un fiore di cinque vie alla mano che corrono su Prima e Seconda Torre del Sella (e quante ancora sappiamo essercene su questi pilastri di roccia). Il meteo dovrebbe essere ok, solo un po’ freschino e onestamente, chi più chi meno, sottovaluterà questo aspetto.
E già riuscire a fare colazione sembra un’impresa (io a casa ho già fatto un round, che non si sa mai..): il posto che agognava Nicola apre alle 9, quello che troviamo non ha ancora niente di dolce, sono poi le 7e30 mica le 4 di notte! E per di più il gestore, dopo averci chiesto dove andiamo e dopo la nostra risposta, ci chiede “andate con una guida?”. Buon auspicio. E a Ortisei ci sono 4°C. Brrr.
Parcheggiamo, già qualche cordata ci precede, ma mica detto che vadano dove andiamo noi. Al sole si sta discretamente, ma i guanti sono un accessorio che ha poco dell’opzionale. Ci vestiamo, armiamo, e andiamo. Io in cordata con Davide, l’altra cordata è composta da Nicola, Gianluca e Marco. Piuttosto carichi, non sarebbe male dopo lo Spigolo Steger, salire anche il Diedro Kostner. Un passo alla volta.
Eccoci alla locomotiva, ecco anche del vento, mii che frio, seguiamo il sentiero e siamo all’attacco. Un po’ titubanti che sia davvero quello giusto, cerchiamo e brighiamo, così arriva altra gente e ben presto ci troviamo in coda, dietro due cordate (una che ci ha chiesto il permesso, l’altra che è proprio passata davanti senza colpo ferire).
Parto io, ma il primo tiro è un’eresia, quattro passi e poi si cammina quasi. Ma va bene per prendere confidenza con la roccia: con la roccia fredda, perché lo è davvero. E i guanti non li potrò tenere a lungo. Siamo al sole, ma esposti al vento. In realtà solo per ¼ dell’arrampicata avremo il sole a favore a scaldarci, per il resto, ombra e vento. E le mani se ne hanno a male.
Segue un tiro un po’ più piacevole, ma siamo sempre su difficoltà contenute, e meno male, perché domenica scorsa a Sant’Ambrogio in falesia mi sono demoralizzato parecchio. Oddio, sarebbe da chiedersi se i gradi dati sono reali, stretti, larghi, di certo la disomogeneità rende ambiguo ogni numero e lettera attribuita ai tiri di quella falesia.
Nel gioco dell’alternanza, ora tocca a me, e l’arrampicata si fa più interessante. Si fa anche faticosa, mamma mia, la corda deve aver girato da matti, e devo trascinarla dietro. Ormai trascina per trascina, messo piede sulla larga cengia, tanto vale fare il tiro alla fune e fare sosta sotto il tiro successivo, evitando cosi un tiro intermedio che è un traverso da camminare. E da qui vengono delle splendide foto a chi sale, con sullo sfondo il Sassolungo, e a chi è già arrivato, con sullo sfondo la Marmolada.
Oh evviva, ora dovremmo calcare un famigerato tiro unto, ma non sembra così male. Parte Davide, con calma, poi Nicola che briga un po’ ma supera anche il suo amato strapiombetto. Ma Davide si ferma in sosta troppo presto, e questo ci farà perdere un po’ di tempo aggiungendo quasi un tiro in più alla nostra arrampicata (quello che abbiamo risparmiato sul traverso della larga cengia). Nota dolente, una sosta bella all’ombra e esposta al vento che soffia da nord. Ma che freddo fa!
Bene, è ora del tiro chiave, che probabilmente abbiamo sottovalutato un po’ tutti. Diciamo che un IV+ oltre la metà di noi lo giudica alla propria portata, ma ancora non sappiamo quel termine “unto” quanto voglia significare. Marmo di Carrara con un’innaffiata di olio d’oliva!
Parto io, inizialmente anche bene sulla paretina sopra la sosta, ma per andare a prendere quel naso dove traversare verso destra il piede è obbligato a una placchettina levigata inclinata. La guardo, mi guarda, la pesto, la lascio. Le mani non trovano delle prese buone. Chissà quanto ci sono rimasto a pensare, a provare, giù, su, destra, sinistra, basta mi decido che anche se scivoloso, quell’appoggio è l’unica cosa che c’è. Metto il piede, carico, torno giù. Per un paio di volte, poi mi butto e via, supero il naso. Oh che liberazione. Ma non è finita.
Sono più comodo ora, ma c’è un traverso verso destra sull’altra faccia dello spigolo per nulla banale: niente mani e sotto di me l’abisso. Davvero molto esposto questo tratto, adrenalinico! Ohhh..e via, metto piede sotto il diedro, uff che liberazione. “Che liberazione” lo penserò almeno 7-8 volte su questo tiro, ogni volta pensando che il passo appena compiuto fosse l’ultimo difficile. Eh se, finché non si arriva in sosta..
Parto per il diedro, è abbastanza chiodato, ma non voglio azzerare, e non sempre è possibile. Sarei curioso di capire quanto tempo sono rimasto su questo tiro. In realtà nemmeno tanto, ma per certi aspetti mi è parso un’eternità, per altri un battito di ciglia. Certo il giorno dopo sentirò i muscoli di spalle e schiena belli “duri” per tutto il tempo che sono rimasto appeso. Accidenti quanto è unto questo tiro, mani e piedi, è impressionante. Lo Spigolo della Delago in confronto è una rugosità costante.
Nicola mi segue, sgugna, ma mentre sono nel diedro è meglio che mi stia lontano. Sento gli altri ridere, è a cavalcioni sul naso del traverso, che classe! Studio il passaggio, prova così, prova colà. C’è poco da fare, appoggi obbligati, appigli quasi, e tutti superusati dalle ripetizioni precedenti. Mi apro un po’ a diedro, che esposizione ragazzi! Mi capita pure di raccomandarmi “ehi, tenetemi in due!”.
Ce la faccio, supero la parte dura (come detto prima, dopo ogni passo duro vivo nella speranza che sia finita la parte chiave, e invece trovo sempre un altro passo ad aspettarmi), e guarda che bello questo anello di calata! Adesso sì che è fatta, meno male, non è mica stato semplice. Con questo grado di levigatura della roccia, altro che IV+, anche V+!
Ma adesso viene il bello. Io son fuori, gli altri quattro no. E infatti dopo poco che Davide è partito, Nicola preferisce diventare il mio secondo secondo, e quindi finisce che facciamo cordata a cinque. Non posso biasimarlo, un freddo cane, le mani che non si sentono e non sai mai se fai presa bene sulla roccia o no, piedi sul marmo.. Ma che ridere a pensarci! Almeno questo “portare su tutti” mi ha poi fatto vincere due medie offerte..
L’ultimo tiro è una passeggiata verso la cima, da dove però si gode un bel panorama: dalla Marmolada al Sassolungo passando per il Catinaccio. Ci ricompattiamo tutti, una mangiatina, e poi si decide che ormai è troppo ardi per tentare anche il diedro Kostner, che sta li a guardarci. Ah, ma presto mi rivedrai!
Apertura ritardata per la stagione arrampicatoria dolomitica, che si conclude nel migliore dei modi davanti a canederli e birra!

Qui altre foto.
Qui il report.

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