domenica 24 novembre 2013

Alla ricerca del sole: Grignone

Tira e molla, porca miseria, questo meteo è un po’ bastardo. Ieri ci siamo adeguati a lui prendendo ciò che cadeva dal cielo e pestando ciò che era già caduto. Oggi si vuole qualcosa che sia panoramica, di ampio respiro, non limitato a una visibilità a 100m e dove la consistenza della neve permetta di salire. Il solo angolo del Nord Italia dove ciò pare possibile, è il lecchese (ci sarebbe anche la Val d’Aosta, ma il portafoglio se ne avrebbe a male). 
Sul Grignoneson già stato con Marco per la salita invernale, e la ricordo una bella salita, panoramica, e allenante (che ridere quando ripenso a Marco che a metà strada realizza che 2410-723=1700m circa), perché non tornarci?! Oggi ci torno con Riccardo. Ammettiamo che il ristoro all’Alva, poco lontano da dove partiamo, è un buon incentivo. La giornata di ieri senza un obiettivo raggiunto chiede vendetta.
E così partiamo su asfalto dal Colle di Balisio, con Riccardo che alla vista della cima esclama “Vacca quanto è lontano!”. Ovviamente è falsa modestia, abbiam fatto ben di peggio. Speravo in un innevamento maggiore, perché così il primo tratto fa un po’ cacare, ma pazienza. D’altronde viene dalla nostra che c’è un meteo migliore del previsto, e il freddo non si sente così tanto. Le cose si mettono bene.
La meta è già solitamente affollata di per se, oggi che c’è la complicazione della neve non assestata altrove temevo trovarne anche di più, ma forse è il nostro orario di partenza che ci evita la ressa.
La prima parte di percorso resta insinuata in una vallettina che mantiene le temperature frizzanti, e sebbene il nostro corpo ci chiede di spogliarci (e lo accontentiamo) il ghiaccio per terra ci lascia con le orecchie dritte e i piedi cauti. La quantità di gente passata ieri ha pressato per bene quei pochi cm di neve rimasti, e fino al Pialeral siamo già pensanti di mettere i ramponi a scendere!
Finisce il bosco e si apre il panorama sulle montagne che fanno da contorno alla Val Sassina. Purtroppo, escluso lo Zuccone Campelli, vedo cime e non so cosa siano, spero aver nominato correttamente le foto. C’è una montagna che ci incuriosisce, una pala innevata perfetta, scoprirò essere il Sodadura. Non si vedono sci alpinisti, e non si vedranno per tutta la giornata: evidentemente la neve è poco, e quando è tanta non ha fondo. 
Il cielo è ancora velato, il sole illumina a pieno certe cime e lascia scure le altre, creando un gioco di luci fatto di bianco e azzurro sulla neve che copre i monti. Dal Pialeral la salita è evidente, così come la traccia e qualche omino che sale: il campo sta per aprirsi a spazio pieno. Bah, non sembra siano 1000m di dislivello, non sembra nemmeno così ripido, invece al ritorno guardando dall’alto l’impressione sarà un’altra.
Riccardo è carico, io proseguo con calma per scattare qualche foto e assaporare il vento gelido che adesso ci fa dimenticare il caldo patito prima: meglio non fermarsi o fermarsi per poco, inutile vestirsi, so che dopo la salita farà un effetto antitetico al wind chill. Accidenti, qui parecchi passi finiscono con una scivolone all’indietro a causa della durezza della neve e del fondo sdrucciolevole. Ma teniamo botta.
Si abbandonano anche gli ultimi arbusti sparsi che riparavano dal vento e ostruivano la vista, e ora la meta appare davvero vicina, o meglio, senza difficoltà perché a vista. Si sta aprendo una voragine nello stomaco, mii che fame! Arriviamo al Bivacco che non compare sulla cartina, e al riparo dal vento ci rifocilliamo a dovere, pronti per ripartire verso il pendio finale e la cresta sommitale.
Si incrociano signori e signore di sessant’anni, chapeau! C’è chi sale coi ramponi, ci sono i primi che scendono, io e Riccardo continuiamo solo con scarponi, ormai il passaggio precedente ha creato dei discreti gradini, anche se alcuni passi sono un po’ lunghi e certi tratti un po’ farinosi. Ma non ci si può lamentare, è chi ha tracciato ieri che deve essersi fatto una bella fatica!
Incontro così Lady, una cagnolina di piccola statura ma dal fisico robusto, sale seguendo il suo padrone, superando i gradini più alti con dei bei saltelli. Mi chiedo come faccia a non aver freddo: a parte l’essere quasi fino alla pancia nella neve, sul pelo delle zampe ha delle palle di ghiaccio solido che devono pure avere un certo peso paragonato alla stazza della belva mignon.
Mi giro spesso ad ammirare le cime che si scoprono, salgano, quelle più alte dietro quelle più basse che man mano le sovrastano rimettendo a posto quelle che sono le reali dimensioni. È un po’ come riequilibrare i fatti, e l’osservare la natura e questi giganti che inseguono l’ordine delle cose e mi mostrano che ci si può arrivare a questo ordine, mi fa pensare che anche io posso raggiungere l’equilibrio e la pace. In cima questa sensazione sarà certa, sceso a valle tutto tornerà come prima.
Ed eccomi mettere i piedi in cresta, il sole ci inebria in pieno già da un po’, meteo migliore del previsto, cercavamo il sole e lo abbiamo trovato. Il panorama si apre anche a ovest, seppure le cime più alte siano coperte: ma so che ci sono. La cresta è davvero estetica, non sarà affilata per nulla, ma lato lago ci sono delle belle cornice che danno la sensazione di essere più alto della realtà.
Arriva anche Ricky, e così la salita prosegue verso la cima, che ci aspetta più a sud. Osservo la cresta di Piancaformia, un obiettivo di questo inverno, ma forse più che la via di salita dovrei studiare la via di discesa. Infatti fotografo bene il cartello della Via del Nevaio, che però sembra indicare solo il cielo che poi si tuffa in un ripido vallone. Chissà, oggi poi con le cornici che ci sono non è che abbia molta voglia di arrivare sul bordo e sporgermi, lungi da me!
Ecco la croce, la vedo, bella bianca come si vedeva anche da valle, lei come il rifugio sono coperti da neve ventata pressata ghiacciata. Il rifugio non è come certe foto che si vedono, ma è spettacolare anche lui. Il gestore cerca di liberare dal ghiaccio tutta l’elettronica intorno al rifugio affogata da esso, mentre noi ci dirigiamo verso le panchine fuori dal rifugio per sederci e mangiare un po’. 3h45min la salita, tempo davanti ne abbiamo per arrivare a casa a un’ora decente. 
Il sole scalda bene (finché non ti esponi al vento di nord ovest), c’è solo da stare attenti alla neve e ghiaccio che si scioglie dal tetto e cade. Beh, Riccardo deve stare attento anche a Lady, che con occhi dolci punta il suo panino. Spettacolo di giornata. Il mio amico guarda verso valle, “oddio quanto è lontana la macchina!”.
Sarebbe bello stare qui delle ore al sole caldo, che tra poco andrà via però, ma tocca scendere, tornare alla croce per fare qualche foto e scambiare quattro chiacchiere con un matto. Qualche cornice è più apprezzabile scendendo in questo verso, meglio starne lontani. E anche guardare da sopra per dove siamo saliti mostra che non era così dolce il pendio da risalire. Fantastico, allenamento per le zampe.
Anche la discesa comporta una certa fatica. Rimanendo nella traccia di salita, oltre che rovinare i gradini di chi sta salendo, si scivola sulla neve pressata, il che non è molto divertente. Optiamo allora per la neve fresca, ma qui vai giù fino a metà coscia, e per fare il prossimo passo tocca risollevare la gamba per intera. Ah, che bella la neve, fa tornare bambini! Ma la giornata sta per finire..
Per fortuna il sole ha sciolto quel ghiaccio che in salita ci faceva temere la discesa, anzi poi nel bosco sarà fango e poltiglia: sempre da stare attenti a non scivolare, ma non più così critica la situazione! Solo che la mancanza di neve rende il rientro ancora più noioso, ci si conforta  pensare all’Alva dove ci rifocilleremo a dovere.
E sudanti e puzzolenti (solo ora Riccardo mi dice che la cipolla doppia mangiata ieri sera lasciava una certa scia alle mie spalle) arriviamo alla macchina, guardando indietro dove eravamo lassù poche ore fa. Bye bue Grignone, a presto per una salita un po’ più alpinistica.

Qui altre foto.
Qui il report.

sabato 23 novembre 2013

Trincee nella neve: nevicata nell Appenino Reggiano

C'è il richiamo della foresta e il richiamo della neve. A me la foresta non mi ha mai chiamato, ma la neve sì, e non essendo io una persona maleducata, in genere rispondo. 
In tutto il Nord Italia il meteo è infame (la maledizione dell’impiegato colpisce ancora: da lunedì a venerdì tempo buono, il weekend meteo nel c), ma sappiamo che in Appennino di neve ne ha fatta, le foto che vedo su Facebook confermano, e domani ne farà altra. Beh, se devo fare una giornata sotto una nevicata, al freddo, bagnato, senza obiettivo (cima) e per non concludere nulla perché magari c'è da tracciare tutto, tanto vale andare dove il viaggio costa poco: minima spesa, resa incerta. 
Salendo verso Civago, già a Villa Minozzo nevica e c'è neve per terra. Saliamo e troviamo spazzaneve, camion fermi, qualche cm di neve per terra: ci arriveremo su? Con calma e pazienza, ai 20 km/h, arriviamo a Case di Civago sotto una fitta nevicata: già decine di centimetri dei giorni scorsi accumulate, e quella nuova adesso. Inizio a scavare una piazzola per la macchina nella neve accumulata al lato della strada, il parcheggio è inagibile.
Partiamo io e Riccardo, solo noi in giro, e te credo, con sto tempo da lupi! Ma noi sappiamo ululare.. In realtà un'altra auto è arrivata, ma i due componenti ci raggiungeranno più tardi. Seguiamo una debole traccia di qualcuno che deve essere passato ieri, ma data la consistenza non è troppo utile e poi si sprofonda nella neve che ha fatto stanotte. Al parcheggio ci saranno già 40cm buoni.
Nevica e c'è neve. C'è bianco e scende bianco. Due loschi figuri vestiti sgargianti si insinuano in questo paesaggio immacolato e silenzioso. Come due bambini saliamo in mezzo al bosco incantato, affondiamo felici fino al ginocchio, sudiamo da matti. Cavolo, ho solo intimo, maglietta e giacca, ma son pervaso da un caldo della madonna, bagnato di sudore fino alle mutande. Ma la giacca oggi è essenziale, o invece che lupi saremo pulcini.
Alla fontana calziamo le ciaspole, la traccia si interrompe. Non so se sia meglio o peggio. Man mano la neve aumenta, nel punto in cui torneremo indietro troveremo almeno un metro, la ciaspola ci fa galleggiare un po', ma fino al ginocchio si scende sempre, e dopo tocca sollevare il piede più alto del ginocchio portandosi sul piatto della ciaspola qualche etto di neve. In più la neve si schiaccia e congela nella parte mobile dell'attrezzo. Ecco cosa vuol dire correre con le cavigliere.
Nel bosco siamo continuamente sotto il possibile bombardamento degli alberi che vogliono scaricare il peso che li affligge. Polveroni che si sollevano ai nostri lati. Nessuno ci colpirà con le proprie granate, ma come in mare c'erano le mine per le navi, qui i rami abbassati dal peso della neve che cerchi di aggirare per passare, appena li tocchi ti scaricano ciò che portano addosso. È una guerra impari. 
Arriviamo al Rifugio Segheria, poi continuiamo consapevoli che ci stiamo mettendo un casino di tempo, ma anche consapevoli che le condizioni sono quel che sono. Dopo il Segheria la faccenda si complica, ci sarà un metro di neve, mii che fatica, mi ricorda il Care Alto. Iniziamo a capire che al Battisti non ci arriveremo. Superiamo il laghetto, arriviamo al bivio col sentiero 605bis e via giù. 2h45min che siamo immersi nella neve. In 1h30min saremo di nuovo all’auto. 
Lo scopo di oggi era stare all'aria aperta pur sapendo del meteo e delle condizioni, ci siam divertiti e abbiam visto l'Appennino come non lo vedevamo da tempo. Per il resto parlano le foto, le mie parole sono nulla di fronte allo spettacolo. Ora speriamo che l'inverno faccia il suo lavoro, noi saremo pronti a coglierne i frutti.

Qui altre foto.
Qui report. 

sabato 16 novembre 2013

Galletti bianchi sul Brenta: Piz Galin

Finalmente ha nevicato! E oggi il meteo prevede una giornata di sole, quindi? La mente ha pure bisogno di svagarsi, dimenticare i problemi e ricaricare le batterie. L’amico c’è, l’uscita sa’ da fa’. Meglio però non esagerare, quanta neve ci sia non è dato sapere bene, anche se poi ne troveremo meno di quella che credevo.
Dopo una serata con amici e col fisico riposato da ben un’ora di sonno, Marco passa a prendermi e si va. Non me ne voglia se tutta l’A22 dormirò, ma a me l’auto quando non guido mette sonnolenza. Al mio risveglio a Paganella Est, sorpresa, poca neve in giro, solo in alto alto. Beh, dal punto di vista del rischio valanghe, meglio così. Cielo stellato, la luna è la a farci rimpiangere una notturna, next time.
Marco sul Piz Galin è già salito, perciò sarei forte della sua esperienza per evitare di sbagliare strada ora che la neve copre sentieri, segnavia, e non credo che ci saranno tracce di passaggio precedenti le nostre. E invece non sa una mazza, si sbaglia anche la strada del parcheggio.
Al parcheggio una spolverata di neve debole, non fa nemmeno troppo freddo, e questo mi consiglia i pantaloni leggeri: ottima scelta visto che a 2300m, in pausa pranzo, sarò a petto nudo. Ci inerpichiamo su per il bosco, seguendo la relazione di quello che sarebbe un itinerario sci alpinistico (di inverno, da questo attingiamo per fare un po’ di gamba), un po’ all’avventura puntando solo una direzione senza punti di orientamento. Finalmente vedo il mio piede affondare nella neve.
E con un po’ di rami negli occhi, arriviamo sulla forestale che ci porta a Le Fontanelle, strada dalla quale scorgiamo chiaramente la nostra meta. Chissà perché gli han dato questo nome.. Nessun essere vivente in giro, mentre il sole inizia a farsi sentire, e tra poco saremo in pasto ai suoi raggi: tiro fuori gli occhiali che mi serviranno parecchio oggi.
Risaliamo il vallone dove scorre il sentiero, il quale si intravede sotto questi pochi cm di neve. Pochi cm che combinati alla potenza del sole, al nostro rientro non ci saranno quasi più! Ma il seguire troppo il sentiero ci porta a sbagliare strada, seguiamo la curva che fa verso destra per portarci al Passo Gallino, ma avremmo dovuto tagliare su dritto prima. Pace e amen, torniamo indietro e traversiamo per riportarci sulla strada giusta.
Poca neve, ma infida. Bagnata, soffice e leggera, il piede affonda fino al terreno, sul quale scivola il più delle volte. E io mi sono settato coi pantaloni a ¾, parte del mio stinco resta esposta al bagnaticcio, ma troppo caldo fa. Cima Lasteri inizia ad apparire con tutta la sua imponenza, laggiù spuntano le inconfondibili TreCime del Bondone.
Risaliamo il vallone passando inizialmente sulla sinistra sotto pareti rocciose che pisciano, per poi una volta arrivati a una sorta di passo, deviare a destra verso la cima, su un pendio decisamente più ripido, ma della cui pendenza mi accorgerò solo a scendere. E man mano che saliamo e penetriamo nel cuore del Brenta, lui si mostra ai nostri occhi, con torrioni, pareti, cime, canali. Fame. Marco si guarda attorno come me, io estasiato, mi sento piccolo e insignificante, lui è più piccolo di me, perciò..
La quantità di neve si fa man mano più abbondante, il fondo resta infido (certi tratti sono pure ghiaiosi, quindi oltre che scivolare sulla neve, si scivola pure sulla ghiaia), ma siamo qui e inizio a pensare che dovremmo farcela ad arrivare in cima. Ho bisogno di libertà, di sentirmi parte di qualcosa più grande di me, di apprezzare ciò che la giornata mi offre, di rinvigorire fisico e mente. E questo è l’unico modo che conosco.
Risaliamo il pendio, le ciaspole le abbiamo lasciate in macchina, a ragion veduta, visto che anche se certi punti vado giù fino al ginocchio, le racchette poco potrebbero con questa consistenza. La presenza di vari massi e sassi affioranti dalla neve mi da l’idea di un tipo di pendio che dovrebbe tenere bene salda questa neve, e non rischiare valanghe. Mentre ci penso, mi torna un flash della Verte.
Sole e tanto sole, ma il vento quanto spazza è gelido, e ciò non ci farà godere la cima! Impronte sulla neve, sembra una lepre, ha girato un sacco quassù. Questo rende tutto più selvaggio, solo bianco e azzurro, e ogni tanto un po’ di grigio della roccia. Vedo la croce, c’è solo un pendio finale e un tratto di cresta, ma sembra nulla in tutto. Almeno un po’ di polpacci duri!
Via su, sbuco sulla cresta e mi godo l’apparizione di altre cime prima nascoste. Mi lancio verso la cima, la gamba affonda bene e inizio a sentire un po’ fresco, ma ormai.. Ecco la croce, che panorama! Marmolada, Cima d’Asta, la catena del Brenta giusto per citarne alcune. Scattiamo qualche foto, ma il vento gelido ci fa venir voglia di scendere rapidi al suo riparo per mangiare qualcosa. Lascio un autografo sul libro di vetta e si scende.
Daje de tacco, si scivola un casino, ma con l’appetito che ho sono rapido a prendere la pendenza. Mangiamo al sole, si sta da Dio, si potrebbe anche dormire un pochino qui, ma se lo facessimo non ci sveglieremmo..meglio scendere va la! Ci divertiamo un po’ a giocare con le ruote che la neve crea quando una pallina inizia la sua discesa verso la gravità.
Rientrando ci accorgiamo che la neve ha già subito la forza del sole. Peccato, ciò vuol dire che per canali e alpinismo invernale c’è ancora da aspettare. Aspetteremo, che vuoi fare? In questa passione siamo figli della natura e dei suoi voleri, non si può dominare certe forze.
La meritata birra ce la concediamo al sole anche lei. Oh ma quanto si sta bene, sarebbe da berne un’altra e poi lasciarsi abbandonare al tepore che il sole ci da’ davanti a questo bar.. meglio andare prima che la tentazione si trasformi in esecuzione! Tanto un po si dorme in macchina..anche se Marco mi frega!

Qui altre foto.
Qui report.

venerdì 1 novembre 2013

Vorrei non smettere: via Demetz al Grande Cir

Se il freddo non vuole arrivare, almeno approfittiamone. C’è chi diceva “ma cosa me ne frega di aumentare il grado o arrampicare adesso, tanto non ho nemmeno iniziato la stagione, che è già finita” e questo lo diceva fin dai primi di settembre. Siamo al primo novembre, e oggi ioRiccardo arrampichiamo (quasi) tutto il giorno in maniche corte.
Siamo solo noi due, dopo vari forfait e cambi di destinazione dovuti ai più disparati motivi. Ma va bene, d’altronde è da un sacco di tempo che non arrampico con Ricky, e mi fa davvero piacere ripestare gli stessi appoggi e afferrare gli stessi appigli con lui. Oggi si adegua al mio basso grado, ormai che giace nell’olimpo dei forti arrampicatori. Sono onorato.
Dopo una cena all’insegna della polenta e dell’abbondanza, e dopo ben tre grasse ore di sonno, ci si ritrova, destinazione Passo Gardena: la via l’ha scelta lui, non potevo non lasciargli questo onore e onere. Solo che già sulla strada verso Passo Sella notiamo che di neve ne ha fatta, ma stiamo osservando i versanti nord, e siamo quindi fiduciosi. Lo siamo meno quando giunti a Passo Gardena ci troviamo in mezzo alle nuvole, con visibilità stile nebbia Valpadana e il termometro del Rifugio Frara che segna 0°C.
Ma come, il meteo doveva essere dalla nostra, una parte a sud assolata.. Con questo tempo non sappiamo nemmeno se riusciremo a trovare l’attacco, ne se la roccia sarà asciutta! Demoralizzati iniziamo a prepararci, facciamo melina nella speranza di un’apertura delle nubi ma nulla. Partiamo e amen, vediamo come va. Uffa, che palle. Infreddoliti e vestiti ci incamminiamo verso la direzione che reputiamo corretta in questa nebbia fitta.
Accidenti a noi e alla mancanza di fiducia! Saliti anche solo 50m di dislivello, il cielo si apre limpido, il Grande Cir è laggiù (con la nebbia abbiamo sbagliato strada prendendola troppo larga) e le maglie e giacche che avevamo addosso adesso ci fanno sudare da matti! Ora sparati verso l’attacco che il morale è tornato bello alto!
Risalito il canalone dietritico per arrivare alla base dell’attacco, imbragati e legati, non ci resta che arrampicare: siamo qui per questo. Parto io, così lascio poi a quello bravo il tiro col passaggio di V. Intanto il paesaggio è già spettacolare: il tappeto di nubi ai nostri piedi dal quale emergono le cime delle dolomiti Ampezzane, dello Zoldano, il Sella bello svettante dietro di noi, il Sassolungo ciccione e prominente.
Iniziamo a far sul serio e arrampicare. Come sempre la cosa che mi fa più paura è trovare il percorso corretto per arrivare alla sosta attrezzata o dove almeno è risaputo esserci una bella clessidra. Su questa via non è che ci siano molti chiodi o passaggi obbligati e quindi belli usurati dal passaggio delle precedenti cordate, che permettano di capire in modo chiaro dove vada presa la roccia. Sono una pippa, lo so.
Sul primo tiro un pochino già ostio un po’ su un passaggino un po’ delicato, ma chissà se sono io che sono andato a cercarmelo. Dalla sosta contemplo il paesaggio mentre recupero il mio amico. Pronti via, beccati il passaggio atletico! Ma Riccardo è bravo, non ha problemi. Io da secondo leggerò il passaggio atletico come una pura prova di forza di braccia.
Ci sentiamo sulla buona strada, e invece io vado un po’ fuori strada al terzo tiro. Ma perché questa è una via non obbligata, di relazioni ne abbiamo trovate diverse tra internet e guide; non completamente diverse tra loro, ma con varianti di anche un tiro intero! E Riccardo al quarto tiro gli tocca traversare per infilarsi dentro il camino e finire a far sosta sotto un bello strapiombo in compagnia di una strana roccia spumosa.
Sì ma, da questa nicchia come si esce?! Oh ma che traverso esposto! E sprotetto.. da sporcarsi un po’ le mutande per uscire da qui, ma non è ancora nulla in confronto al diedro finale. Ce la faccio, proseguo tranquillo e arrivo su del facile dove c’è quasi da camminare. Sosta su clessidra chiama la relazione: trovo una clessidra, ma porca miseria, quanto è alta?! E con sotto il vuoto! Troppo scomoda.. Ci provo un paio di volte, ma alla fine rinvio e basta, troppo scomoda. E infatti più in alto due clessidrine sono li che mi aspettano.
Senza sapere se è partito prima che facessi sosta o meno, Riccardo arriva quasi correndo. Siamo comodi, pausa ristoratrice e ci vestiamo, che ora tira un po’ d’aria. Riccardo sale agilmente sul pinnacolo dal quale poi ci dobbiamo calare (verticale questa doppia!) per trasferirci sul torrione principale del Grande Cir.
Riparte lui, alla ricerca della via, che adesso vediamo un po’ fumosa come lettura su questa parete senza troppi punti di riferimento. Mi sento fiducioso, anche perché convinto che il duro fosse in basso, e invece.. Arriva in sosta ostiando per le corde che si sono arrotolate intorno a un sasso quasi bloccandosi. Sosta, in realtà salta la principale per spostarsi un po’ a sinistra, su una clessidra un po’ esigua per essere una sosta su cui appendersi. Vado sparato verso la prossima sosta per toglierci da questa va!
Oh bene, si vede il diedro finale, che toccherà a me. Ricky si fa il penultimo tiro, bello e divertente senza nessun passo obbligato e dove poter cercare quello che si vuole. Eccomi in sosta con lui, a contemplare il panorama intorno a noi. Ecco il diedro, no i diedri, sono due, ma quello a destra sembra essere tappato in cima da un tettino invalicabile (sembra): prenderò quello di sinistra.
Vado, alla sua base trovo pure il chiodo chiamato dalla relazione, però quando mi ci trovo in mezzo mi pare ben di più di un IV+! O l’ho letto male io, o era il diedro a fianco.. Respira con calma, muoviti delicato, chiedi alle falangine di fare ben presa, sembra essere lungo decine di metri questo diedro, poi finalmente riesco a uscirne: sospirone di sollievo!
Cerca la sosta, che non trovo. Roccia friabile, là la cima, qui sotto a destra un clessidrone, mi fermo qui anche se bello scomodo. Recupero Riccardo che uscito dal diedro mi dice “ma allora sai arrampicare, non sei una fighetta”, sentilo questo qua!
Con calma arriviamo in cima, sono 100m nel senso di distanza, non di dislivello. È fatta, spettacolo: non c’è nemmeno da preoccuparsi troppo della discesa, tanto è sentiero e ferrata (facile tra l’altro). Mentre mangiamo, beviamo e scherziamo, le nuvole giocano con le cime, regalandoci solo a sprazzi la visione completa da questo balcone sulle dolomiti. Ma che spettacolo il Sassolungo, e le Odle, e chi più ne ha più ne metta!
Riccardo fa lo scemo con gli uccellacci che implorano pezzi del nostro panino, ma ho troppa fame per essere generoso, e poi questi pennuti dimostrano già avere una certa panza! Scendiamo, è pure più tardi di quello che speravo, e dopo una scivolata sull’untissima via normale al Grande Cir, ripiombiamo in mezzo alle nuvole quando finiamo al di sotto della quota magica, che se avessimo intuito stamattina non ci saremmo demoralizzati e non avremmo perso tempo.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui relazione dei SassBaloss, che però hanno seguito una linea diversa dopo la doppia a metà salita, prendendo lo spigolo di petto e non traversando più in alto come invece descritto nella via del Bernardi.