domenica 30 marzo 2014

Troppo tardi: Cima di Busa Grana

In questo inverno che mi ha visto fare più sci alpinistiche che cascate, e volevo fare il contrario, questa potrebbe essere l’ultima cartuccia da sparare in giornata, visto che ormai le temperature stanno salendo inesorabilmente.

Dopo una tamugnissima pasta al bar poco dopo essere usciti dall A22, ci mettiamo alla ricerca dell’accesso alla partenza dell’itinerario pensato, ma il primo tentativo finisce contro un divieto d’accesso causa lavori boschivi. Nuovo tentativo, con giro più ampio, e con un po’ di strada ghiacciata arriviamo al Ponte Brustolaie. Sci ai piedi fina da subito e si va. 

Un paio di tratti sulla forestale scoperta obbligano a qualche metro delicato di passi su erba, ma per il resto c’è sempre neve. E lo spettacolo tardo invernale del Lagorai sul primo ponte è davvero di quiete. Solo noi oggi in giro, incontreremo due sciatori in discesa e due ciaspolatori mentre noi ancora saliamo, e basta. 

La forestale è piuttosto noiosa, ma Paolo mi delizia con qualche racconto dei suoi e qualche consiglio di vita dei suoi (per poi rettificare due giorni dopo con “oh, stavo scherzando”), un ottimo modo per smorzare una lunga salita che non concederà un’altrettanta divertente lunga discesa, ma tant’è. 

La in fondo iniziamo a scorgere una cima, sarà la nostra, si vede anche una traccia, e invece no, ma lo scopriremo dopo. Intanto il bosco si apre per poi richiudersi subito, bisogna arrivare a Malga Forame Alta per essere davvero fuori. E lì lo spettacolo è grande. 

Si mangia qualcosa, ci si spoglia, si mettono gli occhiali, e si riparte, perché la cima è ancora lontana, e l’orario è davvero tardo. Che palle, sotto le mie pelli si forma uno zoccolo di neve, accidenti a loro, provo un paio di volte a dare dell’impermeabilizzante di paolo, ma conta poco. Pazienza, tanto non dovrò tenerle a lungo montate.. 

Nel dossetto che rimontiamo per seguire la traccia (beh, seguiamo perché sappiamo esser corretta), il dover applicare l’impermeabilizzante fa staccare Paolo che prosegue verso la traccia che vedevamo fin da giù. Raggiungo un dosso nevoso, e Paolo mi urla di non salire dove è andato lui, che è un OSA: in effetti lo vedo che prosegue a fatica.. Provo a guardare alla mai sinistra, una debole traccia prosegue su resti di valanga, proviamo. 

Raggiungo un altro dosso poco distante, e da li è chiaro che la cima è laggiù in fondo, solo che ci sarebbe da tagliare un pendio che anche se a nord, è tutto al sole. E sono le 13.. Tolgo gli sci, e mi ci siedo sopra, in attesa degli altri, anche se mi pare chiaro che la gita finirà qui, a 2300m. 

Ma quanto si sta bene al sole.. Vedo gli altri arrivare al dosso di prima, loro parlano a voce normale e io li sento benissimo, io urlo e non mi sentono. Mi raggiungono, si mangia qualcosa e si torna indietro. Intanto Paolo si è goduto il tratto di discesa che nessun altro dei nostri ha salito, ma ci racconterà che era pericoloso come neve.. 

E finalmente si scende, anche se ho il timore che la neve non sarà un granchè, salendo era crosta. Oggi mi sento spavaldo, strano per me, ma va bene, una volta che mi sento di osare osiamo. Si raggiunge il dosso da dove Paolo è salito in men che non si dica, poi si inizia a scendere poco a lato della traccia di salita, ma Paolo sta per migliorarci la giornata. 

Propone di andare verso destra, secondo lui troveremo neve migliore, e infatti giungiamo sopra un bel pendio largo di neve non farinosa, ma quasi. E qui si torna tutti bambini, Paolo che vuole scendere per primo minacciando gli altri di non rovinargli la traccia, e ognuno che si gode la discesa, chi a curve più strette, chi a curve più larghe. 

Questo pendio lo spezziamo in due/tre parti, in modo che i bravi possano seguire e dare qualche consiglio alle schiappe. E quando meno se lo aspetta..mi lancio giù rovinando la traccia a Paolo, che soddisfazione. Davvero bel pendio, prendo delle velocità per me ragguardevoli, qualche numero per mantenere l’equilibrio e restare in piedi, ma nel tratto finale sappiamo occorre lasciarsi andare per poi riuscire a proseguire il più avanti possibile sul vallone piatto sotto di noi. 
Uno sguardo la pendio non più immacolato alle nostre spalle. La spinta non mi basta, mi tocca scivolare ma con forza, Davide sorpassa Edi quando meno se l’aspetta, e ci  ritroviamo in mezzo a degli alberi. Spavaldo provo qualche metro davvero ripido, finendo in un avvallamento dal quella riemergo con un numero da circo che suscita la risata di Davide.

Paolo studia il da farsi, prova di qua, prova di la, si scende dai, e la malga è laggiù, lo vedo fare un saltino su un dosso “dai lo faccio anche io”. In cuor mio so che tanto quando ci arriverò sotto mi cagherò a dosso e passerò a lato, invece lo prendo, per qualche frazione di secondo mi ritrovo con niente a contatto col terreno, che figata! 

Si arriva alla malga, ormai è finita.. In realtà avevo adocchiato un pendio che tagliava un tornante a scende, ma quando Paolo e Davide lo proveranno si rivelerà un bluff. Non resta che spaccarsi i miei inesperti quadricipiti a scendere a spazzaneve per la forestale. Ma lassù è stato divertente!

Qui altre foto.
Qui report.

sabato 29 marzo 2014

La (quasi) fregatura alla fine: Vajo dell’Uno, ma bel vajo!

“i vaji fregano sempre alla fine”, questa la regola coniata la stagione passata, ma che quest’anno non ci aveva ancora dato prova di essere valida anche nel 2013-2014. Fino a oggi. Ma veniamo con ordine.. 
Complice l’uscita per formazione dei nuovi aspiranti istruttori, si decide di sparare quella che potrebbe essere l’ultima cartuccia su neve, e quale posto meglio del Carega? Vajo dell’Uno, tanto corteggiato da Nicola negli ultimi inverni, e ci mette poco lui a convincerci della bellezza dell’itinerario. Lungo, isolato, selvaggio, freddo, insomma montagna.
Certo quel TD+ non è probabilmente alla nostra portata, ma visto l’abbondante innevamento magari i salti di roccia sono ben coperti e le difficoltà abbattute. In ogni caso il Vajo Basilio e il Grande Ramo Destro rappresentano due vie di fuga. Vedremo salendo.
Partenza notturna, arriviamo all imbocco della galleria che rimbomba in modo terrificante i bauli delle auto che si chiudono, alle 5 siamo in cammino, nell’oscurità. Complice la carica, ma anche il buio, il tempo vola sulla noiosa forestale che ci porta ai piedi delle Giare Bianche, che imbocchiamo. E ai suoi piedi arriviamo che ormai le frontali servono a poco. Ma l’alba è lenta, oppure i nostri occhi si sono abituati alla poca luce, e di sole ne vedremo poco, ma meglio così. 
La poca neve iniziale ci fa inciampare sulle pietre sottostanti, poi finalmente il manto bianco diventa più abbondante e..morbido. La neve non è portante, qualche traccia aiuta la progressione, ma un po’ si sprofonda. Il nostro vaio sta li di fronte a noi, ma si nasconde dietro alte pareti rocciose. Ora si vede distintamente il Pasubio, ma non ce ne curiamo, ci infiliamo in una delle vene del Carega, e ne usciremo tardi.
Si parte a pendenza moderata, le picche possono benissimo essere rimpiazzate dai bastoncini, e io nemmeno quelli tiro fuori: ma nei tratti in cui si andrà giù fino al ginocchio, le moffole serviranno per garantire una progressione a 4 appoggi. L’ambiente è suggestivo.
Avanziamo un po’ sparpagliati, ognuno al suo passo, ma chi sta dietro usufruisce anche di una traccia più marcata di quelli che stanno davanti, e presto appare davanti a noi la Guglia Adriano, come la prua di una petroliera che ti viene incontro mentre te ne stai tranquillamente sguazzando nel mare.
Dopo aver osservato tre ragazzi sulla destra intenti a prepararsi per aprire una via nuova su un diedro verglassato, riflettiamo. È questo il primo bivio, dove nel caso di difficoltà sul primo risalto abbiamo la nostra via di fuga che si chiama Vajo Basilio. Ma del risalto nessuna traccia, tutto coperto di neve, ciò ci rende ottimisti sulla riuscita della giornata!
E adesso il vaio si fa anche più interessante, si incassa tra pareti vertiginose che si stagliano verso il cielo. Ci si sente davvero piccoli in mezzo a questi giganti le cui dimensioni non riescono a essere chiare. Gianluca avanza, si vede che la corsa gli fa bene, ma probabilmente è proprio che si sta divertendo un casino..
Poi piano piano il vaio torna ad allargarsi, lentamente, lasciando ai nostri occhi una lenta scoperta di quello che ci aspetta, di quello che ci minaccia, e di quello che ammireremo. Punta Innominata davanti a noi, ma appena più a destra si erge il Castello del Cherle, oggi rinominato il Cerro Cherle: le sue pareti sono intrise di neve fredda, e sulla sua sommità delle cornici spumose lo rendono più elevato in altezza.
E quando il vaio torna ad allargarsi definitivamente, uno sguardo all’ indietro ci fa apprezzare questa V di roccia tanto chiusa che abbiamo percorso al suo vertice. Sono le 7e30 quasi, e ci ritroviamo al bivio con la seconda via di fuga, il Grande Ramo Destro. Se volessimo proseguire sul Vaio dell’Uno dovremmo tenere leggermente sinistra, passare sotto a questa parete verticale e vincere il secondo risalto. Proviamo a vedere.
Io e Gianluca, che siamo davanti, osserviamo quelle cornici colpite del sole, non ci piacciono per niente, meglio fare alla svelta a salire e mettersi al sicuro da una loro eventuale caduta. Ma il dubbio comincia ad insinuarsi. La neve non è delle migliori, non è dura, a volte si sprofonda fino al ginocchio, e sui tratti un po’ pendenti avanzare significa tirare su il piede fino al petto per poi vederlo scendere inesorabile fino al piede che è rimasto giù. Se la neve è questa sul tratto finale quasi verticale, non ne usciamo. Ma scendere ora vuol dire passare del tempo nell’imbuto del Cherle.
Ci si ricompatta e si decide di proseguire, il secondo risalto sembra ben coperto anche lui, ciò mi da ancora più fiducia sulla riuscita della giornata: primo risalto completamente coperto, secondo coperto, la parte finale sarà bella carica! Ora ci alterniamo maggiormente a battere traccia, addirittura Nicolapassa in testa, più unico che raro.
Ok, ora però meglio che tiro fuori le picche e la smetto con la progressione a 2 o 4 zampe. Nicola parte per il secondo risalto, coperto da neve e da un po’ di ghiaccio, gli pare tranquillo e quindi non si lega nemmeno, ma a metà “ragazzi, legatevi che è meglio”, mi pareva strano che affrontasse una simile difficoltà in slego, proprio lui che su roccia protegge ogni 2m!
Sale Gianluca, lo segue il suo secondo Giorgio, e poi è la mia volta. Giorgio e Gianluca ripartono già sul vaio che spiana. Segue Roberto legato a Nicola, Cristian legato a me, e mentre esce Federico, anche io e Cristian partiamo. Ora sono Giorgio e Cristian a tirare le rispettive cordate verso quel dosso di roccia laggiù che pare dica “venite qui, vi proteggo io dalle cornici del Cerro Cherle, che poi ormai arrivati a me ve le siete lasciate alle spalle”, mi piace questo messaggio e intendo ascoltarlo, vai Cristian!
Al dosso, sono poco più delle 9, direi che come tempo sia buono, ci mancano poco più di centinaio di metri di dislivello prima di uscire, direi che ormai il seguito è segnato, non resta che uscire. Scambio, io e Gianluca in testa. La pendenza aumenta, le vecchie tracce di chi ci ha preceduto nei giorni (weekend?) scorsi ci confermano la via da seguire, e ci incuneiamo per l’uscita originale: ci si torna ad incassare.
Lo scenario è davvero suggestivo, selvaggio, nevoso. Calma e tranquillità pronti ad esplodere in frastuono e caos. Dietro di noi appaiono altri due alpinisti che avanzano a spron battuto, anche grazie alla nostra traccia probabilmente. Il vaio curva leggermente a sinistra e poi a destra, lasciando scoprire solo all’ultimo momento quelli che sono i prossimi 10m ogni volta. Azz, un salto di roccia scoperta..
Vediamo anche un bel meringone poco prima del salto a destra, non ci piace. Gianluca si ferma un attimo, ehi filiamo su a vedere di metterci in sicura sotto il salto e sopra il meringone: intanto il secondo gufo Gianluca (il primo gufo è Nicola) vede già un film. Saliamo sotto il salto e sopra il meringone, il mio occhio rapace vede un cordino intorno a un masso (terra?)incastrato al quale mi assicuro immediatamente, e così fa Gianluca.
I due veneti ci raggiungono “complimenti al tracciatore, grazie!” “prego tranquillo, vediamo se ora ci restituite il favore” gli rispondo veggente. Nicola (quello veneto, non il nostro) ci supera e inizia ad affrontare il passaggio chiave non senza difficoltà. Il nostro Nicola dovrà fare lo stesso! E iniziamo a perdere tempo..
Parte anche il secondo dei veneti, che ahimè inizia a scaricare neve e sassi che oltre che finirci in testa (sguardo basso, denti stretti e collo rannicchiato a proteggere la fessura del collo che porterebbe la neve nella schiena) sollecita il meringone che si stacca e finisce addosso a chi stà sotto. Breve scivolata per Cristian e Giorgio assicurati alla sosta, un po più lunga per Nicola e Federico fermati dalla prontezza di riflessi di Roberto.
Breve ma intensa, Giorgio botta la ginocchio, Cristian alla caviglia, i due veneti sopra capiscono l’accaduto e ci accordiamo per un aiuto, ci caleranno la corda dall’alto in modo che uno di noi salga da secondo e possa in seguito assicurare tutti gli altri da secondi. Le manovre iniziano a essere lunghe e laboriose, porca miseria, tocca salire a me per primo.
Legatomi alla corda gialla dei veneti, e portando su la rossa di Nicola e un’altra blu, parto per una bella faticata imprecando su ogni appiglio che si rivela essere svaso, per ogni spaccata che si rivela essere precaria, per ogni tacca dalla quale la punta della picca scappa inesorabilmente appena gli si da carico. Ma c’è da stringere i denti e salire, arrivati qui l’unica strada è uscire. Tornare indietro sarebbe più lungo ed esposto a pericoli di caduta cornici del Cerro Cherle che arriverebbero fino a valle.
Senza nessuna eleganza, ma efficacia, riesco a superare il tratto, ma le mani si ghiacciano: ho tolto le muffole per avere più grip (psicologico) sulla roccia, ma queste si sono riempite di neve, e all atto di rimetterle oltre a stare stretto sto anche freddo. Stringi i denti. Inizio a vedere Nicola il veneto lassu, dopo circa 10m di difficoltà sostenute su misto, inizia a spianare ed essere più abbordabile.
Arrivo da loro con sorriso a 32 denti, 11e30, li ringrazio per la collaborazione, ma prima di andare via gli chiedo una mano ad allestire una sosta bella sicura visto che sotto mi sa vorranno fare una fissa con la rossa per salire più agevolmente. Questo tiro di corda ci impegnerà un sacco di tempo, tra difficoltà e manovre e uscita uno alla volta, Gianluca resterà sulla sosta sotto il passaggio chiave quasi 4 ore!
Certo che esser quassù da soli, coi miei amici giù senza possibilità di comunicazione, non è proprio piacevole.. Dopo quasi due ore vedo finalmente Giorgio emergere dal budello, il primo di una lunga serie: Cristian, Federico, Roberto, Gianluca, in poco più di un ora usciranno tutti. Nicola ha attrezzato una fissa con la rossa (la blu che ho portato su essendo 50m non è bastata alla funzione), salito per primo ha fatto sosta alla fine della roccia e facilitato la salita degli altri con anche un mezzo paranco. Poi appena erano alla mia portata di vista, gli lanciavo giu la blu per farli salire da secondi. Un bel groviglio di corde!
Crisitan esce con la caviglia dolorante, Giorgio con gomito e ginocchio, le loro facce parlano chiaro! Io, Gianluca e Nicola rimaniamo a disfare e mettere in ordine tutto, gli altri iniziano a scendere. Nicola ahimè perde il cellulare che si sfila da una tasca dalla cerniera traditrice. Il buon Alberto di Trento il giorno dopo lo ritroverà e glielo spedirà per posta: esistono ancora le brave e gentili persone, ti scalda il cuore.
Come sempre, la discesa è più lunga di quel che sembra, osservo tracce di sci e penso “cacchio che bella neve da sciare” e Nicola “ma te scendi da qui?” “no no, troppo ripido per la mia scarsezza!”. Cristian stringe i denti (complimenti!), ci si ferma per qualche pausa di riposo, ha una distorsione alla caviglia.
Dopo più di 12h siamo di nuovo all’auto. Doveva essere un’uscita formativa, e direi che lo è stata alla grande! Come ha detto Nicola uscendo dal budello “oh, bel vajo eh?!”.

Qui altre foto.
Qui video di Nicola.
Qui report.
Qui la guida di Bellò.
Saluti ai due veneti che ci hanno dato una mano a risolvere una situazione globalmente non semplice.
Ma poi i tre ragazzi sono riusciti ad aprire la via sul diedro verglassato?

domenica 16 marzo 2014

Ieri il purgatorio, oggi il paradiso: Cima Forzellina

E poi ci sono queste giornate che riaggiustano tutto, che fanno dimenticare la cocente delusione di ieri, che ti mettono in pace (temporanea) col mondo, che ti tuffano in un mondo diverso dal quotidiano, fatto di spazi aperti, liberi, dove disegni tu il tracciato, dove il tuo obiettivo è a portata di mano, dove ti senti vivere. 
Da Pinzolo ci siamo spostati nella Val di Sole, che un po’ conosco e che spero non mi tradisca, assetati di fatica e di discesa. Una cenetta mica tanto riuscita e poi ce ne andiamo a letto, di nuovo in macchina, ma in un tornante panoramico sulla Val di Peio, al chiaro di luna: nel pomeriggio abbiamo esplorato la partenza del giro e dove parcheggiare. Ben 5 ore di sonno ci aspettano, ma il vento forte ci sferza e sembra di essere in culla, speriamo si plachi o domani non si riesce a girare, si vola via!
La sveglia suona, colazione, preparativi e alle 3e30 circa ci incamminiamo sci in spalla alla ricerca della prima neve dove calzarli. Si inizia con una forestale pallosa ma che permette di non sbagliare tracciato, pendenza blanda, ore e ore a strusciare, ma il buio che restringe gli orizzonti visuali rende tutto meno noioso, o meglio non si percepisce il tempo che passa. Ed è tutto relax, silenzio, buio, solo noi.
Imbocchiamo una strada sbagliata e finiamo nel giardino di un maso, dietrofront e si continua a cercare i giusti tornanti dove continuare a salire. Per evitare di perderci avevamo scelto di seguire fedelmente la forestale che tanto arriva fino alla Malga Mason, ma dopo un po’ ci stufiamo e ci fidiamo delle evidenti tracce (un po’ sparpagliate a dir la verità) e tagliamo nel bosco, finchè questo si apre e ci fa capire che la famosa quota 2142 non è lontana.
Così scopriamo le cime attorno a noi, illuminate dalle prime luci, non certo dai primi raggi. Luce fioca e lattiginosa, nubi sul gruppo del Vioz Cevedale e vento in quota. Facendo due conti siamo a metà dislivello di salita, la strada è ancora lunga. E attraversando il panettone pianoro, ci mettiamo alla ricerca di dove svendere in Val Comasine, acquisendo sempre più visuale su quello che ci circonderà nelle prossime ore.
Il sole sorge, scalda i giganti di oltre 3500m e qui pendii che mi viene il timore di dover attraversare alla base, ma non è così. 
Invece che scendere fino alla Malga Mason e poi risalire, evidenti tracce tagliano verso sinistra traversando il pendio (il tutto dopo qualche decina di metri scesa sci paralleli al pendio). Il gioco inizia a farsi sempre più divertente, c’è la voglia di scoprire cosa troveremo e vedremo dietro il prossimo angolo, e di angoli oggi ce ne saranno parecchi!
Gironzoliamo per i dossi che costituiscono la valle, fino a trovarci al Camping Val Comasine, che riconosco solo per esserci già passato d’estate, altrimenti la neve lo copre fino al tetto. Il sole illumina qua e la gli spazi, ma le molte nuvole presenti in cielo continuano a mantenere una spiccata variabilità di illuminazione, e noi comunque siamo coperti dal massiccio del Boai. Ma finchè si sale va bene, fa anche troppo caldo così!
Ci ritroviamo in un budello che sale, quei minacciosi pendii che avevo osservato scaldarsi restano ben lontani dalla nostra traiettoria. Inizio a pregustare la discesa. E sopra al budello, siamo esposti al vento: esposti è una parola grossa, perché a giudicare dalle cime della Val di Rabbi, quello che ci sferza è niente in confronto a quello che alza decine di metri di neve!
La vera figata, è che fuori dal budello ci ritroviamo in paradiso. Un bel altopiano (non troppo piano eh) di colore bianco candido, qualche marrone roccia in alto sulle cime, e ancor più su l’azzurro cielo. Spettacolare, un po’ me l’aspettavo, ma a volte l’immaginazione viene superata dalla natura.
Sarà la stanchezza, sarà il luogo dove ci troviamo, ci fermiamo spesso qualche secondo ad ammirarci intorno. Su cima Boai delle nuvole nefaste ci offuscano il sole, che se no qua e la invece illumina a modo. Meglio così, caldo in meno e scottatura evitata.
Quella che dal pianoro temevamo essere Cima Forzellina si rivela una propaggine verso nord della cresta della nostra meta, e meglio così, visto che i suoi pendii ripidi ci avevano fatto temere. Ma quassù chi ci ha preceduto ha gironzolato un po’ ovunque, l’autostrada di ciaspole e sci che ha ricompattato le varie tracce in basso adesso torna a dividersi.
Non bastasse quello che ci sta intorno a “corto” raggio, man mano che si sale il raggio si ampia sempre più. Laggiù si scorgono le curve delle dolomiti, con il Pelmo inconfondibile. La cresta Boai-Forzellina si abbassa e ci mostra il superbo Brenta, poi di certo anche lo Scarpacò, e la Presanella. Il panorama dalla cima sarà superbo! E ormai in cima ci arriviamo, siamo qui, ce la dobbiamo fare.
Mettiamo piede, asta, culla cresta che porta alla cima, manca poco ormai, e solo ora sbucano alle nostre spalle altre tre persone: peccato, toccherà condividere questo paradiso con qualcuno, ma per pochi minuti. Intanto la cresta ci fa ostiare un po’ visto quanto è ghiacciata: spero esca presto il sole a smollare questa neve e farci godere una discesa che altrimenti inizio a temere sarà troppo di neve dura.
Riccardo mi precede, oggi ci siamo scambiati spesso i ruoli, non che ci fosse nulla da tracciare. Ma a un certo punto lui opta per un bel traverso, mentre io seguo la cresta, e così facendo arriviamo sul panettone sommitale quasi da due lati opposti!
 Video divetta. Sono poco più delle 9, ottimo timing.
C’è solo il vento a rovinare la cima, dalla quale il panorama è vasto e solo le foto possono tentare di descriverlo. Vento fastidioso davvero, ma questo è niente rispetto a quello che soffia sulle cime dell’Adamello, dove so trovarsi un paio di amici che chissà se avranno abbastanza piombo nello zaino per non decollare. 
Riflettevo in salita che un aspetto dello scialpinismo è che la vetta non diventa più fondamentale, in quanto essa non è più l’obiettivo primario, che si sposta alla discesa (a meno che si tratti di un giro ad anello). Ma oggi c’è stata anche questa, e adesso via verso l’altra. Scendiamo qualche metro per trovare un angolino un po’ riparato dove togliere le pelli e prepararci al gusto..
Accidenti, ma la prima parte mi spaventa, è troppo ripida per le mie capacità, o la mia fifa che dir si voglia. Scendo un po’ a sci paralleli al pendio, poi prendo coraggio e riesco a fare qualche curva e qualche ruzzolone. Il sole che è uscito giusto quando siamo arrivati in cima, ha iniziato a far smollare la neve, che così diventa più facile da scendere.
I tre tizi che ci han raggiunto in vetta continuano sulla cresta della cima senza nome, mi volto a guardarli e li vedo investiti da una raffica che gli fa volare via qualcosa: siamo scesi in tempo! La fame ci sta consumando, cerchiamo un posticino al riparo dal vento, ma o il non decidersi se questo vada bene o la voglia di continuare a surfare, continuano a farci scendere ancora un po’. Poi basta, ci accasciamo per terra a mangiare il nostro panino.
Un’occhiata alla cima alle nostre spalle, e vediamo un mostro bianco trasparente partire dal pendio della cima e scendere veloce verso di noi, gli diamo le spalle e ci investe una raffica che se qui ha questa forza, non oso immaginare in vetta.. La pausa panino in paradiso può proseguire.
È un peccato dover abbandonare questo pianoro magico, ora che il sole lo tinge di luce è davvero perfetto, e se ne accorge anche la mia fronte che inizia a chiedere della crema protettiva. Però tutto finisce, e rimessi gli sci proseguiamo la discesa su dolci pendii di neve smollata e soffice, dando qualche occhiata alle curve disegnate e ai monti intorno.
Arriviamo nei pressi del budello, Riccardo tira dritto “ehi, guarda che siamo saliti da qui” “sì, ma io non ci scendo!”, e troviamo un pendio ancora in ombra piuttosto ripido che mi spaventa un po’, ma la neve è ottima, e ben presto torniamo al sole nei pressi del camping. E dopo di nuovo slalom tra gli alberi e discesa dolce e soffice.
Scendiamo più bassi della malga, alla ricerca della forestale o di tracce che indichino la localizzazione per risalire al pianoro 2142, ma forse scendo troppo seguendo delle tracce che inizio a pensare sdalgano da Peio. Fermi tutti, ripelliamo e iniziamo a traversare verso destra che se no scendiamo troppo! E Riccardo si inalbera al pensiero di esser scesi troppo.. 
Salita col caldo bestia che c’è, non è proprio il massimo, ma ben presto siamo di nuovo a contemplare il panorama. Uno sguardo a quella valletta dell’eden la cui vista tra poco sarà impedita dal versante nord di Cima Boai. Una bella bevuta e si riparte con la discesa!
Seguire fedelmente la forestale sarebbe una palla, ma sarebbe anche sicuro per non sbagliare o non trovare zone senza neve o troppo ripide o fitto bosco. Ma finchè siamo in quota..pista! Tagliamo il più possibile, tenendo le tracce di salita sempre presente se stiano a destra o sinistra e non siano troppo lontane.
Ma il gioco non dura fino in basso, a un certo punto il pendio diventa ripido, dal percorso incerto nel taglio, e senza tracce di altri che ci abbiano preceduto. Via che si spinge sulla strada. Cercando di districarci in mezzo agli alberi caduti che la occupano, quando non mi si incastra la picca..
Anche il taglio sopra il ruscello è meglio evitarlo, finirci dentro non sarebbe piacevole e rovinerebbe una giornata che è stata fantastica. Arriviamo quindi nei pressi della chiesetta di Santa Lucia, e ci togliamo gli sci, la pacchia è finita. O no?! Ci incamminiamo a piedi, incrociamo una coppia di anziani, lui ci chiede “è molle la neve?” “eh si, per scendere va bene” “eh bisogna partire presto” “ma guardi, noi siamo partiti alle 3e30” lei salta su ed esclama “dio mama!”.
E quando scorgiamo la macchina al tornante, scorgiamo anche che sul pendio che la sovrasta c’è ancora neve. Si può resistere? NO! Si rimettono gli sci e ci godiamo le ultime quattro curve prima di arrivare al’auto e metterci in mutande al sole. Sono quasi le 13, sistemiamo tutto, curiamo le vesciche, trangugiamo biscotti, scambiamo due battute con una vecchina che sale a piedi, e si riparte.
Dallo scazzino della Val di Sole sopra Cles ci fermiamo per birra e panino con luganega, osservando il fianco di una montagna completamente frastagliato dalle valanghedi fondo: praticamente è rimasta neve solo sulla cresta, impressionante. Ci ricorda ieri, ma oggi è stato diverso.

Qui altre foto.
Qui video di vetta.
Qui report.
Qui relazione su web.