sabato 10 maggio 2014

Solitaria notturna sul Cusna

Quest’inverno il mio Appennino l’ho proprio trascurato, almeno per quel che riguarda le mie sgroppate. La voglia è tanta, durante la settimana elaboro l’idea che sabato potrei concatenare sia una discreta attività arrampicatoria che una camminatoria, mi sento fuori forma su entrambe le attività. Poi domenica c’è il corso, il weekend ce l’ho tutto libero, insomma l’allineamento egli astri sembra poter condurre a questa via. Ma finchè resta un progetto, meglio non accennarne a nessuno.
La giornata di arrampicata in Pietra di Bismantova finisce presto, alle 16e15 sono a casa, l’allineamento continua. E il Cusna l’ho visto da lontano, mi ha invitato. Controllo le webcam, il meteo, la luna (in realtà ricontrollo, è da qualche giorno che studio e affino). Direi che sono spacciato, sono costretto a dare sfogo alla mia malattia. Preparo la roba, ripreparo, visto che già da ieri sera il baule della mia auto è equipaggiato per tutte e tre le sessioni montane del weekend.

Dopo aver salutato un po’ di caprioli per la strada, vedo il crinale, cazzo è coperto, poi il Cusna, è scoperto! Via via verso Monteorsaro, la via più semplice e veloce di accesso alla più alta cima reggiana. Ammetto che il dislivello è basso per i miei canoni, ma domani non vorrei essere uno straccio, mi accontento di toccare la croce da questa salita, che tra l’altro non ho mai intrapreso: speriamo il sentiero si veda al lume della frontale.
Ore 20e40, il sole già basso ma ancora un po’ di luce illumina la mia meta, ben visibile dal Rifugio Monteorsaro. Parto veloce, per sfruttare al massimo i pochi minuti di luce naturale rimasti. Taglio quando possibile la strada per salire più in fretta. Volevo salire per il 619, ma mi ritrovo sul 623 a partire. Eccomi però a un cartello che mi dice che posso ricongiungermi al 619, ma pare che così allungherei..va beh, andiamo.

Ormai è quasi buio, e nel fitto bosco la strizza avanza. La frontale si accende. Cammino come un caterpillar, spezzo, pesto, e qualche volta inciampo, su ogni sasso, rametto, frasca, tronco che sbarra la mia avanzata, fretta, voglia di faticare, e paura. Già, paura, chi non l’avrebbe in un bosco al buio da solo? Ecco.
Altro cartello, ora sono sul 619, taac devio, dovrei pure arrivare a un bivacco, che però sembra lontanissimo. Son qui che calcolo il possibile orario di ritorno alla macchina, per poi decidere se andare a casa a dormire oppure piazzarmi nel mio sacco a pelo in macchina ad aspettare le 5e20, orario di ritrovo per la partenza dell’uscita del corso A1. Beh in realtà penso anche a cosa e dove mangiare una volta sceso, chi c’è di aperto a tarda notte? Scazza! Oh evvai, un bel panino cipolla e salsiccia.

Eccomi al bivacco, che brutto e scarno, ma tanto non mi devo fermare qui, apro la finestra timoroso di quello che potrei trovare..nulla, vuoto. Ma senti fin da qui che casino che fa il torrente, quanta acqua che ci deve essere. E infatti, seguo il sentiero ma il torrente è bello vivace, coi bastoncino sondo la profondità.
Non si passa. Cerco avanti e indietro un possibile posto per guadare il torrente, che due maroni, sta a vedere che mi torna tornare indietro e seguire il 623! Anche perché saltare sulle rocce scivolose.. Cerco sassi da lanciare in acqua per farmi da ponte. Nulla. Va beh, provo a passare di qui, un passo, un altro passo lungo, saltino e sono di la, schizzato un po’ ma ci sono. Vedremo come fare la ritorno, ora si avanza.

Il bosco sta per finire, e..il sentiero non è più chiaro adesso che lo spazio si è aperto. Mmm, la strizza di perdersi. E poi chi lo sente Nicola domani se non mi vede al parcheggio con gli istruttori contati?! Un’occhiata alla cartina, deve essere di qui, oh, sono su una dorsale che va seguita, seguiamola. Ma diamo spesso uno sguardo all’indietro per memorizzare dove sono passato: cespugli, alberelli, sassi, e tra poco qualche lingua di neve.
Confortante trovare un segno un sasso, il sentiero. Magari lo riperderò, ma almeno sono sulla strada giusta, non sono disperso. Meno confortante il vento, caldo (per ora) e impetuoso, pensa lassù. Vediamo se ci arrivo intanto. Le lingue di neve si fanno sempre maggiori, le evito il più possibile, ma ogni tanto una pestatina gliela do come traccia del mio passaggio. Non ho le briciole di pane, anche perché se le avessi me le mangerei, ma qualche segno cerco di lasciarlo.

La salita continua, alla mia destra la dorsale dove corre il 623, sopra di me una bella luna, alle spalle le luci della pianura, e alla mente la frase topica “chissà in quanti stanno trombando laggiù”, frase frutto del racconto di una salita al Monte Bianco. Ormai la neve non è più evitabile, qualche macchia va attraversata, e non è che sia propria tranquilla. La pendenza sostenuta e la consistenza della neve provoca qualche sblisgo, che in discesa necessiterà di attenzione.
Ma il sentiero dov’è? Ah ok, ecco un segno, guarda indietro, ok, quella lingua di neve me la tengo alla destra a scendere, avanti. Cambio di pendenza ed ecco il gigante, e quanta neve alla sua base. All’incrocio col 617 la neve diventa continua fino in cima, meglio mettere i ramponi. I ramponi in Appennino a quasi metà maggio, magia. Magia necessaria, testa china e linea della massima pendenza, direttissima alla croce, e i ramponi servono eccome. Un leggero venticello complica la tenuta dell’equilibrio.

Ore 22e15, ecco la croce e la madonnina, non più coperta di neve. Confortante sapere di averci messo appena più di 1h30, la mia forma non è così scadente! E il panino di scazza si avvicina.. E per digerirlo servirà una birra. Dove dormo? Ma no dai, me ne sto in macchina e amen, ci guadagno mezzora di sonno. Ma meglio dormire 3 ore scomodo o 2e30 comodo? Beh adesso vediamo.
And now..treppiede e vai di foto! Almeno ci provo. E direi che ci riesco. Mangio qualcosa o no? No dai. Però, visto che le foto le faccio coi tempi lunghi, il tempo non mi manca. Mars di vetta. E mi godo la luna piena. Aspetta che mi vesto e metto i guanti anche, c’è un freddo vigliacco grazie a questo vento che ora è freddo (si vede prima era caldo per effetto Fohn).

Scatta e riscatta, però ora basta, andiamo giù. Sparato sulla pendenza di neve, continuo coi bastoncini e ramponi, la picca la evito. Tolgo i ramponi dove li avevo messi, e faccio qualche altra foto. 22e45, ora si scende senza soste!
Trovo il sentiero meglio di prima, utile il piccolo ometto che mi ero fatto salendo, fato come indicazione “questa macchia di neve aggirala a ovest”. Appena ricomincio a udire il frastuono dell’acqua, mi torna alla mente il guado difficoltoso, ma se ora mi bagno non è più così problematico. E invece, meno schizzi di prima.

Un rumore nell’erba vicina al sentiero mi fa sobbalzare. Un topolino che si muove fa paura come un mammut. A scendere non taglio la strada del Passo della Cisa, è andata bene fino qui, evitiamo rischio di perdersi e soprattutto una pendenza minore dovrebbe sollecitare meno il ginocchio. Versi di caprioli nel bosco, uno che scappa vicino a me, un infarto smorzato per un pelo. Alle 23e50 sono alla macchina.
Vorrei fare il cambio abiti con calma e sistemare la roba di stanotte e per domani, ma i versi dei caprioli (chi ha sentito il loro verso sa che è tutt’altro che dolce, sembra un ruggito col mal di gola) e il conoscere una fontana di strada dove potersi dare una lavatina, mi fanno sbrigare a cambiarmi sol le scarpe e fare tutto da lei.

Eccola, mi abbevero, poi mi cambio dandomi una sciacquata, sistemo l’attrezzatura per domani, la roba di stasera, e via giù verso la pianura. Si è fatta una certa ora, mi pare il caso dormire in auto al parcheggio. Senza nemmeno troppo sonno riesco a guidare fino alla bassa modenese, sarà la voglia del panino che mi trascina giù. Oh, un bel panino e una birra, ci vuole!
Arrivo da Scazza e la cocente delusione: è pieno imballato! Vaffanculo, io non ci sto 45minuti in fila, preferisco dormire. Con la coda tra le gambe cerco un nido dove parcheggiare, mi bevo una lattina di birra che bazzicava nella borsa per sbaglio, mi cambio per domani e mi infilo nel sacco a pelo. Domani è un altro giorno, pardon, tra 2h30 è un’altra avventura.
La nostra passione è una brutta bestia, ti spinge a far cose che durante tutto il tragitto ti dici “ma chi me lo fa fare”, spesso durante l’ascensione ti dici “ma non me l ha mica ordinato il dottore”. Ma quando arrivi in cima ringrazi la tua follia.

Qui altre foto (poche, viste le condizioni di luminosità, tutte quelle postate sono dalla cima).
Qui report.

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