giovedì 31 luglio 2014

Guglia del Rifugio: partiamo Maestri e finiamo Artisti

Cercando di rendere fruttuosa la giornata di ferie imposta, ecco Giorgio a farmi compagnia nella sua ultima giornata di ferie pre nuovo lavoro. Carichi a molla, il meteo ci smorza, in viaggio non sappiamo ancora dove andare: Catinaccio o Passo Sella? Scartiamo quest’ultimo appena entriamo nella valle e vediamo che se ne sta in mezzo alle nubi. 
Spigolo delle Bregostane? Mmm, temiamo troppo tempo e Nicola se ne avrebbe a male, ma dal parcheggio è li che ci tenta. Giorgio aveva adocchiato Hendrina, ma un sms di Nicola ci fa titubare “Davide ci aveva sudato”, Davide, uno dei migliori che conosca.. Prendiamo il bus e saliamo al Gardeccia, poi vedremo. 
Entrare nel cuore del Catinaccio è sempre un’emozione. L’ultima volta fu con gli sci. Il cielo non è proprio invitante, ma siamo qui, cerchiamo di portare a casa qualcosa: saliamo verso il Campanile Gardeccia! Già riconoscere questi torrioni che si staccano nel caotico mondo dei dirupi di Larsech non è facile, quando venimmo due scorsi ottobre faticammo a trovare la Guglia del Rifugio.
Saliamo il ghiaione, e man ano che ci avviciniamo la verticalità della parete ci spaventa. Arriviamo sotto, mea culpa solo ora leggo bene la relazione, grado continuo, pochi chiodi, SMS di Nicola: lascia stare, non ce la sentiamo di salire questa via! Ma ricordo una via sulla Guglia del Rifugio con la quale abbiamo un conto in sospeso, andiamo da lei che era più facile e ricordo che Paolo e Mirko dissero che era bella.
Eccoci all’attacco, peccato che Giorgio abbia dimenticato la corda alla base di Hendrina.. Ricordando quanto sudammo il primo tiro della Via dell Artista io e Nicola, decido che sia meglio partire sullo Spigolo Maestro, e finire sulla Via dell’Artista (il VI col cavolo che lo salgo). E il primo tiro parte decisamente tosto, ma la roccia è buona. Accidenti la fessura bagnata..ma passo anche qui. 
Giorgio mi raggiunge, e parte deciso per un tiro non banale ma che risolve con successo. Scruto il Campanile Gardeccia, mannaggia sta via Hendrina! Ma meglio così dai.
Il terzo tiro presenta il tratto più esposto, ma io adoro l’esposizione e mi gaso nel salire lo spigolo. Penso anche il mio amico. Ormai è fatta penso io, ma aspetta.
Giorgio, quarto tiro. Percorso almeno due volte si può dire. Parte dritto con rinvio su un chiodo spezzato, poi verso destra incanalato. Ma non trova come uscire: cerca cerca, disarrampica e torna giù. Prova a sinistra (io credo la via sia di li e poi risalga il canale), ma non c’è nulla, torna giù. Riprova per la strada di prima, sale e poi lo sento esultare per aver superato un passaggio che non gli pareva possibile.
Finalmente dopo un’ora e mezza di peripezie sento finalmente quelle magiche parole “molla tutto!”! In effetti non era chiarissimo dove andare, e tutt’ora non sono sicuro di dove siamo andati! Di certo negli ultimi metri mi complico la vita risalendo una placca invece che aggirarla. Uno sguardo all’ardita guglia (credo sia la punta sud) che si innalza, forse la vera “cima”, ma il cielo è troppo minaccioso e dobbiamo ancora trovare le doppie.
Foto di rito, foto panoramiche in mezzo a tutta questa dolomia, e poi breve disarrampicata verso quell’invitante guglia a cercare gli spit della doppia, che sono dietro quelle lame giganti. Eccoli! Ci si prepara a scendere, privilegiando doppie a una corda sola per evitare incastri e caduta detriti. E ci si infila così in mezzo alle guglie del Larsech, labirintiche. Chissà i primi arrampicatori che viaggi si sono fatti. E verso i Mugoni osservo un bel canale da fare in invernale..se si riesce.
Finite le doppie, un po’ di canale e poi un passettino di disarrampicata con le scarpe da passeggio per finire la giornata. Una marmotta prende il sole beata su un masso, sole rado oggi che lei sfrutta al meglio. Ben presto siamo di nuovo al parcheggio dove prendere il pulmino, sognando la est del Catinaccio.

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venerdì 25 luglio 2014

Apuane Rocks: Diedro Sud al Pizzo d'Uccello

La ditta obbliga giorni di ferie per smaltimento delle stesse, meglio colgiere il lato positivo della cosa e cercare di approfittarne per una giornata di arrampicata: ma come ormai da un po’ di tempo, il meteo rema contro, e pagaia forte! Si aspirava alle Dolomiti, ci adattammo alle Piccole Dolomiti, tememmo la Valle del Sarca, finiamo sulle Alpi Apuane.
E meno male! Partiamo in quattro, io, Claudio, Nicola e Giorgio(il bandito), e dopo una rocambolesca ricerca di parcheggio al casello di Reggio Emilia, si imbocca la salata Parma-La Spezia. Affamati alla ricerca di un bar, assetati alla ricerca di una fontana (ricca di calcio, si vede), e di nuovo affamati alla ricerca di gnocco per pranzo al sacco (io ho già la mia scorta di gnocco alla cipolla..).
E già trovare il parcheggio in queste selvatiche montagne non è facile, una stradina mezza asfaltata mezza rovinata dal tempo, non si sa per quanto salirla, sembra finisca poi prosegue, in tre scendiamo alla ricerca di qualche segno per poi confermare al guidatore di proseguire nel rally. Eccoci finalmente! Ci armiamo come al solito, ovvero più di quello che serve, e finalmente alle 8e45 inizia la giornata.
Il sentiero sale in mezzo a un bosco dove il nostro sguardo si impala di alla possenza della natura, due castagni di cui uno con un diametro di almeno due metri e mezzo. Sti ca. Proseguiamo descrizione alla mano, il nostro lettore ha una voce suadente e chiara, è un piacere fargli ripetere la frase cento volte! Poi si esce dal bosco ecco il Pizzo d’Uccello davanti a noi. La frenesia sale, le gambe friggono, le dita prudono.
Inizia la penosa traversata verso la nostra meta: erba alta fino alle ginocchia che copre la debole traccia di sentiero, e..bagnata. Fradicia. Così come saranno i nostri piedi, splash splash, che schifo, che fastidio. Avanti, non ci scoraggiamo! Anzi, c’è chi inizia la scorpacciata di lamponi, tanti ne troviamo a lato del sentiero, a meno che..non siamo più sul sentiero. Belle le Apuane, selvatiche, erte, mai banali.
Si rientra nel bosco, nel passaggio più probabile per vincere questo impluvio, e poi di nuovo nell’erba alta, rigogliosa, e acquosa. Passiamo in mezzo a dei ruderi senza ormai seguire più il sentiero, ma solo puntando a vista d’occhio al Diedro Sud. Come torneremo indietro? Mah. Ah aspetta, prendiamo questo rudere come riferimento (dall’altro vedremo che ce ne erano altri quattro sotto di noi, e altri sopra di noi).
Il gruppo si stacca, ma sempre mangiando lamponi, si abbandonano i sentieri e si punta la parete. Come capre ci districhiamo tra i massi, i ghiaioni, gli erti pendii erbosi, e finalmente, eccoci all’attacco! La nebbia (nuvole basse) rende più suggestivo il tutto, anche se rompe le palle per la mancata visibilità. Scalzo cerco e spero di far asciugare i piedi prima di mettere le scarpette.
Parte Claudio, il fuoriclasse odierno (ma direi anche di una cerchia più ampia) che in scioltezza sale la parte bassa, per poi scomparire dietro lo sperone. Vai vai, parto io, delicato e psicologicamente poco tranquillo vista l’ultima esperienza di arrampicata in toscana (Torri di Monzone). Invece oggi i gradi sembrano consoni ai canoni, oppure sono in forma, chissà. Camino umidiccio e con passaggio strapiombante, e poi ecco Claudio in sosta. Nicola segue con Giorgio.
Tocca a me adesso, per forse il tiro più bello della via, almeno secondo il mio pare e quello di Giorgio, che lo saliamo da primi. Dopo un breve trasferimento (nella nebbia) verso la base del proseguo della parete, un sistema di fessure e spigoli ci aspetta per un’arrampicata esposta, atletica, armoniosa. Mi sembra quasi di saper arrampicare! Con passaggio pepato prima di arrivare in sosta. Urlo agli amici di godersi questi 35m.
In sosta Claudio, da buon istruttore, aspetta Giorgio per vedere come se la cava e per dargli qualche utile indicazione, poi parte per il tiro chiave, che manco a dirlo, supera con tranquillità. Intanto le nubi basse ogni tanto diradano e ci fanno osservare quanto siamo già in alto e quanto sia verticale ciò che ci sta sotto. Oppure tornano e oscurano tutto, come nel migliore dei film horror.
Il quarto tiro è per bellezza secondo solo al secondo. Ma in realtà me la cerco, dopo aver deciso che sia evitabile il camino (che poi non ci si vedono nemmeno protezione, ne possibilità di metterne giù, decido per la placca, ma poi invece che proseguire in spigolo, mi sposto a sinistra, massima esposizione e passaggi pepati. Poi tutto più tranquillo fino alla sosta, con la mia maglietta verde e calzini che appesi allo zaino svolazzanti tentano in modo improbabile di asciugarsi.
La roccia si è già fatta più brutta, occorre prestare attenzione a cosa si prende in mano, e che non ti resti in mano. Ma anche coi piedi..meglio guardare da sotto dove ci si appoggerà! Claudio parte, lo vedo più “titubante” del solito, chissà, in teoria il duro è passato. Alla sosta con qualche urlo comunichiamo che lui decide di concatenare, prendendo verso sinistra quella che reputo essere una variante.
Già, perché quando tocca a me, azzarola non mi pare tanto easy! E lui dall’alto “hai detto che ti piace l’esposizione?” “si Claudio, ma non mi piace la placca!”. Tratto tosto, vado cauto, soprattutto quando vedo che rischio di scaricare su Giorgio sotto che fa sicura a Nicola. Poi ecco la sosta, non certo quella ufficiale ma efficace. Il panorama si è aperto vero sud, Grondolice, Sagro, nuvole e..cava 27.
Che fame, sbrano un po’ di roba mentre aspettiamo Nicola. Sarebbe bello andare a salire anche Tiziana e uscire in vetta al Pizzo d’Uccello, ma esprimo già le mie titubanze. Vediamo. Intanto Claudio va in esplorazione a cercare l’attacco, io aspetto gli altri due e poi si sale anche noi su erti pendi con l’erba che nasconde buche e sassi. Ah le Apuane!
Alle 14e15 ero fuori dalla via, ma solo alle 15e30 siamo all’attacco di Tiziana, dove il primo tiro incute già un certo timore, il bagnato lo rende più spaventoso, l’orario lo rende tardo, e quelle nubi laggiù lo precludono più bagnato in serata. “Ragazzi, non credo sia il caso di salire. Viene tardi, usciamo alle 18e30 e scendiamo a cercare il sentiero dell’andata col buio. Rischio temporali. Scendere col temporale c’è da scivolare con niente sui quest’erba, se ci infiliamo sulla via poi non si torna indietro in caso di temporale perché qui se scivoli ti ritrovano a Vinca.”
Fine, preso in giro in quanto il più giovano sulla carta risulta essere il più saggio (il più vecchio) sui fatti, si scende, disarrampicando quella placchetta di III grado che non è proprio da sentiero EE. E difatti poi anche la ricerca di come andare a ricongiungersi sulla normale non è così banale, ometti sparsi qua e la, ma continua a essere un signor “sentiero”. Ah le Apuane.
Eccoci sulla normale, meno male la conosco, altrimenti si sarebbero già persi questi tre.. Ed è come la ricordavo, del divertente I grado che obbliga a usare le mani (i piedi sono tornati bagnati, le scarpe non si sono asciugate, ahimè), il panorama che ora si apre anche sul Pisanino. Vi guido io al sentiero corretto, non si scende di qui, e così un po’ di risalita per arrivare a Foce Giovo, dove un ultimo sguardo saluta il Pisanino (dove sul suo fianco nord ovest gioca una nuvola di vapore).
Foto di rito con la maglietta del corso A1 2014 del CAI di Carpi, e poi giù che è già tardi, fagocitando tutti i lamponi che troviamo, in mezzo a erba più asciutta (in realtà seguiamo il sentiero che indica Rifugio Garnerone, solo più tardi scenderemo a cercare la traccia della salita di stamane) ma sempre piena di insidie, buche e fianchi scoscesi. Meno male all’auto troviamo pure un piccolo ruscello dove raffreddare i piedi!
Ah le Apuane, nei due weekend di trekking e ferrate che ci avevo passato anni addietro mi erano già piaciute, ora ancora di più. E questa via è da tornare a fare per poi farsi anche Tiziana. Intanto abbiamo salvato un giorno di ferie!

Qui altre foto.
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sabato 19 luglio 2014

(Bella) Timbrata di cartellino: Breithorn Orientale

Nuovo weekend, ma solito meteo. Non fosse per lui, c’erano tutti i presupposti per poter farci una bella cresta, ma niente, va rimandata di nuovo. Occorre però salvare questo ennesimo, sbloccare questa situazione in cui non siamo ancora riusciti a salire un nuovo 4mila quest’anno. Solo sabato mattina il meteo sembra reggere, proposte da altri amici non ne arrivano, il fratello dell’Occidentale e del Centrale ci manca, perciò dai, facciamo questa tirata per il Breithorn Orientale.
Dormitina sotto le stelle al parcheggio degli impianti di Cervinia, e al nostro risveglio l’imponente Cervino che ci sovrasta. Con calma facciamo colazione con biscotti e the freddo (Riccardo, il thermos!) e ci vestiamo per la salita fino a 3480 in funivia. Non facciamo in tempo a cercare qualcuno per fargli questa proposta, che subito la fanno a noi “vi va se facciamo biglietto insieme così risparmiamo 9 euro?”, pronti! Sono in quattro loro, due faranno la Roccia Nera, e due il Castore: che gamba.
La gente è tanta, sciatori, scialpinisti, alpinisti, provetti ghiacciatori, si sa che sul Plateau Rosa c’è di tutto. Ma noi cerchiamo di esser svelti, ho paura dei tempi (poi ci avanzeranno quasi due ore), filiamo giù dalla funivia dritti sulle piste ancora deserte. Un paradiso brutalmente antropizzato, ma d’altronde senza impianti non credo che oggi avremmo potuto sfruttare questa finestra di meteo discreto.
Avanzando i 4mila aguzzi delle Alpi Pennine si scoprono, Weisshorn, Zinalrothorn, Obelgabelhorn, Dent Blanche, Cervino. La Dent d’Herens che credevamo fosse quella a fianco della Blanche, in realtà non è lei. Ma che spettacolo! Cielo sereno e cime bianche. E via dentro il tunnel, per poi risalire all’ombra (per fortuna, fa un caldo), e sbucare vista 4mila del Monte Rosa.
È comunque un’emozione tornare qui dopo la traversata del 2012 (qui, qui e qui), tre giorni intensi e appaganti. Il brulicare di formichine tenta di far svanire la maia di questi luoghi, ma il lato sognatore resiste, soprattutto perché puntiamo una cima snobbata rispetto ai suoi fratelli più vicini. E dire che di brulicamento ce ne è ancora molto poco rispetto a quello che verrà. Ma la vista delle due tettone dei Lyskamm fa deconcentrare su tutto il resto.
Lasciamo la traccia autostradale principale che sale verso il Breithorn Occidentale, noi girovaghiamo sul Ghiacciaio di Verra per portarci alle pendici del Breithorn Orientale. Lasciamo anche la traccia che scende verso il RifugioGuide Val d’Ayas, e ci spingiamo in alto seguendo due sci alpinisti, ma..è un vicolo cieco. O meglio, proseguire ci farebbe traversare su una debole traccia (con questa neve) pendente e con sopra la testa un po’ di roba. Torna indietro.
Scendiamo immaginando già le parole che diremo al ritorno, quando sarà risalita su neve marcia cotta dal sole. Tira un vento fresco, ma questo raffredda solo noi, non certo la neve. E girovagando in mezzo al ghiacciaio, ecco che compaiono i primi buconi, ma starsene alla larga è agevole, ecco anche il pendio che dobbiamo risalire per portarci alla selletta tra Orientale e Centrale.
Inizia il grande reportage al tratto chiave della Traversata dei Breithorn, la parte rocciosa che dopo esser scesi dall’Orientale, consente di salire sul Centrale. Tre bei muretti di roccia, non giudicabile la difficoltà da qui, ma fa il suo effetto.
Passiamo la crepaccia terminale su un ponte dal dubbio spessore, dopodiché è solo un pendio un po’ pendente che ci porta a 4mila metri. Eccoci! E i 4mila aguzzi ricompaiono, e appaiono i giganti di Sass Fee. Ormai è fatta! E invece no.. Le relazioni parlano di un F+, ma quella protuberanza rocciosa che sarebbe la cima non sembra facile. Nemmeno difficile magari, ma certo non un F+.
E difatti per arrivare in cima risalgo prima un canalino ghiacciato che in realtà porta solo a un ancoraggio da doppia (che immagino sia per scendere) e dal quale devo fare poi il gambero e tornare giù. Passa allora davanti Riccardo, altro canalino con un po’ di ghiaccio, un po’ di roccia, e poi un traverso su neve marciotta a 55° verso est. Mah, per essere un F+.. Finita? Quasi, risalita in spazio aperto e meno ripido e infine cima, un metro quadrato scarso dove imperversa il vento.
Il vento è davvero importante, ma il panorama non possiamo ignorarlo. Un video. Avremmo voluto goderci la cima, il tempo l’avremmo (siamo saliti in 3h), la fame anche, ma non ci si stà nonostante il sole. Ma quanti cime inviolate (da noi) che si lasciano ammaliare.. Come Ulisse con le sirene, ma anche senza legarci a un palo, fuggiamo dal loro richiamo.
Per dove scendiamo? A ritroso il percorso di andata no. Verso ovest ci sono le doppie. Proviamo verso est, facciamo una mini traversata. Eccoci, due tratti delicati, uno su roccia e uno su neve ma con sotto l’abisso della nord, e torniamo in zona tranquilla (ma non troppo) al cospetto del Gemello.
Via giù prima che il sole cuocia tutto! Troppo tardi, questo pendio ha ben due crepacce terminali, e in quella più alta il mio piede destro sfonda il ponte di neve finendo giù senza toccare nulla..che strizza! Delicato mi rimetto in piedi e fuggo da questa bocca aperta! Poi tocca a Riccardo,non ci finisce dentro, ma che sollievo una volta superata!
Poi ecco l’altra, ma lei è più solida. E sotto alla cima, tornati ben sotto quota 4mila, un meritato ristoro! Panini, e Twix di vetta a metà a festeggiare la cima. Solo ora ricordo la maglietta ufficiale del corso A1 2014 del CAI di Carpi, e meno male, tanto in cima non sarei riuscito a metterla. Tac, foto.
Il gioco è finito, e il cielo già si sta caricando. Penosa camminata su neve dove il mio peso di libellula affonda un passo si e un passo si, finchè non riguadagniamo la traccia principale, che inizia si con una risalita, ma vista la differenza di consistenza, meglio lei che il pianoro sfondato prima! Ma stiamo tornando all’affollato parco giochi, dopo una cima solitaria. Amen.
Con un vento sferzante e un sole sempre più assente, scorgiamo un Cervino fumante e la fame la sete ci spingono a camminare svelti verso la funivia. Grotte di ghiaccio sul bordo pista, piste ormai deserte, e alle 13e30 eccoci sul pavimento di ingresso alle cabine. This is the end.
Scendendo noto un ruscello, ci infilerò i piedi dentro per una sana rinfrescata (che frio!) prima di spararci a valle alla ricerca di birra e cibo per saziare le nostre voglie! Ma scendiamo troppo, anche perché su non troviamo nulla che ci ispiri, e il Conad a valle ci permette di trovare due birre fresche,formaggio e schiacciatine (si vede che non c'è Nicola, lo chef), per un rinfresco alla base della Corna di Machaby, osservando il temporale che avanza, ma che non ci toccherà più di tanto. Un sonnellino in macchina prima di ripartire.
Timbrata di cartellino oggi, una salita forse forzata, ma d’altronde oggi non si poteva fare di più.

Qui altre foto.
Qui il video di vetta.
Qui il report.

sabato 12 luglio 2014

Pincelli classica in notturna

Ne parlavo da tanto, e avevo provato anche a fissare qualche data, ma purtroppo il meteo si metteva sempre di traverso. Ma stavolta pare reggere, la concomitanza con un weekend dove le montagne le vedrò solo da lontano per divertirmi al matrimonio della cugina, aumenta la voglia. Poi c’è la luna piena, Roberto che accetta la mezza pazzia, e allora vamos!

L’idea nasce per il voler provare ad arrampicare al buio, o meglio, a lume di frontale. E visto che sono scemo, ma non coglione, meglio andare su una via che almeno conosco, così non sto a rischiare più di tanto e noto meglio la differenza tra giorno e notte. Pincelli, via che conosco abbastanza bene, e che lunedi ho provato a salire per la sua classica interezza (di solito faccio la variante alta, ma a buio meglio stare bassi..). Roberto invece non l’ha mai salita, e capisco bene preferisca evitarsi la sorpresa del buio: la tiro io, nessun problema, anzi!

Mi riscaldo arrampicandomi con set da ferrata su un traliccio per rinnovare i sistemi di corde dello stendino di mia sorella, che abita al terzo piano. Poi ci si trova al distributore con Roberto destinazione parcheggio della Pietra, quasi deserto. Attacchiamo alle 22e37, con una luna piena spettacolare che illumina le pareti in modo magico. Porca vacca, sugli ultimi tiri della variante alta diretta c’è una cordata..

Quante lucciole. È impressionante, chi se l’aspettava in questo luogo dove la natura è stata così addomesticata di trovare un simile spettacolo. Anche sulla via ne avremo a farci compagnia, non a illuminarci gli spit..non esageriamo.

Arrampicare al buio (anche se la luna smorza di parecchio questo buio, ma non è il sole) fa strano. Ogni passo è dosato perché non capisci bene se sei appoggiato su un piede buono o inclinato. Cerchi gli spit ma devi cercare parecchio perché li vedi solo quando sono vicini (e per fortuna so dove sono molti!). Con la frontale illumini in basso, ma non riesci a scoprire tutti gli anfratti della roccia visto che la sorgente luminosa è qualche cm più alta degli occhi. Che trip.

Alla prima sosta optiamo per finire la via “alla svelta”: sarebbe da godersi la nottata, le stelle, la luna, le lucciole, il fresco, ma Roberto domani lavora, io ho un po’ di km di auto da fare, accontentiamoci, tanto è un’esperienza che si ripeterà! Quindi, si concatena secondo e terzo tiro, con gli ultimi dieci metri in cui devo issare la corda a forza per gli attriti che fa. Ma oggi non lesino protezioni, ogni passo ha un decimo della sicurezza che avrebbe a luce diurna.

Anche Roberto se la spassa, lui che la sale per la prima a volta e a buio, avrà da divertirsi a salirla la seconda volta con la luce del sole, sarà una bella scoperta! Uno sguardo alle forme dell’Appennino che si delineano verso il cielo, e proseguo per l’ultimo tiro, visto che concateno anche quarto e quinto. E vista la poca luce, anche il traverso da passeggio viene affrontato con calma e parsimonia. Poi c’è un venticello che si sta alzando che..quando arrampichi da sempre un po’ di brio all’equilibrio.

Il passaggio chiave forse lo supero meglio che lunedì, e dopo qualche altro metro, eccomi fuori. Che spettacolo. Che trip. Ho già voglia di rifarlo! Recupero Roberto, il tentennare di metallo mi fa capire che si trova nel bel mezzo della strettoria, poi ecco la sua frontale da mille milioni di lumen arrivare. Ci spostiamo lontano dalla sosta (col buio meglio non stare vicino al baratro..) per scattare qualche foto (che fatica!) con le magliette regalateci dai corsisti del corso A1 2014 del CAI di Carpi: grazie ancora!

Alla fine la via l’abbiamo salita in tempi diurni: poco più di 1h30! Roberto propone “facciamo la doppia dal Sirotti?”, tra me e me penso “ma sei fuori, già è da cardiopalma di giorno, vuoi farla di notte, col vento che ti sposterà chissà dove nel vuoto?”, e quindi rispondo “va bene”. Poi mi confessa che non l’ha mai fatta.. Ecco perché la proponi!

Attrezziamo tutto, mi preparo per scendere, poi mi chiede di andare prima lui. Va bene. Poi si vede che il baldo giovine ripensa a tutte le mie velate perplessità su questa doppia e mi dice “ma no vai tu”. Vado! Inizialmente con i piedi sulla parete, poi tac, sospeso nel vuoto a girare come una trottola! Le corde volate sugli alberi da recuperare, ma poi giù, temevo peggio. “Libera!”. E anche lui si rende conto dell’emozione del Sirotti.

Eccoci al parcheggio, un’auto con una coppietta, un’altra che arriva con tre ragazzi che vanno a dormire in cima, e noi, felici e contenti e con un bagaglio di esperienza in più che ci cambiamo e concludiamo l’avventura davanti alla naturale ending di ogni “impresa alpinistica”: una birra!

Qui altre foto: nessuna foto, macchina fotografica dimenticata a casa!
Qui report.

lunedì 7 luglio 2014

Le classiche della Pietra di Bismantova in un lunedì anomalo

I programmi erano altri, ma il meteo ci ha costretto ad abbandonare l’idea e programmare di scendere dal Monte Rosa insieme al corso A1 2014 del CAI di Carpi. Però dai, un giorno di ferie preso non si spreca, quindi occorre trovare rimedio e inventarsi qualcosa: si bramava dolomiti, alla ricerca di una bella salita off limits al weekend a causa dell’affolamento, ma anche li meteo infame, nessuna voglia di rischiare 6 ore di macchina per poi prendere l’acqua. Mamma Pietra chiama.
Ma anche Pietra c’è una vietta off limits nel weekend, quindi il “due piccioni con una fava” funziona anche qui! Povero Nicola che bramava questa via da tempo, e che forse oggi gli fregheremo. Oggi gliela fregheremo. Siamo io, Federico e Giorgio, e all’arrivo al parcheggio tutto ha già un altro sapore rispetto al solito caos che troviamo sulla palestra di roccia reggiana: siamo la terza macchina che si infila tra le strisce bianche, bella giornata, e silenzio e pace. Tutto un altro aspetto rispetto a quello che ricordiamo, questa è vita.
Una volta vestiti saliamo verso il Rifugio della Pietra, cavolo è chiuso, peccato, scorriamo verso il settore Gare Vecchie alla ricerca dell’attacco, che dopo un po’ troviamo, indecisi se ci sia da attaccare da questa “placchetta” o da quel diedro. Ma in quel diedro non ci sono spit, qui si, e alla destra si vede quella che doveva essere la via di salita classica, invasa dalla vegetazione. Dia dai, vediamo se riusciamo a salire, col naso all’insù scorgiamo il resto della salita, anche se parte resta nascosta da quella protuberanza di arenaria.
Parte Federico, sale bene con le sue nuove corde super sottili: temo già che essendo nuove e “dure” oggi ci faranno penare di nodi e matasse varie, anche perché l’arrampicare in tre non aiuta di certo. Sale bene, poi delicato su un tratto che pare piuttosto friabile, ma che in realtà si dimostra meglio delle apparenze. Sosta dove non lo vediamo, ora tocca a noi. Arrivato in sosta vedo il caratteristico anello di filo di ferro cementato nella pietra, presente in vari punti della via, ma..meglio gli spit o gli ancoraggi comunque un po’ più moderni.
Giorgio parte per il secondo tiro, bel tratto atletico, ma preceduto anche qui da un tratto dove tocca essere dei gatti per non smuovere dei sassi che comunque vengono smossi dalle corde! Mi osservo intorno, le pareti sono deserte, le cenge alla base di esse silenziose. Che regalo. Anche la seconda sosta è un bel regalo, e anche quello che mi fanno i miei compagni di oggi lo è “abbiamo deciso che i prossimi due tiri li fai tu”, avanti!
Il terzo non presenta difficoltà, ma già dalla partenza sembra di muoversi sui piatti, e questo spinge a essere prudenti e lenti. Scorgo la corda fissa che serve da trasferimento verso il diedro che parte erboso e poi torna roccioso. Mi ci appendo come un orango, sotto l’erba tanta terra e sassi, quelli che smuoverei finirebbero sugli edifici sotto: ecco perché è vietata nel weekend, anche se a questo punto ce ne sarebbero tante da vietare in Pietra..
Ecco la terza sosta, mi pare chiaro sia lei, anche se avrei la tentazione di salire un altro po’, per mettere al riparo i miei compagni quando sarò sul quarto tiro e potrò smuovere qualcosa. Ma no, va bene qui. Sosta, e osservo quanto lontani sono Federico e Giorgio. Inizio a recuperarli, siate delicati! E invece un bambino duro e grigio scende giù.. Mmmm.
Dai dai, sono carico, se il prossimo tiro riesco a passarlo, dovremmo uscire e portarla a casa, il Passo del Francobollo è qui. Ma poi perché si chiama così? Mah, sarà una placca stretta dove spalmarsi, ma io vedo solo strutture che mi danno la parvenza di necessitare di passi atletici. Già la partenza non è male, quando non ci sarà più questa radice/tronco acquisterà un grado!
Salgo, la zona dove cercare appigli e appoggi piano piano si assottiglia, scorro di fianco al tettone, ma cosa ci fanno dei chiodi vecchi li sotto?! Che palle, su questa bella “manetta” non posso tirarmi che sembra un mattone pronto a scendere, riesco a passare, oddio dov’è il rinvio, se cado dopo mi ritrovo nel vuoto. Cerco come passare, sarebbe bello avere 10cm di gamba in più, o le anche molto più snodate.
Sul passo per finire sulla cengia dove si sosta mi impegna un po’, cerco in due tre modi come passare, non è banale. Ci sarebbe anche un cordone su sui tirarsi, ma voglio riuscire pulito. Ed ecco che prendendo un po’ di coraggio, tac, si passa. Olè! Dai che Nicola si rode.. Poverino. Ma poverino un corno, lui che in infrasettimanale se ne fa una a settimana!
Sosta bella esposta, appeso verso il vuoto, avanti voi due! E anche loro faticano un pochino, con Federico che si ritrova quasi a infilare la testa come un nuts, per poi riuscire a proseguire. Una volta tutti in sosta..dai ormai è fatta! Foto di via. Chi tira il prossimo? Avanti Federico, portaci su che la fame e la sete imperversano! E Dopo tre ore e mezza scarse, siamo sul pianoro sommitale ad ammirare il paesaggio, la pace silenziosa, e i panini. La prima via salita alla Pietra (con aggiornamenti), la “classica” di altri tempi, è salita.
C’è tempo, corriamo giù per andare a fare anche la Pincelli. Ci sarebbe quella variante mediana che mi attizza, e poi vorrei uscire per la classica, che non ho mai fatto visto che ho sempre salito la variante alta (quella che poi esce per l’uscita della classica). Arriviamo alla base dopo aver constatato con tristezza che il Rifugio della Pietra è chiuso.. O forse meglio così, se no ce la saremmo buttata a birra e gnocco e fritto, e in vacca la Pincelli.
Alla base, ancora tanta vegetazione, ma i fiori sono tutti secchi, non come l’ultima volta che sono venuto con Giorgio. Parte Federico, che è quello che non l’ha mai tirata, e una volta che ci siamo ricompattati alla prima sosta, “no no, andiamo per la classica, niente variante mediana”, ok, prossima volta. Parte Giorgio allora, e optiamo per la soluzione rapida: faremo la via in tre tiri.
Giorgio concatena il secondo e terzo tiro, titubando un po’ sul passagino del secondo tiro che mette sempre le orecchie dritte. Che gentile, fa sosta in modo che si possa ancora decidere se fare la variante alta o meno, ma no, voglio esplorare la classica che non ho mai fatto. E così parto io, con un tiro lungo esco fuori.
Uso tutti i rinvii lunghi che ho per evitare di dover tirare come un matto, ma un po’ mi tocca uguale. Prima del passo chiave, noto le particolari formazioni rocciose di fianco alle quali passo, calcare che sembra sputato o vomitato sulla parte. Che roba strana e affascinante. Ma bando alle ciance, assottigliamoci e passiamo in questo pertugio dove diventa chiaro che non per gente sovrappeso!
Poi sono fuori, col cielo minaccioso ma ormai al sicuro, tanto anche gli altri due ci metteranno poco a raggiungermi. E così, dopo aver salito la Pincelli classica in poco più di un 1h30 siamo fuori, assetati e affamati, ma più assetati. E pare giusto finire la giornata alla Foresteria, davanti a un boccale e a un cellulare dove nel gruppo di Whatapps regnano gli insulti dell’invidia di chi oggi era a lavorare: una volta che sono io in ferie, lasciate stare!

Qui altre foto.
Qui report coi tempi.