domenica 28 settembre 2014

Meglio salirla che scenderla: Via Dulfer al Campanile Dulfer

Che sarebbe stata una giornata lunga lo si poteva immaginare, che sarebbe stata così lunga però non se l’aspettava nessuno. Ormai le uscite dolomitiche dell’anno 2014 sappiamo essere agli sgoccioli, ci vogliono dei miracoli meteorologici per poterle sparare, e il meteo non è stato molto amico finora. Ma il weekend si prospetta spettacolare, quindi ore 3e30 al parcheggio e via che andiamo!
Io, Gianluca, Nicola, Roberto e Claudio: quest’ultimo seminuovo alle nostre uscite, e chissà se lo rivedremo dopo questa, ma la linea scelta per la salita di oggi lo attira da tempo, e non riesce a resistere alla chiamata della roccia. Via Dulfer al Campanile Dulfer, Cadini di Misurina, zona Rifugio Città di Carpi, il rifugio della nostra sezione tra l’altro, dove non sono mai stato tra l’altro..
La giornata inizia in ottimo modo: troviamo un bar aperto alle 6 di mattina, impresa non da poco in Alto Adige e per di più fuori stagione. Questo ci permette di guadagnare un sacco di tempo, visto che chi è con me non rinuncerebbe mai alla colazione, piuttosto alla via. Strana gente al mondo. Poco dopo le 7 riusciamo a essere già in cammino.
La funivia di Col de Varda è chiusa, quindi tocca salire a piedi, cosa che non mi dispiace affatto, così non siamo vincolati ai suoi orari e possiamo fare della gamba e una via senza aiuti meccanici. Le dolomiti danno sfoggio di se già dal sentiero di avvicinamento (beh per la verità già nel viaggio in auto): inizialmente le Marmarole si colorano di arancione, poi salendo è il Gruppo del Cristallo a essere visibile.
Non fa nemmeno troppo freddo, e la nostra camminata prosegue con le solite chiacchiere a smorzare la tensione e rallegrare gli animi. Arrivati all’incirca sotto al Rifugio Col de Varda, si prende verso destra per il sali scendi verso il Rifugio Città di Carpi. Il paesaggio anche a corto raggio ora è più piacevole, e quello a lungo raggio ancor di più.
Mughi, boschi, spazi aperti che consentono di scrutare i ghiaioni sopra di noi, sole che trapela tra i rami, e poi lo spettacolo delle Marmarole, Sorapiss, Tofane, Marmolada, Cristallo. E ci siamo solo noi ad ammirare tutto ciò, in un silenzio fatato. Silenzio finché non parte la risata figlia di qualche battuta o aneddoto. Claudio è svelto, sempre avanti.
 Il sentiero svolta deciso verso sinistra, e scorgiamo così la bandiera del Rifugio Città di Carpi, tra poco vedremo la bestia di oggi! Alle 8e45 siamo in vista del Campanile, tutto bello al sole, meno male, ma ancora piuttosto distante: sarà una giornata completa quella di oggi. 
Si prosegue verso il campanile, che man mano sparisce dietro a una costola terrosa erbosa che occorre risalire: come un sogno che svanisce lentamente, eccolo che poi riappare prepotentemente! Bam! Ma, ci sono altri due che vagano sul ghiaione a centro valle..vanno da un’altra parte per fortuna, oggi in parete solo noi cinque.
Quel salame di dolomia che sembrava massiccio da lontano, lo diventa sempre più da vicino. Un po’ di discesa non guasta, soprattutto perché rifletto che sarà salita al ritorno, poi però il terreno diventa “fastidioso”: ghiaia e rocce. Ma cosa vuoi che sia, una piccola pillola amara prima di un’abbuffata di prelibatezze!
Inizia la risalita del ghiaione alla base del campanile, chi la fa fuori sentiero e chi invece lo segue. Si arriva alla base e ci si mette a cercare l’attacco: è abbastanza chiaro quale sia la rampa sotto gli strapiombi del primo tiro, ma non altrettanto l’attacco. Intanto mangio, che mi è venuta fame, ci prepariamo e leghiamo, leggiamo e rileggiamo la relazione, e poi si attacca: sono le 10. Stavolta di relazioni ne abbiamo anche troppe, a differenza della Via Adang.
Roberto va, Nicola lo segue, raggiungono agevolmente la zona dove dovrebbero situarsi i due chiodi di sosta, ma non li trovano. C’è scritto che sono abbastanza nascosti, ma alla faccia! Dopo un buon 10 minuti, eccoli, possiamo salire anche noi: iniziano le danze. Non fa freddo ma nemmeno caldo, e il vento che ogni tanto infuria non è che migliori le cose. Il sole c’è, ma anche qualche nuvola a nasconderlo ogni tanto.
Il secondo trio dovrebbe essere quello chiave secondo le relazioni, ma in realtà troveremo molto più duro l’ultimo. Claudio è talmente svelto che non faccio nemmeno in tempo a tirare fuori la macchina fotografica che è già sopra il diedro, accidenti. Nicola invece, ben più gentile, mi concede svariati minuti per qualche scatto. In fin dei conti nessuno trova questo diedro di V, e con sali scendi e traversi tra le rocce, si giunge alla sosta.
 Sembra che finalmente si inizi a salire uno spigolo e non una parete. Il terzo tiro parte davvero bello esposto, facile ma aereo: dopo due passi non vediamo più Nicola, che si sposta in traverso verso sinistra (faccia a parete) dello spigolo, e lui come lo ha preceduto e come chi verrà dopo di lui, si lascia scappare un “ah però!”. Oh adesso sì che mi piace, quasi sospeso in aria, con un paesaggio magnifico a farmi da contorno: i feel good.
Fine dei giochi per Nicola, i suoi tre tiri se li è fatti: la nostra cordata a tre procede in questo senso, i primi tre tiri a Nicola, i secondi a Gianluca, gli ultimi miei. Stavolta a differenza dell’Adang, mi ono subito imposto scegliendo i miei tiri, visto che l’altra volta mi hanno lasciato le briciole (più o meno, hihi). Claudio e Roberto invece vanno in alternata.
Il primo tiro di Gianluca, il quarto della via, non è niente male. All’ombra, un bel diedrino da quale tocca poi uscire per un piccolo traverso su placca: il buon Dulfer deve aver gironzolato come un matto su questa parete per cercare i tratti di spigolo che non fossero strapiombanti, chapeaux! Noi intanto ci godiamo la sua impresa addomesticata, e ci regaliamo qualche bella foto col vuoto sotto i piedi. 
 Anche il quinto tiro parte con un traverso verso sinistra, per poi risalire un canale dove ci si può sbizzarire a complicarsi la vota con passaggi più duri del previsto: roba da secondi, non certo da primi! Il tiro è parso più lungo del previsto, e in base alle descrizioni sembra proprio che Gianluca e Roberto abbiano concatenato quinto e sesto. Ben venga, tocca a me! E si scorge l’Antelao..
Gli ultimi tre tiri me li sono voluti accaparrare in quanto non presentavano il passaggio chiave (sulla carta, in realtà sarà diverso) ed erano dati come mediamente i più esposti. Bene, si parte sullo spigolo, qualche chiodo (raro su questa via) e si torna a malincuore sulla parete verso destra. Meno male ho Claudio davanti che mi conforta sulla correttezza della via seguita.
E meno male Claudio ha me dietro di lui, che gli tolgo qualche protezione che gli fa troppo attrito e gli tiro su la corda a mo’ di tiro alla fune. Già, perché noi furbi abbiamo saltato il clessidrone gigante di sosta per invece proseguire su verso sinistra per tornare sullo spigolo. Tirare su le corde sarà faticoso, per fortuna troviamo una coppia di chiodi e un masso incastrato su cui fare sosta, perché nonostante di metri di croda ce ne debbano essere ancora, siamo davvero allo stremo delle forze per issarli.
Va beh, amen è andata, in ogni caso non dovremmo essere fuori via. Recupero a fatica gli altri, e io e Roberto ci ritroviamo alla ricerca dell’ottava sosta, che non può essere tanto in alto visto che con la “bravata” di prima abbiamo mangiato metri al’ottavo tiro. Lui va verso destra, io verso sinistra, ed ecco la nicchia con due chiodi.
Orami sembra fatta, sono pronto e carico a godermi l’ultimo tiro, ignaro di quello che mi aspetta.. Claudio parte mentre io do un’occhiata alla relazione, non è chiarissimo come prosegue visto che inizialmente si va verso sinistra, poi destra, poi su: è un attimo complicarsi l’esistenza. Ma avere un esperto di questo calibro davanti, fa davvero la differenza. Senza di lui ci avremmo messo di certo di più a salire, ne sono certo.
Si parte con un bellissimo, aereo, esposto, estetico, da foto, traverso verso sinistra, un chiodo a rincuorare. Poi inizia a soffiare un po’ di vento, e non mi trovo proprio in una zona piacevole dove essere “accarezzato” dalla sua forza. Salgo, cercando la via migliore di salita, seguendo un po’ i passi di Claudio: a me non sembra di essere su del IV, mi pare essere su qualcosa di ben maggiore. Poi la proteggibilità è davvero ardua, un friend psicologico che più psicologico non si può.
Ma c’è da salire, quindi andare. Trovo una nicchia con due chiodi, probabile sosta intermedia per spezzare il tiro, ma le relazioni non la danno: Claudio ha messo un rinvio su un chiodo, io lo metto sull’altro, e poi unisco il tutto che non si sa mai. Traversi misto salite delicati anche come roccia, brividi lungo la schiena, poi tornati verso destra le difficoltà si abbattono, ci ritroviamo a salire un canale che sbuca in cima. Fiuu! Alla faccia, concorderemo tutti che il tiro è ben sottogradato dalle relazioni, e che di certo per continuità ed esposizione è di certo lui il chiave.
Sono le 16 quasi, tra mezzora saremo tutti in cima pronti per scendere. Ma prima un po’ di ammirazione del panorama intorno, e una sana mangiata che c’ho una fame! E non solo io. Restano le doppie.. Accidenti a chi.. 
Sull’esigua cima è già presente un anello di calata, ma le relazioni parlano che questa fa parte delle “vecchie” doppie, mentre le “nuove” sono attrezzate a spit e catena, cerchiamo queste. Scendiamo assicurati 5m verso destra faccia verso la Eotvos (sarà anche solo II, ma se scivoli sei fottuto per sempre, quindi..). Dai che prima che faccia buio riusciamo magari a essere anche al rifugio!
E che doppia ragazzi! Si parte coi piedi sulla parete, ma poi i piedi navigano nell’aria più aperta possibile! Che scago.. Non oso immaginare Claudio che si è calato per primo, e meno male non l’ho fatto io: la doppia già di suo non deposita sulla forcella, occorre pendolare un po’ per raggiungerla (su essa sta la seconda sosta), e oggi tira pure vento che allontana da essa. Il boss ha infatti dovuto lanciare le corde in mezzo agli spuntoni per tirarsi poi verso essi: a noi ci ha recuperato, grazie.
Belle foto a chi resta appeso come un salame con sullo sfondo le dolomiti, ma poi diamoci una mossa a scendere che ce ne sono ancora cinque. La prossima doppia, su bellissima catena a spit, è però in un canale: mah. Però scendono quasi senza colpo ferire. Altro giro nel canale e..regalo! All’atto di recuperare le corde, si incastrano. Non troppo in alto per fortuna, Claudio sale a recuperarle.
E la prossima invece.. Per velocizzarsi, io mi calo subito sulla quinta doppia, in modo da cercarla anche (infatti ci metto un po’ a trovarla, penzolando un po’ a destra e un po’ a sinistra): la trovo, bruttina, un chiodo, due clessidre, cordini non troppo sani. Rinforzo come riesco e aspetto, rannicchiato, non appeso perché sarei in balia dei sassi che potrebbero cadere dall’alto.
Ma non arriva nessuno.. “Libera!” Ma non arriva nessuno. Chiama, sbraita, urla, niente, non sento risposte. E non vedo nessuno. Cazzo, no, fa che non si siano incastrate le corde. In sta cavolo di discesa in doppia non si può nemmeno sempre sperare in un’arrampicata per sbrogliare eventuali incastri, perché ogni doppia ha almeno 5m in strapiombo, alcune anche di più.
Inizio a vedere le corde lassù volare, finalmente una risposta, quella temuta “corde incastrate!”. Tiro fuori la frontale. Mi vesto. Vedo il cielo che smarrisce la luce che aveva. Non è che me lo goda molto questo tramonto, scomodo come sono, e da solo. Aspetterò un’ora e mezza quasi prima di vedere la prima faccia amica, almeno con una buona notizia, le corde sono scese.
Le han tirate, seviziate, trazionate, Claudio ci ha pure fatto pendolate e salti sopra per tirarle giù, finché a quello che si erano promessi essere l’ultimo tentativo, finalmente del movimento. Bene, attrezziamo l’ultima calata, speriamo ci porti alla base della parete, a lume di frontale. Anche qui, ultimi metri in netto strapiombo, ma meglio, così mi ci riparo sotto mentre fischiano i sassi che cadono dall’alto.
Esploro un attimo e sembra proprio che non servano altre calate, si sale di li e si scende per ghiaione, ma non vado a vedere ora, che il casco non vorrei ritestarlo. Arrivano Gianluca e Roberto, finché non sentiamo Nicola che dalla sosta dell’ultima doppia urla “corde incastrate!”. Almeno siamo alla base, se anche bruciassero tutte queste cazzo di corde riusciremmo ancora da andare a casa. Fortuna che sono riusciti a recuperare quelle di prima.
Nicola e Claudio tentano e ritentano, finchè basta. Una è scesa, l’altra chissà che groviglio ha fatto intorno a uno spuntone: il proprietario opta per tagliare il recuperabile, così almeno ci facciamo degli spezzoni, Nicola ne usa uno per rinforzare la sosta. Alle 20 anche lui è a pochi metri da me, e sul piano, ci siamo tutti.
Sospiro liberatorio. Ora non resta altro che scendere per una bella camminata al buio a lume di frontale. Claudio recupera lo zaino alla base della parete, e ci incamminiamo a cercare il sentiero, che in mezzo a questa ghiaia è un po’ cancellato. Arriviamo al rifugio che stanno facendo carne alla griglia, che tentazione.. No no, non fermiamoci o non ripartiremo!
Alle 22 siamo finalmente all’auto. Che fame! Meno male c’è chi ha portato un salame, chi del gnocco e pizza fatti in casa, chi una torta, chi birra, chi vino. Si può festeggiare in modo spensierato, ora che siamo all’auto i pericoli della montagna sono ben lontani! Si ride e si scherza, ci voleva proprio..
Sembra finita, e invece.. Un piccolo inconveniente blocca la macchina, che non può più essere il nostro mezzo per tornare a casa: non resta che chiamare un taxi che ci porti alla stazione di Bolzano, dove dormiremo coi barboni aspettando il treno delle 5, che ci riporterà nella nostra amata e uggiosa (che nebbia!) pianura padana alle 9. Che voglia di fare una doccia.

Qui altre foto.
Qui report.

domenica 21 settembre 2014

Corso AR1 CAI Carpi, via Pincelli variante Alta

Seconda uscita del corso AR1 2014 del CAI di Carpi, e come sempre un must la Pincelli con Variante Alta. Le previsioni incerte ci fanno paura fin dall’inizio della settimana, ma piano piano migliorano, anche se non sono mai allegre: pioggia dal pomeriggio. Ma si spera che entro pranzo si riesca a uscire dalla via e in seguito fare “solo” della didattica che non sarebbe preclusa dalla pioggia.
Nell’avvicinarsi a Castelnovo ne Monti le nostre speranze sul meteo si affievoliscono sempre di più: nebbia, il cielo grigio, ma poi tutto si apre e si vede l’azzurro del cielo. Erano nuvole basse! Meglio così, e meglio davvero, perché poi al parcheggio il paesaggio è quasi surreale: sotto di noi qualche tappeto grigio sul verde di prati e boschi, e il crinale accarezzato da nuvole che arrivano da sud e si scontrano con l’aria padana.
Colazione al Rifugio della Pietra, e poi ogni cordata si avvia per la via scelta. O quasi, perché dopo una veloce perlustrazione alla Zuffa Ruggero, chi voleva andarci ripiega sulla Oppio, ben più asciutta. Lo smistamento prevede quindi due cordate sulla Oppio e quattro all’attacco della Pincelli, che poi si divideranno.
Parto prima di Luca, lui mi seguirà a ruota, che già dal primo tiro maledice la Pietra, rimembrando il perché da anni non veniva più a questa uscita e auto insultandosi per avere quest’anno dato disponibilità alla stessa. In effetti il primo tiro è ricco di detrito sabbioso: quest’anno con le piogge che ci sono state parecchio materiale è “sceso”, e mi dicono che settimane fa era pure peggio! E inoltre, ovunque si vedono scaglie staccate e che si staccheranno..
Alla prima sosta ci infittiamo bene a modo: e come mio solito, decido di sostare sulla sosta “bassa”, ben più esposta e meno comoda della “classica”, e recupero i miei secondi Rossella e Federico (aspirante Istruttore Sezionale). Avevo optato per salire la variante mediana, ma la lunghezza delle corde che mi sono scelto, ahimè, mi fa desistere: troppo corte!
Seguo quindi Luca sui tiri della classica, adibendo la seconda sosta più in “alto” della “classica”, così poi il tiro dopo c’è pure da iniziare in traverso. Nicola con Stefania e Marco e Ivan con Anna sosteranno ancora più a destra, visto che poi proseguiranno sulla Mussini Iotti. Intanto Luca armeggia sul passaggio chiave della variante alta..
Il sole scalda, meno male Nicola mi ha prestato i suoi pantaloni pinocchietti retro vecchi e bucati: temendo il freddo mi ero preso solo i pantaloni lunghi.. Scalderà anche il quarto tiro, quello della variante, dandomi anche riprova del fatto che arrampico meglio da primo che da secondo. L’ultima volta che affrontai il passaggio chiave ero da secondo e feci molta più fatica di oggi da primo!
Strapiombo e poi diedro da salire nei più svariati modi, dulfer, placca, diedro: non mi faccio mancare nulla, li faccio tutti! Intanto dalla quarta sosta osservo le cordate della Mussini Iotti scomparire, con Anna che sulla partenza in traverso fa meno la spiritosa..
Osservo e incito Rossella sul passaggio chiave del tiro, accorgendomi che ogni mio consiglio sul come affrontare il passaggio è vano: la vedo mettersi in orizzontale, i piedi verso destra e le mani che salgono a sinistra. Avrei voluto esser sotto per vedere in che posizione da bolide si è messa!
Foto di via, visto che ormai il più è fatto, resta solo la placchettina e il traverso davvero esposto per ricongiungersi sulla via “classica”, e poi si è fuori in mezzo agli alberi della sommità, in 3h30 scarse, buon tempo per un corso. Luca e Matteo ci aspettano, poi arriva anche Davide con Fiorella e Cristian, Sauro con Stefano e Federico sono già al Sirotti, che ben presto raggiungiamo anche noi.
Tira un vento spiccatamente appenninico, meglio evitare la doppia dal Sirotti che già essendo nel vuoto provoca certi addensamenti nelle mutande (lato dietro), ci manca solo pendolare per il vento: qualche doppietta corta dalla parete. Non vedendo arrivare quelli della Mussini Iotti, vado in perlustrazione a vedere come se la cavano, trovando Nicola che esce.
Ora che anche loro cinque sono fuori, ci si dirige tutti quanti verso il Sirotti, dove non trovando nessuno solo Stefania con Nicola e Ivan restano per fare una doppia, io Anna e marco scendiamo a cercare gli altri che però sono al Sassolungo. Io ho il coprifuoco oggi, perciò bye bye a tutti, me ne vado verso casa!

Qui altre foto.

sabato 13 settembre 2014

Lunga ma bella giornata: Sass Ciampac, Via Adang

Non capita tutti i giorni di trovarsi alle 4 di notte carichi di entusiasmo per andare ad arrampicare, e decidere solo lungo la strada dove andare. E meno male. Ma no, capitava anche all’inizio della vacanza dolomitica.. Varie vicissitudini, peggioramento del meteo, rinuncia di alcuni partecipanti, dubbi sul vione che ci si era immaginato di scalare, hanno portato a questo situazione.
Ma per fortuna che io ho nella manica un asso, via di 12 tiri, massimo V, sposta a sud e con rientro con comodo sentiero, bell’ambiente, perfetto! Alle 8 siamo ormai pronti a metterci in cammino, ma che freddo fa.. E il cielo, ovviamente, ha più nubi di quello che doveva essere. Che cazzo, andiamo.
Ci si incammina lungo un comodo sentiero che costeggia i pratoni alla base delle pareti del Grande Cir e dei suoi amici dolomitici. Verso ovest il cielo non è male, verso est è di un lattiginoso ipnotico, Civetta e Pelmo sono addormentati in quel grigiore misto azzurro. E sul Gruppo del Sella c’è la neve..
Giunti nei pressi di prati verdi come se fosse primavera, tagliamo verso le pareti rocciose e i ghiaioni che presto ci appresteremo a salire, alla ricerca dell’attacco della via che oggi tenteremo di salire. Siamo davvero piccoli in confronto alla maestosità della natura che ci sta intorno. E anche della parete che, man mano che si avvicina, ci sovrasta sempre più.

Risalito uno zoccolo roccio-erboso, è ora di attaccare. Io che ho trovato la via, non ho possibilità di scelta. Nicola dice subito che lui farà i quattro tiri finali, Roberto vuole fare i quattro iniziali, a me non resta che raccogliere i quattro in mezzo: e così la cordata a tre ha decretato come sarà la sua progressione.
Parte Roberto, la roccia è fredda, il sole coperto, e il tiro parte croccante. Cominciamo male, faccio un po’ fatica a partire, accidenti, arrampicare da secondo mi sconcentra, sono nettamente peggio (non che sia bravo da primo, però ho l’impressione di andare meglio).
Appena abbandonato il suolo, staccato i piedi da terra, ora che si progredisce con solo le punte dei piedi (più o meno), si entra in un altro mondo. Si prende coraggio, si abbandona la vita quotidiana, adesso esisti solo tu, il tuo compagno di cordata (o compagni), la corda che vi unisce, e la roccia a cui speri di rimanere attaccato.
Arriviamo in sosta, Roberto prosegue, la parete ci sovrasta sempre più, un impressionante diedro strapiombante si fa sempre più minaccioso sopra le nostre teste, ma sappiamo che presto lo lasceremo per spostarci più a destra. Intorno a noi tutto sale di quota, pian piano si scoprono i pianori che stanno sopra le pareti del Pisciadù, la Valle del Mesdì, il Sassolungo.
E al quarto tiro, combiniamo il guaio. Beh guaio è una parola grossa. Ma complice una sosta lassù, e la mancanza di quello che doveva essere un chiodo di sosta quaggiù, Roberto risale troppo il canale, toccando dei bei passi di IV+ non relazionati, indice ancor maggiore che non è la via classica. Forse una variante, ma chissà.
Giungiamo anche io e Nicola, si discute sul da farsi, proseguire dritto non sembra facile, non mi piace avventurarmi in questo modo. Ci si cala in doppia, abbandonando pure un cordino visto che quelli in loco non sembravano troppo confortanti. E mentre mi calo osservo, vedo un cordone, ok, allora in effetti c’era da traversare più in basso per il quinto tiro ufficiale. Ridendo e scherzando, un’ora e mezza buona viene buttata al vento.
Ma adesso tocca a me arrampicare, inizia il divertimento! E il quinto tiro è un traversone di 45m che sale leggermente tagliando la parete, bello esposto come piace a me. Qualche cordino mi conforta sul fatto che la via sia giusta, la sosta che trovo dietro lo spigolo ancor di più! Dai che ora si riparte a spron battuto.
Il diedro entusiasmante del sesto tiro è davvero divertente, mai difficile ma mai banale, e volendo (e io modestamente, lo voglio, anche se non apposta) ci si può complicare la vita con varianti e prendendo un po’ di placca. Da sotto Nicola è imbufalito perché sto tirando il tiro più bello della via: più bello per ora, dopo verrà il suo turno.


La via è bella, ma il paesaggio intorno è la ciliegina sulla torta. Anche il fatto di essere soli in parete su una via classica è un plus non da poco. Al settimo tiro, mannaggia a me, ascolto quello che dice Nicola, e invece che fidarmi del mio istinto ascolto lui. Un dislivello di 25m salito son uno sviluppo di 45 con gli zigzago fatti, con una corda che non viene su nonostante i rinvii lunghi usati, e un’esposizione sempre marcata.
Ho una fame che non ci vedo, ma mangerò poi dopo. Sono già triste che l’ottavo tiro sarà il mio ultimo da primo. Tanto triste che, oltre a evitare i passi facili, inizialmente salto la sosta e proseguo un pochino, ma poi ridiscendo per fermarmi e recuperare comodamente gli altri due. Quando arrivano passo a Roberto la palla dell’assicurazione al nostro maestro, io mangio!
E il meteo si fa bruttino.. Solo sopra di noi il cielo è clemente, ma ancora per poco. Il tempo per Nicola di tirare il nono tiro, con disinvoltura. Evito di guardare l’orologio per evitare di deprimermi sul tempo che ci stiamo mettendo, complice anche quello perso al quarto tiro. Intanto le gocce diventano più pesanti..
Così al nostro amico tocca pure salire il decimo tiro bagnato (e con sosta bruttina adir la verità), su quella formazione rocciosa che abbiamo letto ognuno a proprio modo: diedro, dulie, placca, a ognuno il suo. Impermeabile d’obbligo, per fortuna arrivati in sosta la pioggia si è affievolita.
Ed eccoci al tiro chiave, questo diedro solcato da una spaccatura profonda e larga, inproteggibile a meno di avere friend misura Yosemite o cunei di legno larghi quanto lo zaino. Fortuna qualche chiodo c’è ma poca roba. Da sotto lo si incita, ma poi ci accorgeremo essere davvero tosto come tiro!
Ottimo il panorama dall’undicesima sosta, col sole che ormai essendosi piegato riesce a trapelare con più agilità tra le nuvole. Un’ennesima occhiata verso il Catinaccio ci rallegra sul fatto di non essere andati la, le nuvole pesanti lo hanno spesso sovrastato. Ormai alla fine, Nicola vaga alla ricerca dell’ultima sosta, che raggiungiamo quando sono ormai le 19!
Ma non è finita, Nicola pur di fare un tiro in più degli altri, esce per una variante, e poi ci ritroviamo lassù alla ricerca delle tracce di sentiero per arrivare in cima. 
Cambiate le scarpe si traversa verso sinistra ma troppo in pari (seguendo ometti comunque), arriviamo all’uscita di un’altra via. Saliamo allora, troviamo altri ometti, e metto un po’ di turbo per cercare di arrivare in cima che si veda ancora qualcosa.
Alle 20 finalmente siamo sul punto più alto di oggi, possiamo fermarci a fare qualche foto, mangiare, e soprattutto avvisare a casa! Mi mancava la Nicolata con rientro all’auto a buio inoltrato e a casa a notte fonda. Fortuna nessuno mi aspetta, e soprattutto, la discesa è banale ora. E anche come temperatura si sta bene alla fine: beh, ovviamente se vestiti..
Il paesaggio è fichissimo, nubi lattiginose tipo spuma avvolgono le cime più alte, ma lasciando ampio spazio al cielo che inizia a riempirsi di stelle. Le frontali sono d’obbligo. Ci godiamo brevemente la cima, per poi iniziare a metterci in cammino per tornare all’auto.
E in questo ritorno, inizialmente ci sentiamo nella civiltà siccome le luci di valle ci arrivano direttamente agli occhi, ma poi finiamo nel versante selvaggio, e poi a dimenarci in mezzo a torrioni che abbiamo già voglia di scalare. La luna non c'è, ma riusciamo a distinguere le forme, e ad ammirare le stelle.
Poi si gira l'angolo e si torna verso il Rifugio Jimmy, che con un faro di indubbia potenza, illumina brutalmente a giorno una parete rocciosa che lo sovrasta: roba da russi. Districandoci nelle paludi dei prati, finalmente alle 21e30 siamo all'auto! Ora si va a caccia di una bella pizza.

Qui altre foto.
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