domenica 28 settembre 2014

Meglio salirla che scenderla: Via Dulfer al Campanile Dulfer

Che sarebbe stata una giornata lunga lo si poteva immaginare, che sarebbe stata così lunga però non se l’aspettava nessuno. Ormai le uscite dolomitiche dell’anno 2014 sappiamo essere agli sgoccioli, ci vogliono dei miracoli meteorologici per poterle sparare, e il meteo non è stato molto amico finora. Ma il weekend si prospetta spettacolare, quindi ore 3e30 al parcheggio e via che andiamo!
Io, Gianluca, Nicola, Roberto e Claudio: quest’ultimo seminuovo alle nostre uscite, e chissà se lo rivedremo dopo questa, ma la linea scelta per la salita di oggi lo attira da tempo, e non riesce a resistere alla chiamata della roccia. Via Dulfer al Campanile Dulfer, Cadini di Misurina, zona Rifugio Città di Carpi, il rifugio della nostra sezione tra l’altro, dove non sono mai stato tra l’altro..
La giornata inizia in ottimo modo: troviamo un bar aperto alle 6 di mattina, impresa non da poco in Alto Adige e per di più fuori stagione. Questo ci permette di guadagnare un sacco di tempo, visto che chi è con me non rinuncerebbe mai alla colazione, piuttosto alla via. Strana gente al mondo. Poco dopo le 7 riusciamo a essere già in cammino.
La funivia di Col de Varda è chiusa, quindi tocca salire a piedi, cosa che non mi dispiace affatto, così non siamo vincolati ai suoi orari e possiamo fare della gamba e una via senza aiuti meccanici. Le dolomiti danno sfoggio di se già dal sentiero di avvicinamento (beh per la verità già nel viaggio in auto): inizialmente le Marmarole si colorano di arancione, poi salendo è il Gruppo del Cristallo a essere visibile.
Non fa nemmeno troppo freddo, e la nostra camminata prosegue con le solite chiacchiere a smorzare la tensione e rallegrare gli animi. Arrivati all’incirca sotto al Rifugio Col de Varda, si prende verso destra per il sali scendi verso il Rifugio Città di Carpi. Il paesaggio anche a corto raggio ora è più piacevole, e quello a lungo raggio ancor di più.
Mughi, boschi, spazi aperti che consentono di scrutare i ghiaioni sopra di noi, sole che trapela tra i rami, e poi lo spettacolo delle Marmarole, Sorapiss, Tofane, Marmolada, Cristallo. E ci siamo solo noi ad ammirare tutto ciò, in un silenzio fatato. Silenzio finché non parte la risata figlia di qualche battuta o aneddoto. Claudio è svelto, sempre avanti.
 Il sentiero svolta deciso verso sinistra, e scorgiamo così la bandiera del Rifugio Città di Carpi, tra poco vedremo la bestia di oggi! Alle 8e45 siamo in vista del Campanile, tutto bello al sole, meno male, ma ancora piuttosto distante: sarà una giornata completa quella di oggi. 
Si prosegue verso il campanile, che man mano sparisce dietro a una costola terrosa erbosa che occorre risalire: come un sogno che svanisce lentamente, eccolo che poi riappare prepotentemente! Bam! Ma, ci sono altri due che vagano sul ghiaione a centro valle..vanno da un’altra parte per fortuna, oggi in parete solo noi cinque.
Quel salame di dolomia che sembrava massiccio da lontano, lo diventa sempre più da vicino. Un po’ di discesa non guasta, soprattutto perché rifletto che sarà salita al ritorno, poi però il terreno diventa “fastidioso”: ghiaia e rocce. Ma cosa vuoi che sia, una piccola pillola amara prima di un’abbuffata di prelibatezze!
Inizia la risalita del ghiaione alla base del campanile, chi la fa fuori sentiero e chi invece lo segue. Si arriva alla base e ci si mette a cercare l’attacco: è abbastanza chiaro quale sia la rampa sotto gli strapiombi del primo tiro, ma non altrettanto l’attacco. Intanto mangio, che mi è venuta fame, ci prepariamo e leghiamo, leggiamo e rileggiamo la relazione, e poi si attacca: sono le 10. Stavolta di relazioni ne abbiamo anche troppe, a differenza della Via Adang.
Roberto va, Nicola lo segue, raggiungono agevolmente la zona dove dovrebbero situarsi i due chiodi di sosta, ma non li trovano. C’è scritto che sono abbastanza nascosti, ma alla faccia! Dopo un buon 10 minuti, eccoli, possiamo salire anche noi: iniziano le danze. Non fa freddo ma nemmeno caldo, e il vento che ogni tanto infuria non è che migliori le cose. Il sole c’è, ma anche qualche nuvola a nasconderlo ogni tanto.
Il secondo trio dovrebbe essere quello chiave secondo le relazioni, ma in realtà troveremo molto più duro l’ultimo. Claudio è talmente svelto che non faccio nemmeno in tempo a tirare fuori la macchina fotografica che è già sopra il diedro, accidenti. Nicola invece, ben più gentile, mi concede svariati minuti per qualche scatto. In fin dei conti nessuno trova questo diedro di V, e con sali scendi e traversi tra le rocce, si giunge alla sosta.
 Sembra che finalmente si inizi a salire uno spigolo e non una parete. Il terzo tiro parte davvero bello esposto, facile ma aereo: dopo due passi non vediamo più Nicola, che si sposta in traverso verso sinistra (faccia a parete) dello spigolo, e lui come lo ha preceduto e come chi verrà dopo di lui, si lascia scappare un “ah però!”. Oh adesso sì che mi piace, quasi sospeso in aria, con un paesaggio magnifico a farmi da contorno: i feel good.
Fine dei giochi per Nicola, i suoi tre tiri se li è fatti: la nostra cordata a tre procede in questo senso, i primi tre tiri a Nicola, i secondi a Gianluca, gli ultimi miei. Stavolta a differenza dell’Adang, mi ono subito imposto scegliendo i miei tiri, visto che l’altra volta mi hanno lasciato le briciole (più o meno, hihi). Claudio e Roberto invece vanno in alternata.
Il primo tiro di Gianluca, il quarto della via, non è niente male. All’ombra, un bel diedrino da quale tocca poi uscire per un piccolo traverso su placca: il buon Dulfer deve aver gironzolato come un matto su questa parete per cercare i tratti di spigolo che non fossero strapiombanti, chapeaux! Noi intanto ci godiamo la sua impresa addomesticata, e ci regaliamo qualche bella foto col vuoto sotto i piedi. 
 Anche il quinto tiro parte con un traverso verso sinistra, per poi risalire un canale dove ci si può sbizzarire a complicarsi la vota con passaggi più duri del previsto: roba da secondi, non certo da primi! Il tiro è parso più lungo del previsto, e in base alle descrizioni sembra proprio che Gianluca e Roberto abbiano concatenato quinto e sesto. Ben venga, tocca a me! E si scorge l’Antelao..
Gli ultimi tre tiri me li sono voluti accaparrare in quanto non presentavano il passaggio chiave (sulla carta, in realtà sarà diverso) ed erano dati come mediamente i più esposti. Bene, si parte sullo spigolo, qualche chiodo (raro su questa via) e si torna a malincuore sulla parete verso destra. Meno male ho Claudio davanti che mi conforta sulla correttezza della via seguita.
E meno male Claudio ha me dietro di lui, che gli tolgo qualche protezione che gli fa troppo attrito e gli tiro su la corda a mo’ di tiro alla fune. Già, perché noi furbi abbiamo saltato il clessidrone gigante di sosta per invece proseguire su verso sinistra per tornare sullo spigolo. Tirare su le corde sarà faticoso, per fortuna troviamo una coppia di chiodi e un masso incastrato su cui fare sosta, perché nonostante di metri di croda ce ne debbano essere ancora, siamo davvero allo stremo delle forze per issarli.
Va beh, amen è andata, in ogni caso non dovremmo essere fuori via. Recupero a fatica gli altri, e io e Roberto ci ritroviamo alla ricerca dell’ottava sosta, che non può essere tanto in alto visto che con la “bravata” di prima abbiamo mangiato metri al’ottavo tiro. Lui va verso destra, io verso sinistra, ed ecco la nicchia con due chiodi.
Orami sembra fatta, sono pronto e carico a godermi l’ultimo tiro, ignaro di quello che mi aspetta.. Claudio parte mentre io do un’occhiata alla relazione, non è chiarissimo come prosegue visto che inizialmente si va verso sinistra, poi destra, poi su: è un attimo complicarsi l’esistenza. Ma avere un esperto di questo calibro davanti, fa davvero la differenza. Senza di lui ci avremmo messo di certo di più a salire, ne sono certo.
Si parte con un bellissimo, aereo, esposto, estetico, da foto, traverso verso sinistra, un chiodo a rincuorare. Poi inizia a soffiare un po’ di vento, e non mi trovo proprio in una zona piacevole dove essere “accarezzato” dalla sua forza. Salgo, cercando la via migliore di salita, seguendo un po’ i passi di Claudio: a me non sembra di essere su del IV, mi pare essere su qualcosa di ben maggiore. Poi la proteggibilità è davvero ardua, un friend psicologico che più psicologico non si può.
Ma c’è da salire, quindi andare. Trovo una nicchia con due chiodi, probabile sosta intermedia per spezzare il tiro, ma le relazioni non la danno: Claudio ha messo un rinvio su un chiodo, io lo metto sull’altro, e poi unisco il tutto che non si sa mai. Traversi misto salite delicati anche come roccia, brividi lungo la schiena, poi tornati verso destra le difficoltà si abbattono, ci ritroviamo a salire un canale che sbuca in cima. Fiuu! Alla faccia, concorderemo tutti che il tiro è ben sottogradato dalle relazioni, e che di certo per continuità ed esposizione è di certo lui il chiave.
Sono le 16 quasi, tra mezzora saremo tutti in cima pronti per scendere. Ma prima un po’ di ammirazione del panorama intorno, e una sana mangiata che c’ho una fame! E non solo io. Restano le doppie.. Accidenti a chi.. 
Sull’esigua cima è già presente un anello di calata, ma le relazioni parlano che questa fa parte delle “vecchie” doppie, mentre le “nuove” sono attrezzate a spit e catena, cerchiamo queste. Scendiamo assicurati 5m verso destra faccia verso la Eotvos (sarà anche solo II, ma se scivoli sei fottuto per sempre, quindi..). Dai che prima che faccia buio riusciamo magari a essere anche al rifugio!
E che doppia ragazzi! Si parte coi piedi sulla parete, ma poi i piedi navigano nell’aria più aperta possibile! Che scago.. Non oso immaginare Claudio che si è calato per primo, e meno male non l’ho fatto io: la doppia già di suo non deposita sulla forcella, occorre pendolare un po’ per raggiungerla (su essa sta la seconda sosta), e oggi tira pure vento che allontana da essa. Il boss ha infatti dovuto lanciare le corde in mezzo agli spuntoni per tirarsi poi verso essi: a noi ci ha recuperato, grazie.
Belle foto a chi resta appeso come un salame con sullo sfondo le dolomiti, ma poi diamoci una mossa a scendere che ce ne sono ancora cinque. La prossima doppia, su bellissima catena a spit, è però in un canale: mah. Però scendono quasi senza colpo ferire. Altro giro nel canale e..regalo! All’atto di recuperare le corde, si incastrano. Non troppo in alto per fortuna, Claudio sale a recuperarle.
E la prossima invece.. Per velocizzarsi, io mi calo subito sulla quinta doppia, in modo da cercarla anche (infatti ci metto un po’ a trovarla, penzolando un po’ a destra e un po’ a sinistra): la trovo, bruttina, un chiodo, due clessidre, cordini non troppo sani. Rinforzo come riesco e aspetto, rannicchiato, non appeso perché sarei in balia dei sassi che potrebbero cadere dall’alto.
Ma non arriva nessuno.. “Libera!” Ma non arriva nessuno. Chiama, sbraita, urla, niente, non sento risposte. E non vedo nessuno. Cazzo, no, fa che non si siano incastrate le corde. In sta cavolo di discesa in doppia non si può nemmeno sempre sperare in un’arrampicata per sbrogliare eventuali incastri, perché ogni doppia ha almeno 5m in strapiombo, alcune anche di più.
Inizio a vedere le corde lassù volare, finalmente una risposta, quella temuta “corde incastrate!”. Tiro fuori la frontale. Mi vesto. Vedo il cielo che smarrisce la luce che aveva. Non è che me lo goda molto questo tramonto, scomodo come sono, e da solo. Aspetterò un’ora e mezza quasi prima di vedere la prima faccia amica, almeno con una buona notizia, le corde sono scese.
Le han tirate, seviziate, trazionate, Claudio ci ha pure fatto pendolate e salti sopra per tirarle giù, finché a quello che si erano promessi essere l’ultimo tentativo, finalmente del movimento. Bene, attrezziamo l’ultima calata, speriamo ci porti alla base della parete, a lume di frontale. Anche qui, ultimi metri in netto strapiombo, ma meglio, così mi ci riparo sotto mentre fischiano i sassi che cadono dall’alto.
Esploro un attimo e sembra proprio che non servano altre calate, si sale di li e si scende per ghiaione, ma non vado a vedere ora, che il casco non vorrei ritestarlo. Arrivano Gianluca e Roberto, finché non sentiamo Nicola che dalla sosta dell’ultima doppia urla “corde incastrate!”. Almeno siamo alla base, se anche bruciassero tutte queste cazzo di corde riusciremmo ancora da andare a casa. Fortuna che sono riusciti a recuperare quelle di prima.
Nicola e Claudio tentano e ritentano, finchè basta. Una è scesa, l’altra chissà che groviglio ha fatto intorno a uno spuntone: il proprietario opta per tagliare il recuperabile, così almeno ci facciamo degli spezzoni, Nicola ne usa uno per rinforzare la sosta. Alle 20 anche lui è a pochi metri da me, e sul piano, ci siamo tutti.
Sospiro liberatorio. Ora non resta altro che scendere per una bella camminata al buio a lume di frontale. Claudio recupera lo zaino alla base della parete, e ci incamminiamo a cercare il sentiero, che in mezzo a questa ghiaia è un po’ cancellato. Arriviamo al rifugio che stanno facendo carne alla griglia, che tentazione.. No no, non fermiamoci o non ripartiremo!
Alle 22 siamo finalmente all’auto. Che fame! Meno male c’è chi ha portato un salame, chi del gnocco e pizza fatti in casa, chi una torta, chi birra, chi vino. Si può festeggiare in modo spensierato, ora che siamo all’auto i pericoli della montagna sono ben lontani! Si ride e si scherza, ci voleva proprio..
Sembra finita, e invece.. Un piccolo inconveniente blocca la macchina, che non può più essere il nostro mezzo per tornare a casa: non resta che chiamare un taxi che ci porti alla stazione di Bolzano, dove dormiremo coi barboni aspettando il treno delle 5, che ci riporterà nella nostra amata e uggiosa (che nebbia!) pianura padana alle 9. Che voglia di fare una doccia.

Qui altre foto.
Qui report.

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