domenica 3 luglio 2016

4000 si riparte: combinata ai Grand Combin

La delusione per non averne salito nemmeno uno nuovo (ci fu il Gran Paradiso, ma era una ripetizione) è ancora presente, e la paura che questa annata si ripeta aleggia come un cattivo presagio. Meglio perciò approfittare delle finestre buone e delle condizioni finchè ci sono! 
I Grand Combin li guardavo da parecchio tempo, in mezzo ai più famosi massicci del Monte Rosa e del Monte Bianco, più selvaggi e "lunghi", tre 4000 ufficiali lì ad aspettarmi. Con una grande fantasia, avevo pure pensato di attaccarli per il ponte del 2 giugno, ma il meteo remò contro (e col senno di poi, con la neve trovata in Valpelline, forse meglio così): intanto mi ero documentato, scoprendo quella parete Nord Ovest del Valsorey assente sulle guide, ma presente sul web.

Weekend di sole, la rifugista dice condizioni buone, la morosa concede il benestare, Giorgio c'è, (la coppia del 2 giugno dispiaciuta ma senza muso), si può andare! Siccome siamo poveri, usciamo a Quincinetto per evitare il salasso dell'autostrada versante valdostano, e passiamo per il Colle del Gran San Bernardo invece che attraversare il Traforo omonimo: beh, tra andata e ritorno si risparmia 70,8€! A scapito di 45x2 minuti  in più? Va benone!

Varcato il confine il tempo è brutto. Gironzoliamo per il paese di Bourg San Pierre alla ricerca di un bancomant, ma nulla. Scendiamo a Liddes, piove un casino, ma almeno troviamo il bancomat: 150CHF che si volatilizzeranno. Torna su, sali lungo la stradina verso Cordonna, parcheggia in una mini piazzola dove altri aspettano la pioggia si plachi per partire. Morale sotto i piedi. va beh, sol che sia bello e buono domani! 
La pioggia qui è un po' più debole, cala, smette, prepariamoci. Telefonatina a casa, coprizaino sullo zaino e in cammino, col cartello che ci scoraggia con le sue 4h di marcia, che saranno 7km, 1300m D+, ma siamo carichi come delle molle!
Ci si addentra così nella Valsorey, inizialmente verde, con bei pratoni dove pascolano mucche che spesso non ci pensano proprio a spostarsi dal sentiero. L'occhio cerca di arrivare in fondo alla valle per vedere le cime che ne fanno da testata, ma le nuvole non sono d'accordo sul mostrarcele: alle nostre spalle pure peggio. Un timido sole esce di rado, la pioggia è sempre lì a minacciarci ma per fortuna resta solo una minaccia.
Poco dopo esser partiti, uno sprazzo di semisereno ci permette di avvistare la nostra meta di domani: il Combin de Valsorey. E addirittura ne vediamo lo scivolo della parete nord ovest, esattamente quello che vorremmo risalire! Ci gasiamo a manetta..
Sentiero stretto, traversi esposti, piccoli guadi, e ci avviciniamo al paesaggio glaciale svizzero. Il bivio per la Cabanne du Velan ci fa da spunto per una pausa: meglio non esagerare oggi, tenere le energie per domani, bere e mangiare. Molta della gente che solca il sentiero con noi, si dirigerà verso il Velan appunto: peccato, la davo come man forte per tracciare domani..
Ripida salita ancora su pratoni, di nuovo in traverso su sentiero stretto ed esposto (meglio non mettere il piede in fallo). Cerchiamo di salire con calma, ammirando il paesaggio e facendo varie foto. Ad esempio quella bastionata rocciosa laggiù, sopra il Glacier de Valsorey, pare un contrafforte dolomitico. E man mano che saliamo siamo pure ammaliati dal Mont Velan, di cui scopriremo la normale passa sotto ben 5 imponenti serraccate! Stica!
L'arrivo al pianoro de Les Grands Plans regala un balcone privilegiato su tutto ciò che sta intorno: dai 4mila dei Combin (quasi, e comunque ci sono le nuvole), il Glacier de Valsorey, la corona di vette intorno a lui, il Mont Velan, le sue serraccate, il "barattolo" Cabanne du velan, la verde valle risalita e..nulla più, le nuvole sbarrano il resto, ma è abbastanza.
La Cabanne de Valsorey è lassù bella visibile, mancano solo..500m di salita su terreno meno comodo di prima. Una pietraia, qualche chiazza di neve, e poi un sentiero a tornanti che sale inesorabile in mezzo ai massi verso il rifugio.

Incontriamo due ragazzi, parlano francese, gli chiedo cos'hanno fatto. Pensa te, han proprio salito la "face nord ouest", riferiscono buone condizioni, non hanno usato viti da ghiaccio ma due picche sì (io ne ho tre, hihi), e visto che non si vedeva una fava, sono scesi per dove sono saliti. Bene! CD! Così so anche che potremmo scendere da li se il resto non ci ispira (la parete è forse la via più sicura: le altre hanno seracchi sulla testa o pareti rocciose che..scaricano). 
Ed eccoci arrivare alla nostra meta di oggi, raggiunta anche in meno tempo del previsto. Benissimo, possiamo così concederci uno spuntino sui tavoloni fuori, sperando nel timido sole, guardarci un po' attorno (ma verso il Col du Meitin solo nebbia!) e fare le nostre con calma. Due trazioni al trave nel corridoio d'ingresso..
La rifugista e la usa aiutante sono molto cortesi, e il mio francese sfavilla! In stanza riordiniamo le nostre cose in modo da esser presto pronti, e..se ne approfitta per andare un po' a letto. Una maledetta mosca mi infastidisce mentre Giorgio russa, buon per lui!
Al risveglio esco fuori, una visita ai bellissimi bagni (c'è pure lo scarico!) e la triste scoperta che ha piovuto e il cielo è ancora cupo: due palle, se non rigela siamo fottuti. Cena a base di minestrone (tanta acqua e poca sostanza, fortuna c'è il pane), pure e spezzatino affogato nel vino rosso, macedonia. Bottiglia d'acqua da 1L=8CHF, come d'abitudine (fuori c'è una fontana ma l'acqua è dichiarata non potabile, e non abbiamo sali).
Si torna in stanza, azzero sulla fettuccia per salire al piano alto, e si va a letto, si ripassa la salita (ma porco cane, l'avessi ripassate bene però era meglio! Memorizzarsi quell'immagine!!). Fuori il tempo è ancora brutto. Speriamo bene..

Suona la sveglia, la finestra è lontana per capire cosa ci sia fuori, ma le previsioni erano buone, quindi balzo giù dal letto, mi vesto e vado giù. Metto fuori il naso e..le palle toccano terra. Siamo nella nebbia. Addio rigelo. Addio salita. Sarà già tanto se arriviamo al Col du Meitin. Che due maroni. Va beh, preparo lo zaino lo stesso, tra le tre picche scelgo una tecnica e una classica (i crepacci mi spaventano più della parete). Forza, a fare colazione.

Ci sono 5 cordate che attaccano i Grand Combin: una sulla Cresta del Metin, tre sulla via Isler (due di queste si fonderanno in una unica per rinuncia di un componente per cordata di quelle originali) e solo noi sulla Nord Ovest. Se butta male, seguiremo la Isler anche noi, lavoro di squadra nella neve di merda.

Dopo colazione, esco dalla porta e mi viene da piangere. Ma stavolta di gioia. Le nebbie sono scese e fluttuiamo su un tappeto di nubi. FORZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!

3:40 si parte, alcune cordate sono già avanti, io e Giorgio andiamo controcorrente e lasciamo i ramponi nello zaino, armati di bastoncini che lasceremo al colle. Siamo subito su neve, su neve buona, duretta, ma su una bella traccia che non ci fa scivolare troppo. La salita fino al colle sarà una sorta di meditazione: con calma, si sale, non si pensa ad altro, anche quando nella seconda parte la pendenza aumenta decisamente e siamo al limite senza ramponi. 
In 1h30min ci siamo mangiati i 580m che ci depositano sul Col du Meitin, 3611mslm. Ma porca puzzola che vento che tira! Il paesaggio è fantastico, una luce blu stupenda, il tappeto di nuvole sotto di noi e il Monte Bianco lì che ci fissa.
Di quelle viste che meritano qualsiasi levataccia e qualsiasi fatica. Ma che vento boia! Poche foto e brutte, si trema dal freddo, ci si veste, c'è da legarsi e ramponarsi, operazioni che a queste temperature percepite ti fanno maledire questa passione. Ma gli occhi..danno linfa al cuore e alla mente. 
Si parte con le propaggini di ferro a piedi e mani. Si scende, si passa la crepaccia, i primi raggi di sole illuminano il bacino delle Maisones Blanches, e dietro l'omonimo passo, il massiccio del Monte Bianco. E la Verte. E domani è il terzo anniversario di una nuova vita. La mente corre, un'altra parete nord arriva. La mente torna a concentrarsi, o meglio, a liberarsi.
Seguendo le tracce di quelli di ieri (ora siamo soli), traversiamo perdendo meno quota possibile, ma così facendo ci infiliamo anche molto a destra del pendio, preludio all'errore. Eccoci sotto la parete vera e propria, meno male qui il vento si sente molto meno.
51. 66. Questi i numeri magici di oggi. Nessuna intenzione di tirarci il collo, la giornata è lunga e la discesa richiede concentrazione. Quindi calma: faccio tesoro di un intervista di Simone Moro, conto 51 o 66 passi a seconda di come mi gira, e raggiunto questo numero pausa per riprendere fiato e polpacci. E così, andiamo avanti, dritto per dritto.
Picca classica e picca tecnica, punte classiche. Ma la parete non è tutta in neve, sotto un cm di bianco spesso si trova del ghiaccio: nulla che richieda una progressione a tiri, ma di certo i muscoli "soffrono" di più. Pausa, un'occhiata al panorama, uno sguardo all'insù ai metri che mancano, e si riparte. 
Cercando la strada nelle migliori condizioni, devio troppo a destra. Troppo. su quella spalla nevosa il vento la fa da padrone, e una volta affacciati a questa, vedo dall'altra parte le cordate impegnate sulla Isler: qualche passo su rocce delicate in traverso, e vedere due che arrancano un po' nella salita mi fa ben pensare che "no, torniamo indietro, stiamo più a sinistra che lo scivolo esce direttamente in cima".
Giorgio passa quindi avanti nella cordata, appena più a sinistra si vede un cono di neve che sale, sarà quello dai. Ma la pendenza si fa davvero sostenuta, ohi ohi. Giorgio arriva alla base di un risalto ghiacciato, il vento che ci frusta. Preparo una sosta, meno male le viti da ghiaccio le abbiamo, il mio amico si scioglie la sua bambola (io no, errore!) e parte.
Una delle ore più intense della mia vita. Non ci sentiamo, lo vedo ogni tanto, neve che scende e neve che sale portata dal vento, un freddo cane. La corda finisce, avevo provato a urlare qualcosa ma nulla. Parto. Ci siamo infilati in una goulotte stretta, 50cm, ghiaccio poco (viti fuori per metà) e cariato, sotto detrito. E con la picca classica è una goduria cercare di far presa! E le frustate del vento. Gli occhi smitraglaiti da cristalli di ghiaccio, non ci vedo più, non posso guardare dove metto i piedi perchè da sotto si solleva di tutto. Sono minuti che durano secoli. Arrampico a occhi chiusi, poi il terreno si meno sostenuto ma sempre delicato.
Vedo il mio amico, dietro un dosso nevoso, e la croce pochi metri sopra di lui. Mamma mia che sofferenza questi 40m di ghiaccio marcio!
Pochi passi e siamo in vetta, Combin de Valsorey, sei nostro! Peccato non goderselo, un vento infame e i postumi del tiro precedente ci fanno veloce ripiegare per scendere un po' a cercare un minimo di riparo. Si mangia e beve, e si gode della vista. Impagabile, giornata perfetta, non fosse per il vento. E un pensiero vola ai ragazzi del Corso A12016 del CAI di Carpi impegnati sul Castore.
Si torna in vetta per qualche foto, poi verso il Combin de Grafeneire, a due passi, non si può saltare. Salteremo invece il Combin più isolato, troppo vento per percorrere una cresta del genere, e viste le temperature meglio non osare troppo con l'orario di discesa.
Di nuovo, con calma, lenti ma inesorabili, si cammina su facile terreno verso la vetta: si vede da lontano la croce, ma non è una croce, pare una stazione meteo, tristezza. Una cordata che ci precedeva sta scendendo verso il Couloir du Gardien, dal quale sembrano saliti degli scialpinisti: sono confortato dal fatto che si passi e che qualcuno ci passi prima di noi, perchè scendere dalla parete nord ovest..anche no!
E..vetta! Anche questo 4mila è conquistato!
Purtroppo anche questa cima non ce la si può godere, troppo vento (salendo non si poteva guardare dritto perchè dal alto nordest arrivavano proiettili di ghiaccio; sastrugi che si spezzano e volano via verso l'Italia), ripenso invece a quanto mi sono goduto il Monte Bianco. Ciao Monte Bianco (è lì davanti a noi)!
Panorama della madonna, non sto a elencare le cime per non fare torto a quelle che dimenticherei! Vento assassino, panorama divino.
Scendiamo seguendo le tracce di chi ci ha preceduto, sarebbe più sicuro tornare indietro e scendere sulla cresta nordest del Valsorey, ma sembra che l'innevamento copra bene i crepi. Comunque tengo bene la corda tesa verso il mio amico. Incrociamo due scialpinisti che ci chiedono news di loro amici che sono saliti dalla nord ovest come noi: in effetti li ho visti, e stavano bene a sinistra, giustamente (li vedremo uscire dal lato giusto infatti, non come noi).
Verso l'imbocco del temibile Couloir du Gardien: di qui sono passati, infatti sono lì sotto, ma fischia che serraccata e che disarrampicata da fare! Mi guardo intorno, magari di la è meglio, ma chissà.. Vado io sul terrazzo verso l'abissino e..beh ma c'è una vite! Facciamo una doppia da qui! Vite con moschettone a ghiera, che immagino abbiano messo chi ci sta davanti. Tolgo allora il moschettone e ci metto una maglia rapida, così gli rendo almeno quello (potrei fare il recupero della vite.. ma c'ho fretta). Meno male, perchè non era roba loro, ergo, chissà da quanto tempo era lì quella vite!
Doppia che ci deposita alla mercè dei seracchi sulle nostre teste: i prossimi interminabili minuti saranno sotto questa roulette russa di grattacieli di ghiaccio in bilico sulla gravità. Giorgio avanti, affaticato, però meglio muoversi. Lo incito, viene giù un minuscolo pezzo di ghiaccio e ci caghiamo in mano, forza rapidi! 
Al sole su una spalla rocciosa siamo un po' più al sicuro, ma per poco, ora tocca ritraversare scendendo sotto di loro, the seracs. Il caldo si fa sentire, il vento qui arriva più debole, e man mano che scendiamo la neve peggiora sempre più. Seguendo le tracce, evitiamo di scendere troppo.
Una lenta agonia, sempre più passi sprofondano fino al ginocchio e oltre. Una volta fuori dai caccia bombardieri di ghiaccio, ci fermiamo, passo avanti, spogliamo e prendiamo un bastoncino per aiutarci a galleggiare in questa acqua solida tendente al liquido. Sempre panorami impagabili, ma il nervosismo inizia a farsi sentire.
Ore che siamo fuori, le frustate del ghiaccio, le difficoltà, e ora sembra di non avanzare mai! Rimesso piede sulla traccia di stamani, la musica cambia e si riesce a salire, si passa la crepaccia, risalita, e di nuovo al Col du Meitin. Ora sono più rilassato!
Ci svacchiamo letteralmente al riparo di un masso, poco al riparo ma meglio di nulla, si banchetta come fossimo a un matrimonio: invitati sono il Mont Velan, i suoi ghiacciai, il Monte Bianco e tutti i suoi amici, le altre cime. Si sposano la passione e la montagna, io e Giorgio a fargli da testimoni: sì sì, queste due "entità" si amano! Ah già, invitato non voluto, ancora il vento: ma al "Sì lo voglio" reciproco, non si opporrà.
Messaggio a casa per tranquillizzare le nostre dolci metà, e discesa su neve bagnata e marcia, ripida (non mi ricordavo così ripido stamani, urca!), interminabile e calda. In realtà, solo 45min, ma agonizzanti. Alle 15 di nuovo al rifugio, contenti e felici, brasati dal vento e dalle difficoltà.
Momento da rottura di peones, rifare lo zaino, chili sulle spalle, ma prima altro cibo e acqua. Ci facciamo vedere da Isabelle e Tanya, "tres bien, tous le monde est la, comment ca etes?", gli descriviamo in qualche goulotte ci siamo infilati, e lei capisce al volo.
Il resto è discesa, lunga, stancante, ma solo perchè è discesa, ieri mi sembrava più facile! Ci mettiamo 2h a scendere, ma tra ginocchia stanche, spalle, e sbuffi, sembrano il doppio. Alla macchina ci godiamo qualche minuto di riposo, al sole a differenza di ieri: meno male il meteo, meno male il rigelo.
Fatta, altri due 4mila in saccoccia, e che 4mila! Soddisfatti riprendiamo la nostra strada, quella dei poveri: niente traforo, niente autostrada fino a Quincinetto, ma una birra e panino..quelli non ce li toglie nessuno. Anche perchè, arrivando a casa alle 23:40, non ci sarei riuscito senza mangiare.

Qui e qui altre foto.
Qui e qui e qui report.
Qui traccia gps avvicinamento.
Qui e qui traccia gps salita.
Qui e qui le stesse tracce in formato google earth (e qui e qui ripetute in gpx).

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