giovedì 29 dicembre 2016

Rischiando il cul-de-sac: tentativo alla Cresta Est della Presanella

Una settimana di ferie dal lavoro, delle giornate di alta pressione, poca neve in giro che rende le condizioni tardo primaverili, tanti sogni nel cassetto. E noi che mentre saliamo una montagna stiamo già sognando la prossima.. siamo già sull’attenti! Il progetto era un altro, ma la sera prima quel “vento forte” previsto ci fa ben dire “eh no, non mi ci infilo in un canale o in una goulotte col vento forte!” (vedi Pisgana tentativo): meglio una cresta!
Ed eccoci allegri e baldanzosi in viaggio verso la Val d’Amola: io ci sono già stato l’anno scorso per una bellissima e indimenticabile infrasettimanale con Nicola quando abbiamo salito il Couloir dell’H al Monte Nero. Giorgio c’è stato due settimane fa per un tentativo finito proprio per i troppi spindrift lungo le pareti dello stesso monte. E stavolta come andrà?
Sappiamo bene che si tratta non certo di un itinerario invernale. Ma le condizioni viste in giro, i report letti, la poca neve, le temperature e il meteo, ci fanno pensare (sperare) che questo clima anomalo possa aver reso possibile questa salita.
Saliamo con calma al Rifugio Segantini, fretta non ce ne è e di caldo invece sì, tanto che le maniche corte non sono per nulla un azzardo: dentro i nostri zaini abbiamo poi il cambio per domani, oltre che scorte e scorte d’acqua e di cibo. Insomma, le nostre spalle gridano “assasini!” ma i nostri cuori e le nostre menti sono sempre più felici man mano che saliamo i pendii scarsamente innevati.
In vista delle cime e della Cima (quella che speriamo raggiungere domani) dei bei pennacchi di farina ci fanno capire quanto vento tiri lassù: va bene, che si sfoghi pure oggi, domani stia calmo e saremo felici! In 1h10min arriviamo al rifugio, sistemiamo un po’ le nostre cose (al momento siamo soli) e poi partiamo in esplorazione in modo da vedere un po’ più da vicino cosa ci aspetta domani e soprattutto tracciare un po’ della strada che faremo a buio.
Finiamo sulla normale per la Presanella, già anno scorso con Nicola avevamo cannato di brutto e saliti troppo in alto per poi scendere in un non bello canalone. Stavolta deviamo prima, ma non abbastanza, al ritorno faremo di meglio. Passati al di la della morena, alla ricerca della neve pressata della traccia per il Monte Nero, raffiche di vento ci buttano un po’ giù il morale.
Avanziamo in mezzo alle raffiche, in mezzo alla valle, una traccia che si vede e non si vede, e se la sbagli vai giù. La Bocca d’Amola la davanti, ovviamente nessuna traccia che ci arriva e un percorso che sarà da cercare. Dopo 45 minuti in mezzo a una vento che gela il coppino, torniamo indietro per iniziare a farci da mangiare. Godendoci la vista sul Brenta.
E poi un bellissimo tramonto sul Brenta.
Al bivacco siamo ancora soli, iniziamo a farci da mangiare anche se sono ancora le 16e30: tanto fame ne abbiamo, e se andiamo a letto presto prestissimo non ci fa certo male. Freddino il locale, come Cristian al Bivacco Messner mi metto le moffole sui piedi per trovare un po’ di sollievo. L’appetito non manca, il cibo nemmeno.
Quando ormai la cena è finita, alle 18e30, arrivano altri due alpinisti: sparecchiamo veloci per lasciarli posto, mentre noi ci infiliamo a letto. La sveglia suonerà alle 3, e nonostante tutto sarà da mesi che non dormivo tante ore di fila! E ho pure dormito bene, nonostante il freddo nella stanza le due coperte sotto e le tre sopra han fatto il loro dovere.

Eccoci, suona, è ora: giù dalle brande. L’incognita del vento, che nel pomeriggio di ieri tirava solo nella valle sotto la Bocca d’Amola, ma la sera anche al rifugio, è presto risolta: c’è. Va beh, siamo qui, proviamoci: in fondo sulla carta le difficoltà non sono eccessive, ma in invernale chissà. Colazione ricca e silenziosa nel rispetto di chi ancora dorme, e alle 4 mettiamo fuori il naso per iniziare la nostra scalata.

Arrivare alla Bocca d’Amola non sarà facile. La neve è davvero variabile. Finchè resti sulla traccia per il Monte Nero si va anche bene: ma questa traccia si vede poco ed è spesso cancellata: in ogni modo, poi finisce. Al buio orientarsi non è facile, niente luna ad aiutare, ma verso il cielo quella bocca un po’ si intravede e la puntiamo.

Andiamo troppo avanti, occorre risalire una morena, ripida. Una debole luce ci mostra meglio dove andare, mentre il vento di nuovo imperversa: meno di ieri per fortuna, ma di certo da “fastidio”. Il Brenta si colora, e si prende fiducia: nonostante tutto, il cielo stellato che c’era prima e l’alba di adesso sono già dei bei motivi per essere qui. Ma anche la cima sarebbe bello..

Mi pare che siamo troppo veloci, intimo a Giorgio di ostinarci ad andare più piano, o arriviamo all’attacco che è ancora buio. Gli ultimi 100m per risalire alla Bocca d’Amola si mostrano pure ostici. Pendio a 45°/50° con tratti con neve brutta, altri ottima, altri materiale “instabile”: penso già che se ci fosse da tornare giù da qui.. sarebbe poco piacevole. Meglio non pensarci o non salgo più.
Dopo 3h30 siamo finalmente alla Bocca d’Amola, in balia di un vento impetuoso che gela anche il cu.. . Vorremmo fare pausa e mangiare, ma non ci si sta, meglio spostarsi. Il sole ancora non è sorto ma manca poco, quindi possiamo vedere cosa fare, 3 opzioni secondo relazione:
a) Scendere sul ghiacciaio lato nord, traversare e poi risalire il pendio verso la selletta: che tormento questo ghiacciaio!

b) cercare una cengia di massi instabili che aggira tutto stando sul versante est: dov’è? Non c’è nemmeno una foto perché non c’è la cengia
c) salire in groppa alla cresta: più difficile ma.. ci pare l’unica cosa sensata da fare.
Pendio ripido ma di neve discreta, pareva più piatto da basso, invece mentre salgo capisco che anche tornare giù da qui sarebbe mica facile. Non pensiamoci, è già il secondo tratto dove lo penso, andiamo male. Una roccia intermedia affiorante obbliga a un passo di misto dove se perdi la presa.. meglio non pensarci.
Guardo verso il mio amico, intanto il sole è uscito e la sua luce tenue illumina tutto di dolcezza. Niente a che vedere con l’asprezza del vento che mi fa odiare ancora di più l’ombra in cui sto “passeggiando”. Ed dai, lassù ci sarà un posto comodo dove fermarsi per mangiare, bere e prepararsi a dovere per la scalata!
Dopo 10minuti scarsi dalla partenza dalla Bocca d’Amola, trovo finalmente un luogo dove si possa stare discretamente comodi, o meglio un luogo dove tra massi incastrati e pendenze lontane, non si rischia di finire di sotto. Un luogo dove porca miseria tira ancora vento. Un luogo dove il sole però ci illumina. Sotto un masso incastrato gigante, un luogo che rappresenta un bel nido d’aquila. Molto romantico, non fosse per il freddo, il vento, e che sono in compagnia di un uomo (e a me piacciono le donne).
Mangia e bevi, fuori frineds nut e cordini che ora c’è tanta roccia pare, e ci sta. Dopo la sosta romantica e non troppo confortevole, parto io, in conserva lunga protetta, e con una sola mezza corda. Vacca che bello. Io sono scarso, ad arrampicare ho un grado basso, a far cascate ho un grado basso, ma quando mi diverto, mi diverto.

Qui le difficoltà non sono certo estreme: III? Però i ramponi, le picche sempre in mezzo alle balle, il cercare l’itinerario, il vento, il freddo, la neve a volte copre i passaggi, i massi instabili, il sapere che non è proprio stagione per questo itinerario.. qui si fa avventura dai (almeno per me). Mi diverto.
Ma penso ancora che se c’è da tornare giù di qua, son uccelli per diabetici. Massi mossi, spuntoni non sempre solidi, una sola mezza corda: se c’è da calarsi, ci si tira in testa di tutto. Non pensarci. Salgo e salgo, mi pare di esser veloce e invece non lo sono davvero. Dopo tanto stare molto sotto la cresta vera e propria, intravedo una sella: bene!
Pensando sia quella dove le difficoltà finiscono, tiro un sospiro di sollievo. Mi pare aver fatto km, in realtà “solo” 120m di corda. Lascio la sella dove è impossibile fare sosta, e siccome il materiale è finito, cerco dove attrezzarne una: un sistema di massi fa al caso mio e mi invento qualcosa. La davanti un bel gendarmone e la vista di una nord spelacchiata e di una cresta che (la prima parte non la vedo) poi pare salire poco pendente anche se incrostata di neve. Sono ottimista.
Arriva Giorgio, son carico, lui mi dice “oh bravo, anche per aver trovato la strada” e io, accidenti a me che gli rispondo “grazie, ma chi ti dice che sia quella giusta?”: bon, me la sono tirata. Cambio della guardia, va avanti lui.
Sembra che passi un’eternità. La sosta purtroppo è all’ombra e al vento. Credevo fossimo alla sella dopo la quale tutto diventa più facile, quindi non capisco proprio come mai il mio amico ci metta tanto: non avanza, sembra quasi torni indietro a tratti. Non posso vederlo, aspetto fiducioso, scruto la cresta rimanente verso la cima (non poca ma “ovvia”), e prego di potermi muovere presto.
Ma la corda non va avanti. Vedo sollevarsi molta neve la davanti, che sia in bilico su una cresta affilata al vento? Provo ad alzarmi e vedere più in la. Eccolo, dai Giorgio va avanti! E invece no. Passo dal muovermi in modo scomposto al ballare per tenermi in movimenti e “caldo”: non serve a nulla. E la corda avanza solo di qualche cm ogni tanto. Inizio a vederla grigia.
Mi rialzo spesso per vedere più lontano. Eccolo Giorgio, proviamo a comunicare, sento “vicolo cieco, non so dove andare”. Porca puttana, tornare giù da qua in doppia ho paura. Inizio a valutare la chiamata al 118 se non riusciamo a proseguire. Chissà quante doppie dovremmo fare a scendere, quanta roba ci tiriamo addosso, uh mamma.
“Vicolo cieco, io da qui non riesco ad andare avanti: ci sono placche inclinate a 60° con un pelo di neve sopra, poi mi pare di vedere un salto di almeno 30m per arrivare alla selletta”, brutte parole da sentire in questo momento, in cui la bellezza di essere da soli su questa montagna diventa.. angoscia di essere soli. Ma dai, ce la possiamo cavare. O no?
Il mio amico sparisce di nuovo, e dopo un certo lasso di tempo in cui spero con tutto il cuore che stia progredendo perché è riuscito a trovare una cengetta o che so io, la corda finisce. Avanzo, mi scaldo, alleluja, spero. Prego. Poi eccolo la, quasi sotto quel gendarme che mi ricorderò per lungo tempo, in sosta.

Senza raggiungerlo decidiamo il da farsi: “Giorgio quindi? Da come me la descrivi nemmeno io ci riesco, poi se non te la senti da primo, nemmeno da secondo in conserva te la puoi sentire, e se c’è da fare una doppia che poi non riusciamo a tornare indietro, siamo fregati. Ci mettiamo in trappola.” Però cazzo, se non mi recuperavi ma tornavi in sosta, perdevamo meno tempo.. Affiora un pelo di nervosismo.

Torno sui miei passi, fino a dove avevo fatto sosta, e la rifaccio questa sosta, tirando già fuori dallo zaino l’occorrente per fare le doppie, e abbandonare del materiale. Recupero il mio amico, chissà che ore sono. “Gio, ce la facciamo o chiamiamo i soccorsi?” sono un po’ teso e preoccupato. La fatica psicologica oggi la sento, ma mi ribecco subito quando il mio amico mi “conforta” con un “ma no dai, ce la facciamo: saranno poi 4 doppie per arrivare al masso incastrato dove ci siamo legati”.

4?! Pensavo 10! A vedere quanto è più in basso la Bocca d’Amola poi! Va bene, calma e sangue freddo, inizia la ritirata. In realtà saranno 3 da quasi 30m per arrivare quasi al masso, poi 1 altra per giungere quasi alla Bocca d’Amola, e altre 2 per lasciare quella porta oggi maledetta: 5 doppie per 3 cordoni, 3 fettucc2, e 2 chiodi. Abbiamo solo una corda da 60m.
I cordoni che Riccardo mi ha dato l'altro giorno diventano d’oro. Ho una paura tremenda che sia noi mentre scendiamo, che la corda mentre la recuperiamo, saranno fonte di sassaiole in testa: il primo che scende butta giù le cose più instabili, ma sono tante. E ogni masso che butti giù, viene su odore di bruciato quasi..
La prima doppia già non è facile: scendo io, c’è da traversare un po’ alla fine e da risalire verso quello spuntone che un paio d’ore fa ho guardato con sospetta preveggenza “che bello spuntone da doppia”. E su questo va la seconda doppia capitanata da Giorgio. Al recupero della corda della seconda doppia, questa fa un giro strano in mezzo a dei massi e si incastra. Porca puttana anche questa.

Almeno abbiamo corda a sufficienza in modo che il mio amico possa risalire assicurato a disincagliarla. Sale con poca fatica il mio amico, arriva alla corda e la fa scendere: ma disarrampicare non si fida a farlo fino giù, quindi giù un altro cordino e una maglia rapida per essere calato in moulinette. E anche questa è fatta. Dai che ce la caviamo.

Non stiamo bevendo e mangiando nulla, ciò non va bene, ma ora pensiamo alla pelle, pensiamo alla ritirata. Il balcone romantico non è lontano, ma è molto di lato rispetto alla discesa delle corde. E laggiù vedo il saltino di misto del pendio di neve iniziale che non vorrei disarrampicare. Qualsiasi Dio sia in ascolto, ti prego fa sì che ora mi calo e trovo qualche roccia affiorante in mezzo alla neve per metter giù qualcosa e fare un’altra doppia per superare quel salto.
Un masso affiora, percorso da una bellissima e sinuosa fessura verticale: la fessura più bella che io abbia mai visto. Un po’ larga, è vero, ma i chiodi entrano che è un piacere, non “cantano” a pieno, ma la veritcalità della struttura fa ben sperare sulla tenuta complessive della sosta. Grazie a questa fessura, riusciamo a superare il tratto ripido e quello di misto fino a depositarci sul pendio di neve a 40° che poi in breve ci porta alla Bocca d’Amola.
È quasi fatta. Quasi. C’è da scendere questo pendio che già in salita ci ha dato il suo bel da fare, soprattutto a Giorgio che ha optato per una linea un po’ “complicata”. Bevutina veloce, poi meglio continuare che non so che ore siano, ma mi sa che sta diventando lunga. Sono le 15 passate, la ritirata è iniziata alle 11e30.

Sotto di noi però le rocce che affiorano sono solo detriti. Un bel masso alla bocca consente una sosta dalla quale Giorgio mi cala in moulinette: cerco da far sosta, ma non trovo nulla, “Giorgio, magari mi cali per 60m e te scendi disarrampicando, che devo dire?”. Ma lasciare questa sorta la mio amico non mi piace molto. Traverso nettamente a sinistra ed ecco un menhir di granito dietro il quale una debole fessura lo separa dal suo vicino: debole a sufficienza per un cordino. Sono giusto arrivato a metà corda lassù, perfetto.

Il mio amico scende in doppia, e da qui di nuovo in doppia. “Giorgio con questa arrivi alla base del pendio, te avviati pure finchè c’è luce che ci penso io a recuperare la corda e poi ti raggiungo: magari scesa la morena ripida ci fermiamo a mangiare e bere”.
Scende lui, scendo io. Fine. Fine della ritirata. E che ritirata: di quelle che valgono più del raggiungimento di una cima, di quelle che il Mars di vetta e la birra di fine gita sono più che meritate. Di quelle che.. che bello essere vivi e interi!
Vedo il mio amico che vaga come un anima errante per i pendii di neve sotto di me, guardo la Bocca d’Amola, per noi oggi Bocca dell’Inferno, la Cresta Est non la vedo bene da qui, ma mi girerò spesso ad osservarla e “capirla”: dove abbiamo sbagliato? Tiro fuori la banana da mangiare mentre faccio su le mie cose. Banana di cemento: che razza di freddo deve esserci. Non lo sappiamo ancora, ma le bottiglie nello zaino sono congelate per metà.
Giorgio laggiù, da solo, in mezzo a questa immensità, dopo questi pericoli, dopo essercela cavata, è un’immagine felice e triste allo stesso tempo. Una sensazione strana. Peccato per la cima, ma evviva per esser integri. Da soli siam saliti, da soli ce la siamo cavata, da soli ci ritroviamo a scendere. Soli con le montagne: il Brenta davanti a noi, la Presanella dietro di noi.
Un tramonto sul Brenta, di nuovo (ieri gli dissi “Giorgio, vedrai che lo vediamo anche domani il tramonto”), e tanti e tanti sguardi indietro alla Presanella, alla Bocca d’Amola, alla Cresta Est, a quel gendarme che da questo versante non si vede bene come dall’altro. Ma è lì. È lì, e voglio rivederlo da vicino quando la stagione sarà più “appropriata”.
Non ci si ferma, lo spuntino è rimandato, la bevuta pure. È più tardi di quello che pensavo e le luci ci stanno abbandonando. Raggiungo il mio amico, via le picche e dai coi bastoncini che aiutano ad affondare meno. Sempre più buio, e siamo ancora dentro la valle. Gli occhi si abituano e adattano con gradualità all’imbrunire, e riusciamo a scorgere il percorso e la traccia anche a buio. Superiamo la zona acquitrinosa (nascosta dalla poca neve, quindi temibile per crolli di ponti). E sbuchiamo in “vista” del rifugio. Rifugio è la parola adatta oggi.
Ma ora le frontali servono, altrimenti finiamo troppo in basso, cosa che in effetti quando accendiamo la luce artificiale verifichiamo che stavamo facendo.. Alle 17e30 siamo al sicuro, al coperto. Sono a metà tra il detonato e l’euforico: oggi troppe emozioni e stati d’animo contrastanti e contemporanee. Robe strane.

Mangiamo e beviamo (quel che possiamo, perché l’acqua è mezza ghiacciata, e si fa davvero fatica a mandarla giù), rifacciamo gli zaini con tutto ciò che avevamo lasciato al Bivacco Invernale, zaini che tornano pesanti, ma le nostre teste sono più leggere ora. Prima di “mollarci” troppo, ci tiriamo su per scendere fino all’auto, sotto una nuova stellata magnifica: una Bellezza con la B maiuscola, la Gioia di vivere con la G maiuscola, e datemi anche una V maiuscola per dire “la Gioia di Vivere questa Bellezza”.

Una stretta di mano, i complimenti reciproci. Non è stato facile uscire da questo cul-de-sac. Dopo l’ultima doppia avevo quasi le lacrime di felicità, quelle che di solito verso in cima, ma che oggi la ritirata compiuta ha reso ben più “giustificate”. Ora non resta che la voglia di una birra, di una doccia calda, di un letto confortevole nel quale sentirsi al sicuro. E, non ci crederete, la voglia di tornare in montagna già domani.

Qui altre foto.
Qui e qui report.

lunedì 26 dicembre 2016

Tornando a spiccozzare: Cascata XXX

No, le “XXX” non sono nel titolo perché si tratta di un film porno! Ci sono perché l’amico che mi ha dato la dritta sulla bontà di questa cascata (merce rara in questo nuovo “inverno” in balia dei cambiamenti climatici) ci ha tenuto a dirmi di non pubblicizzarla. Ora, io di natura sono per condividere le informazioni e la cultura (se lo facessimo tutti, non ci sarebbero problemi), ma siccome tengo di più alle amicizie..XXX.

Nessun pranzo o cenone megagalattico (solo un pranzo in famiglia il 24, alternativo), e quindi poca roba da smaltire, ma.. la voglia di farsi un bel giro in montagna c’è sempre. Il mio amico Riccardo si mostra poi ben disponibile a farsi una cascatella (“io un paio di volte all’anno devo cagarmi a dosso” cit.), un amico mi da questa imbeccata, e quindi..perchè no?! E perché alle 20e30 devo trovarmi che non riesco a svitare i bulloni per cambiare le punte dei ramponi? Spanna una chiave, piegane altre, poi arriva il santo della giornata: Roberto, che con le sue chiavi a brugola in criptonite mi salva.

E perché non andare a ballare la sera di Natale come da tradizione del locale della mia città?! Accidenti al voler restare giovani, fino alle 2e40 a ballare con la mia amica, e alle 3 mi passa a prendere il mio amico per una danza più “particolare”: prevedo un leggero coma domani sera! Ma alle 6, siamo in cammino, buio pesto ma una zona che fino a un certo punto conosciamo, oltre un sentiero ben tracciato ci condurrà verso l’anfiteatro da dove vedremo i nostri flussi di acqua solida.

E sul sentiero al buio ci ritroviamo, con enorme spavento data la sorpresa dell’accaduto, un cagnolino tra i piedi, “che fai tu qui?!”, e dopo pochi secondi due cacciatori ci superano. Cacciatori che più su si nasconderanno dietro a un grosso masso a osservare col binocolo in giro. Io, per non so quale sesto senso, li vedo subito e evito di fare casino; Riccardo invece, rimasto un po’ indietro, parla e blatera a voce alta finchè un “oh tato, fa pian!” non lo zittisce (meglio quello che un colpo di fucile).
I flussi son la davanti a noi: a separarci da essi un ruscello ghiacciato e una selva di arbusti secchi e spogli ma.. fitti. Si cerca la strada migliore, ma è dura. Il mio amico sale alto mentre io mi infilo in mezzo a una giungla trentina che inizio a maledire ben presto. Vorrei un machete. Poi un raggio laser. Poi una bomba. Con non poca fatica e non poco nervoso, supero questi 100m (?) di selva fitta ritrovandomi pezzi di rami ovunque. Il mio amico lassù che mi aspetta. Arghhhh.
Insidiosa pietraia da risalire (con la neve deve essere ben diverso l’avvicinamento, ma anche il pericolo di rimanere sotto una valanga) e finalmente eccoci alla base dei flussi. Dalla guida quello di sinistra dovrebbe essere più difficile di quello di destra, ma da sotto non pare proprio: attacchiamo quello di sinistra allora, anche perché devo tirarmelo tutto io! E già si vede che la cascata piscia acqua, e lassù il passaggio pare delicato..
Parto, passi facili inizialmente, e meno male visto che è la prima della stagione e io non sono certo un drago! Oltre che essere un po’ “detonato” dal sonno e ultimamente un po’..prudente (per non dire cacasotto).. Ogni vite che avvito, ho il timore che invece che uscire la carota di ghiaccio che ben ti fa sperare sulla sua tenuta, ne esca uno zampillo d’acqua gelida che mi ingessi sul posto. Bei presupposti di salita.
Arrivo al tratto delicato, devio a destra, poi torno a sinistra, dei traversi sempre belli da equilibrio su questo tipo di arrampicata. Supero il tratto ostico e tutto si appiattisce: quella pendenza stupida che non sai se stare in assetto 4x4 o 2x2. Vedo una sosta, “Riccardo quanta corda ho? A 10m vedo una sosta”, “Vai!”: vado, e in realtà qualche metro in conserva ce lo siamo fatto.. Di nuovo.
Sale il mio amico, bello allegro, lo vedo poco finchè non emerge dal tratto delicato, per poi arrivare in sosta in preda a una bella ribollita alle mani! Guardo in su, mi sa che un altro tiro da 60m siamo fuori a ben vedere. Ma andare a sinistra o a destra? Sinistra pare più duro e forse delicato, destra più facile ma più estetico. Opterò per la destra, per fortuna, perché l’uscita di sinistra era bella magra.
Riparto per il secondo tiro, dopo poco trovo un ragnetto congelato sulla cascata, poverino.. Mi guardo intorno: il paesaggio è brullo, poco invernale, un po’ triste forse. Ma sono in buona compagnia, a fare quello che mi piace, in una zona che ha per me un bel po’ di ricordi, e siamo da soli. Già, a dispetto dell’affollamento su altri flussi più blasonati e reportizzati, qui siamo soli. Un bel lusso.
Arrivo verso metà, fin qui tutto abbastanza facile, confermo di stare a destra, infilarmi in una simil goulotte tra le rocce, con qualche passo strano in traverso, in diedro, e la mano destra ghiacciata perché.. porca vacca i guanti bucati! Entra un po’ d’acqua (sulla cascata ne scorrono dei litri) e il gioco del congelamento è fatto: che male! Anche l’uscita, il cambio repentino di pendenza è sempre un po’ scomodo, ma ecco la sosta.
Recupero il mio amico che se ne esce con un “che tiro minchione, potevo farlo anche io!”, beh io qualche tratto mica banale l’ho trovato. Via con le doppie, cambio guanti che questi non li voglio rovinare ulteriormente. Intanto sentiamo voci, vediamo due persone che devono aver salito la cascata di destra e ne cercano la discesa: scenderanno dalla nostra. Non siamo soli, ma lo siamo quasi.
Con due doppie siamo alla base del flusso: orario, le ore di macchine fatte per venire qui e che ci aspettano per tornare a casa, il poco allenamento, il fatto che domani il mio amico lavora.. ci accontentiamo e anche se abbiam fatto solo due tiri da 60m, ce ne andiamo a casa.
Ricomponiamo gli zaini mettendo via tutto il materiale che non ci serve più: da cascatisti torniamo a essere semplici trekker in una valle solitaria, silenziosa, desolata, tutta per noi.

Qui altre foto.

domenica 18 dicembre 2016

Avventura Alpinistica nel cuore del Brenta: Cima Brenta, Scivolo-Traversata-Massari

Quelle giornate che non ti aspetti. Già in fase di decisione su cosa fare e dove andare la lista dei desideri è ampia, e alla fine decido di accontentare Giorgio (eh, uno schifo il posto che mi propone eh!). Ci si aspetta un giro forse un po’ lungo, ma nemmeno troppo; ma di certo che non dovrebbe essere impegnativo, ma molto panoramico. Poi durante pensi ormai che la piega sarà quella, invece se ne prende un’altra. Credi che ormai siano finite le “ostilità”, e invece eccone un’altra.
Ma tutto ciò , porta a una grandissima soddisfazione.

La sveglia è uno dei record, l’1:15. Non le 13:15, proprio l’1:15. Entrambi cotti dal sonno ci alterniamo alla guida, la forma non è quindi il massimo ma si sa che poi quando c’è da pedalare..si pedala. Stellata e cielo limpido, un freddo becco a valle che ci fa temere l’ibernazione più su, e invece..ni. Eccoci a Vallesinella, e i ricordi corrono al Canalone Neri, forse la più grossa tirata che abbia fatto: ma anche quella volta, che giornata spaziale.
Alle 5:30 ci incamminiamo da Vallesinella. Buio pesto, ed è meglio così: al ritorno la discesa sarà resa meno noiosa dal fatto che non l’abbiam già vista poche ore prima. Penso all’orso: se lo troviamo che si fa? Beh, per renderci più voluminosi possiamo metterci uno fianco all’altro, così le nostre frontali simulano due occhi distanti 40-50 cm, e urliamo. Ma si può pensare certa roba?
Al Rifugio Casinei arrivo sperando che la fontana sia aperta, siccome ho solo 1,5l con me nello zaino e temo siano pochi (e infatti lo saranno). Ma giustamente tutto chiuso, se no scoppiano le tubature, pistola. Ripartiamo. Neve zero, ‘na tristezza. Lungo traverso e finalmente qualcosa di bianco da pestare appare, ma davvero poca roba. Usciamo dal bosco, ombre enormi davanti a noi e luci verso valle.
Avevo il timore di un avvicinamento lungo, e invece in meno di 2h arriveremo al Rifugio Tuckett, dopo l’impennatina finale di pendenza, finalmente pestando una neve che comunque è poca. Ma questo poco ci consente anche di poter salire itinerari che se no sarebbero primaverili.
Pausa ristoratrice e per calzare i ramponi, e dal locale invernale escono quattro ragazzi con le nostre stesse intenzioni: Scivolo Nord, traversata, Canale di Massari. Loro non la faranno, noi sì, ma in discesa ci ritroveremo sul sentiero sotto il Casinei a far due chiacchiere.
Bocca di Tuckett la davanti, il massiccio di Cima Brenta e Cima Massari, e noi piccini piccini. Le prima luci sul Gruppo dell’Adamello Presanella e su quello dell’Ortles Cevedale: un’alba stupenda che ci fa fare numerose soste per voltarci dietro e ammirarla. Uno di quegli spettacoli che potrebbe essere una delle risposte alla domanda che molti ci pongono “ma perché lo fai?”.
Esci dalla traccia e si sprofonda da matti. Accidenti, speriamo bene. Va beh che dalle peste sul sentiero, dovrebbero essere saliti in tanti nei giorni passati, ma oggi siamo solo noi sei?! Lo scivolo ancora non si vede, il seracco si scopre alla nostra vista invece: sogno proibito la sua cascata. E la luna che staziona sopra il complesso delle Torri di Kiene: quante rughe bianche che salgono verso l’alto!
Pensiamo alla nostra di oggi che è meglio. La Bocca di Tuckett si avvicna, lo Scivolo Nord si mostra e io lo pensavo diverso: più simile allo Scivolo Nord delle Presanella, e invece questo è molto più incassato (a tratti) e sinuoso. Beh, ambiente top.
Lasciamo il miraggio di un sole che alla Bocca di Tuckett ci scalderebbe (io oggi soffrirò il piede che mi costringerà a parecchie pausette in salita, e Giorgio che non trova più le moffole soffrirà le mani), attraversiamo una ghiacciaio che ancora ruggisce con un bel buchetto aperto, e via su verso l’alto. Ma ancora coi bastoncini, le picche possono aspettare.
I polpacci iniziano a godere, la mente di più. Sempre più in alto, sempre più lontani dalla “civiltà”, dentro le sagge rughe della montagna, al cospetto di paretoni di dolomia, facendo il solletico a un versante nord con tutte le cime lontane a fare da spettatrici disinteressate a questi minuscoli e insignificanti bambini al parco giochi.
Una pausa verso metà per mangiare qualcosa, e si coglie l’occasione per tirare fuori i ferri. Riparto davanti perché stare fermo sento troppo freddo, e mi ritrovo così in questo circolo, in questa conca che tanto m’abbraccia ma tanto resta distante da me: finchè non riuscirò a raggiungere quel colletto di uscita dove il sole brillerà.
Giorgio segue, anche i quattro ragazzi sotto. Noto una bella linea di uscita a destra, ma non voglio esagerare: invece forse sarebbe stato meglio (ma chissà poi la cresta rocciosa per arrivare in cima come l’avremmo trovata). Ultimi metri tra pareti sempre più vicine, sempre più chiuse. Dai che la cima sarà lì, è fatta. Lo scivolo l’ho trovato molto più facile di come me l’aspettavo.
Ma. Il colletto è la sella di un cavallo: piccolo! Non ci si sta in due temo. E per prendere la cresta, mamma mia che parete rocciosa verticale che c’è! Ma siam sicuri sia di qua.. Questo proprio non me l’aspettavo. Provo a partire perché se arrivano gli altri qui si sta stretti. Provo, e dopo un po’ di tentativi e sospriri lunghi riesco, ma che fatica.
Solo ora noto sosta messa sepolta (sotto c’era un cementato anche), direi d’obbligo per scendere calandosi da qui. E non è finita. Neve poco consistente e delle cenge detritiche dove pare di giocare a Shangai, ma con la sensazione che qualsiasi mossa farai.. perderai. Perderanno anche quelli sotto se cadono sassi però. Passi lunghi 2m per evitare tutto ciò, e finalmente neve dura a 45°.
Oh dai che la cima sarà.. Niet. Cresta affilata ed esposta: bellissimo eh, alpinisticamente doc, io però un pezzo me lo faccio a cavalcioni su essa che se no mi caco addosso. E anche il mio amico dietro di me lo vedo bello delicato e sensibile alla gravità.
Finalmente ecco il panettone di vetta, con la sua croce e il suo zucchero a velo a coprirlo anche se in modo poco abbondante. E il panorama spazia a 360°.
Scivolo facile, ma uscita tutt’altro! E infatti ho l’impressione che se non siamo gli unici nell’ultimo periodo ad aver proseguito per la vetta, poco ci manca. 10e10, chissà la mia amica come se la sta cavando. Noi ci godiamo il cibo, il Mars, l’acqua (già da centellinare), il sole (freschino però), e tutto ciò che l’occhio può arrivare a vedere.
A proposito di vedere, vedo che di certo nessuno ha proseguito per la traversata a Cima Brenta Occidentale: il vento non può aver cancellato eventuali tracce così ovunque. Mi sposto su una cresta verso sud est per vedere un po’ la situazione, e titubo parecchio. Non pare proprio agevole aggirare quei torrioni e risalire quella parete rocciosa da quel passo.
Certo che tornare giù da dove siamo venuti.. Ma ci sono le doppie (anche un cordino più su della sosta). Di là c’è l’ignoto. L’avventura. E io c’ho paura, lo ammetto. Andiamo non andiamo, Giorgio mi convince a provare, alla prima grossa difficoltà torniamo indietro. E devo ringraziarlo il mio amico, perché “provandoci” ci siamo riusciti, e non è stato banale ne tecnicamente, ne fisicamente, ne mentalmente.
La direzione per Cima Brenta Occidentale è facile: quando non si può stare in cresta, si traversa sul pendio a sinistra. Non che sia difficile, ma se sbagli ti si ripesca parecchi metri più giù. L’ultimo torrione consiglia invece di scendere sul plateau che alimenta il seracco, ed infine eccoci al colletto che vedevo prima. Già mi pare tanto essere arrivati qui, ma i passaggi che non si vedevano invece c’erano.
Qui invece tale e quale a ciò che vedevo da lontano: metri di roccia verticale. Guarda dritto, a sinistra, a destra. Mmmm. Provo a destra, all’ombra, senza guanti per poter avere un po’ di sensibilità. Anche qui non è facile, quasi verticale e poco o per nulla ammanigliato. E non sono mica in tenuta da falesia. Ma anche questa viene superata, per poi ritrovare una buona neve fino al nuovo panettone che ha una testa molto più ampia.
Talmente ampia che: dove cavolo si va adesso?! E i dubbi tornano. Nessuna impronte, tutto vergine. Gironzolando sul campo da calcio, a destra e sinistra, seguendo quelle che paiono vecchie impronte ma probabilmente sono solo giochi di vento.. no di qua no. Prova di la allora, no. Ah ecco forse una cresta che può farci scendere..sì ma verso dove? Mi pare che finiamo tanto lontani dalla nostra meta. Eppure non c’è molta alternativa.
Tanta, tanta disarrampicata. Con dei bei passi di III più iva secondo me, cresta sposta e rocce appoggiate coperte di neve. Anche qui non si può sbagliare, ma manco legarsi visto che poi della gran sicura non la si può fare. Sembra eterna questa cresta, ci mette a dura prova anche dal punto di vista psicologico visto che non siamo sicuri che si stia andando nella direzione corretta.
Io continuo a guardare se ci sia qualche canale da prendere per scendere, ma tutto troppo ripido e stretto. Un’altra parete a scendere da superare, dove non lo vedo, ma vedrà poi Giorgio che c’erano anche dei chiodi. Passi delicati, speriamo regga tutto, le picche in mezzo alle balle, e forse finalmente laggiu scorgo segni di passaggi: forse c’è l’imbocco del Canale Massari!
Anche questa cresta, non me l’aspettavo. PD o AD un paio di balle. Ma non è mica finita, tocca scendere su neve e poi traversare: neve buona eh, ma qualche lastrone mi fa scorrere qualche goccia di sudore freddo lungo la schiena, “Gio, stiamo distanti”. Vacca boia che traversata selvaggia!

Nonostante la regolarità che dimostravano da lontano, quelle che mi parevano vecchie peste sono invece tracce di sassi rotolati giù. Bastardi, brutti giochetti verso noi alpinisti.. Insomma, vaghiamo ancora alla ricerca della via. Però dai, il Canale Massari deve essere questo: bello largo, anche se mi sembra abbiam vagato parecchio e il rifugio non lo vedo.
Bene così, sospirone, bevutina (ma ina, perché l’acqua scarseggia), mangiatina. Siamo su un bel balcone in mezzo al Brenta, ma un balcone che non è mica all’ultimo piano, ben più giù: o almeno così spero, in realtà l’altimetro di Giorgio mi scoraggia alquanto su quanto poco dislivello abbiamo perso.. Ecco, allora andiamo giù alla svelta!
Al sole si stava bene, torniamo all’ombra dei giganti di roccia adesso, in un bel vallone largo e poco ripido che da sciare deve essere una goduria. Solo che, ricordo che dal rifugio si vedeva che la base di questo canalone era interrotta plurime volte da fasce rocciose. Vedremo, ormai non si torna indietro.
La discesa dovrebbe essere esente o quasi da fatica: questo lo dice chi di discesa ne fa poca. Affondando fino al ginocchio nella neve poi, il lavoro compiuto per ritirare fuori la gamba dallo sprofondamento non è poco. E qui, si affonda spesso. Ma che ambiente grandioso.
Candelotti di ghiaccio sulle pareti a lato, e ora acqua solida anche da pestare: le rocce affiorano, le caviglie temono le trappole, e un capitombolo in avanti mi fa temere. Comincia il nuovo periplo alla ricerca della via! Girovaga in mezzo ai dossi nevosi che identificano la presenza della roccia e del ghiaccio, ma i dossi diventano sempre più rocciosi e meno nevosi. E più numerosi..
Finchè non tocca ricominciare a disarrampicare. Ecco, non me l’aspettavo, non è finita. In realtà stavolta lo speravo, perché già da stamani temevo questo rischio. Solo che a un certo punto la verticalità diventa un po’ troppa: fortuna scorgo a 10m da noi (in completo traverso) un cordino per una calata. Oggi la corda la usiamo, non si è fatta solo un giro nello zaino!
Prima doppia, scende Giorgio che poi va alla ricerca del passaggio in mezzo alle fasce rocciose. Recupero la corda, la faccio su, metto via l’attrezzatura, e lo vedo che ancora cerco: bon, ritira fuori tutto, rismonta la corda che su questa clessidra ci mettiamo un cordino e facciamo la seconda doppia.
Ora pare che il bianco domini sul marrone, dai che magari ce la facciamo. Ora si vede pure il rifugio! Il mio amico va avanti, non so come mai ma dal suo modo di procedere mi pare di capire che è cottarello.. Beh, comprensibile, ci sta impegnando più di quello che si credeva. E non è finita..
Un mare candido di bianco lascia di nuovo posto a dossi, rocce, ghiaccio, e tutto sempre più ripido. Un nuovo labirinto nel quale muoversi alla ricerca della strada migliore, che probabilmente era traversando tutto alla nostra destra, ma ormai siamo qui. Siamo qui, siamo li, andiamo la, torniamo un po’ su. Sembra fatta, sembra.
Un bel salto ci separa da quello che pare essere invece un dolce pendio che può portarci sotto al rifugio. E va bene, facciamo un’altra doppia, lasciamo giù dei chiodi, come dice il saggio “quando c’è da portare a casa la pelle, tutto è da abbandono”. Troviamo invece un clessidrone orizzontale su cui fare la terza e ultima doppia della giornata.
E sarà ben finita ora! Si ride e si scherza, si mangiano le ultime cose rimaste e ritirano fuori i bastoncini: si osserva e ammira il nostro paradiso-purgatorio di oggi. Dal rifugio e quindi dal tranquillo sentiero di discesa però, ci separa un accumulo di pietre semicoperte di neve, che rappresentano l’ultima “trappola” della giornata: se una gamba ti finisce in un buco, son dolori.
Alleluja, fuori dalla vallettina sotto al rifugio, ora non ci resta che raggiungere il sentiero che stanno percorrendo i ragazzi che erano dietro di noi sulla salita e che poi sono ridiscesi dallo scivolo. Spogliarci, sramponarci, e distendere i nervi con qualche battuta e risata. Ma che giro!!!
Bellissima giornata, di quelle che non ti aspetti. Un meteo ottimo che ci ha permesso di godere appieno del panorama, condizioni buone della neve per una veloce salita, una discesa tutta da “fare” che ci fa quasi sentire alpinisti seri. Una giornata da incorniciare, il Brenta è sempre severo.

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