mercoledì 26 dicembre 2018

Apuanismo condensato: Canale Cambron e mezza Traversata del Monte Cavallo

Quel ghiaccio salato che bramo da tempo finalmente sta per essere scalfito dalle mie picche e dai miei ramponi. Sarà perché sono mezzo toscano, sarà per il fascino indiscutibile che hanno le Alpi Apuane, da tempo speravo di poterci andare a mettere il naso. E quale miglior occasione se non andarci con due ragazzi che conoscono bene queste zone: Federico e Luca, redclimber e montagnatore.
La partenza è a un orario folle. Folle non perché sia presto, folle perché mi sembra enormemente tardi: nonostante la colazione consista in un veloce caffè, solo alle 10:00 di mattina mettiamo gli zaini in spalla. Io chiaramente ho lasciato fare i due esperti, che si sono bisticciati tra speranze e rassegnazione per poi alla fine buttarsi sulla cosa più sicura che ci potesse essere, ovvero il canale Cambron al Monte Cavallo.
La valle è piuttosto fredda e la risalita della marmifera, cioè la "strada forestale" delle cave di marmo, viene percorsa in un freddo silenzioso e spettrale interrotto da racconti e progetti del trio. Sulla strada ci sono ottime condizioni di neve ghiaccio, servirebbero quasi ramponi: il bosco intorno invece è in modalità autunnale. Speriamo nel canale!
Ecco che appare sempre più vicina la cava della focolaccia, un enorme depredamento di marmo, con tutto il suo ghiaione dei pezzi di scarto, che scopro avere un nome ben definito ovvero ravaneto. Ma vuoi vedere che ravanata derivi da questo termine? Chissà.
Il canale lo vedevamo fin da valle, e ormai pian piano inizia a farsi sempre più vicino. Ma molto piano, perché nonostante in linea d'aria sia piuttosto vicino, il dislivello che c'è da fare per raggiungerlo contempla un sacco di tornanti su questa strada. Terminato l'ultimo dopo aver percorso pure un bel tratto sotto un sole rovente, possiamo fermarci per calzare i ramponi e iniziare a salire in direzione dello scivolo nevoso che si spera ghiacciato. Si spera sia ben ghiacciata anche tutta l'erba e la terra sottostante al canale.
Federico invece opta per continuare la strada e prendere il sentiero più avanti, Luca mi dice che non c'è nulla da preoccuparsi di solito ogni volta che vanno via loro percorrono sempre due tratti diversi. La neve si rivela già ottima, non fosse che viene bruscamente interrotta da zolle di quel temibile paleo a pois.
Dopo il pendio al sole di neve leopardata d'erba, giungiamo nel tratto ombreggiato dove la continuità del bianco è assicurata. Continuità e qualità: madonna la neve col viagra quanto mi mancava! Ramponi e piccozza che entrano alla perfezione è quasi odo quel bellissimo suono "quick quick" in penetrazione ed estrazione.
Noi tre siamo improvvisamente diventati tre bimbetti di pochi anni a cui hanno appena dato in mano il loro giocattolo preferito. Le espressioni dei volti sono cambiate, il tono della voce, la fluidità nella progressione e gli sguardi curiosi nel guardarsi intorno e col naso all'insù. Magie dell'alpinismo.
Alla nostra sinistra scorrono parecchie soste e alcuni chiodi: alcune inspiegabilmente in alto tanto da lasciar pensare a varianti dalle difficoltà molto ben maggiori di quelle del canale. Roba che non ci interessa, oggi siam giusto qui per divertirci con qualcosa di facile purché si riesca a fare. Di nuovo, la volpe e l'uva.
Alla strettoia la neve inizia a calare e lasciar posto a qualche macchia di erba e terra. Ma ancora si va bene: è più su, verso l'uscita, che questa interruzione diventa fastidiosa e lo spessore di neve un po' misero. Mi obbliga a attraversare verso destra verso il sole nella speranza che non abbia cotto la neve: così non è! Luca mi segue, mentre Federico da buon adoratore del misto sale dritto.
È abbastanza impagabile arrivare alla fine di un canale e trovare il mare a pochi chilometri in linea d'aria: ma le Apuane sono così.
Ora si potrebbe scendere per il canale stesso sfruttando le soste che ci sono per fare delle calate, oppure proseguire verso sud sulla Cresta del Cavallo che però sembra piuttosto secca, in quel formato che è un mix tra estate-inverno prendendo le caratteristiche peggiori di entrambe le stagioni. Non sarà banale ma proviamo a proseguire.

Giunge così l'ora di legarsi: Federico passa avanti e sfruttando il cavetto metallico raggiunge una strisciolina di neve che lo riporta in cresta dove sul lato sinistro la neve facilita la progressione. Dopo 35m la neve finisce lasciando posto al tipico misto Apuanico Nico Tra l'altro inproteggibile. Con una sosta da manuale recupera a me e Luca lasciandoci poi proseguire più facilmente verso la cima.
È ora di far sosta e di fare una lauta merenda osservando il panorama brullo e selvaggio di queste montagne per nulla addolcite da una buona spolverata di neve a velo come i pandori, giusto per rimanere in tema natalizio.
Tolti i ramponi, ma non messi a posto, proseguiamo in discesa sui ripidi gradoni della cresta per poi risalire e giungere al prossimo punto dove occorre legarsi. Sempre Federico in testa per un tratto più ostico che il precedente. Dopo la comoda se pure a tratti inclinata neve, occorre salire decisi un pendio di terra erba roccia nel quale il ragazzo di Parma pianta le picche facendoci pure vedere la polvere che si alza da queste infissioni.
Bene dai, superato questo tratto le fatiche dovrebbero essere finite. E invece no, non è ancora ora di mangiarsi il Mars. Perché la discesa adesso presenta un tipico pendio apuano: paleo rigoglioso che non ti fa capire se dove poggi il piede affonderai 5cm o mezzo metro, pendio scosceso di cui non si vede la fine. Per fortuna che almeno non è bagnato.
I due esperti avanzano ben più velocemente e tranquilli di me, che rimango indietro titubante e timoroso di questo terreno di avventura: c'è da farci l'abitudine. Arrivati alla selletta che ci riporta sul versante del Passo della Focolaccia, in pochi minuti aggiungiamo il Bivacco Aronte dove ormai tutti i pericoli e le insidie di queste uscita sono finite e possiamo quindi concederci la spartizione del tradizionale Mars.
Il successivo passaggio all'interno della cava di marmo mi rammenta quanto stiamo rovinando il pianeta su cui abitiamo. Quanto la tristezza e alle polemiche, siamo in periodo natalizio, mi censuro qua.
Il rientro comincia scherzoso e giocoso, con Luca che fa il rompighiaccio in mezzo ai lastroni camminabili di marmo. Poi diventa molto più noiosa siccome si tratta di una strada già percorsa stamattina e inoltre si tratta di una strada. Solo le chiacchiere i progetti futuri possono allietarla.
Un peroncino ("Eh?" "Peroncino" "Cosa?" "Peroncino") al bar e possiamo rientrare. Come prima uscita di Apuane in veste invernale non mi è per nulla dispiaciuta, anzi spero solo che presto queste montagne, come poi tutte le altre del nostro paese, mettano il maglione invernale e possano diventare ben più divertenti e spassose e ricche e varie.

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Qui, qui e qui report.

martedì 25 dicembre 2018

Alla ricerca della serenità: Natale Appenninico

Non voglio dire che la giornata di ieri abbia lasciato il segno, però ho proprio bisogno di una tranquilla giornata a stendere i nervi alla ricerca di serenità con un trekking tranquillo e senza impegno. Ma due picche me le porto dietro che non si sa mai che riesco a trovare qualcosa di ripido e salibile.
L'Appennino Reggiano mi fa sempre sentire a casa, e la buona conoscenza che ho dei suoi sentieri e luoghi mi permette di non mettere nemmeno mano alla cartina per pianificare il mio giro. Parto dagli impianti di Febbio armato di frontale ma con una luna che illumina ancora a giorno.
La risalita delle piste non è certo al ritmo trail, ma presa molto più con calma visto che tanto di chilometri da macinare oggi ce ne saranno. La zero neve permette il progredire comunque agilmente. E durante la salita sole e luna si contendono il primato dell'illuminazione del cielo, con una luna che all'ultimo tenta di accendersi come un neon ma nulla può fare di fronte alla potenza del sole.
Come all'Alpe di Succiso la situazione è desolante anche qui: non ci sono pendii innevati ma solo deboli lingue da dover andare a cercare e comunque la cui uscita è piuttosto dubbia su terra. Lascio perdere e me ne vado su cresta verso la cima del Cusna con un bel vento impetuoso che ti congela fino alle ossa.
Sulla discesa verso il basso sotto la cresta est non posso più rimandare la calzata dei ramponi: la cresta si dimostra poi piuttosto spoglia e poco impegnativa. Poche foto in vetta e poi giù di corsa sui propri passi alla ricerca di un maggior tepore: già queste sono le ore del mattino più fredde, inoltre il vento che mi scuote come un fuscello amplifica tutto il freddo che si può.
Trattando allegramente sulla schiena del gigante confermo l'idea che avevo di salire anche verso il Prado. Si conferma ora che le temperature sono molto migliorate e che noto che come orari non ho problemi e nemmeno come gamba. Inoltre spero pure di riuscire a farlo prendendo una qualche lingua di neve che mi eviti la salita per il sentiero normale.
Scorrendo sotto le pareti nordovest e cipolla inizio a temere che l'impresa sarà ardua. Sì, ma una volta raggiunto il Lago Bargetana noto una striscia che dovrebbe poter essere salibile fino in cima. E noto pure una persona laggiù che probabilmente ha avuto la mia stessa idea quindi vado. Peccato che lei (lui) in realtà se ne starà il più lontano possibile dalla neve cercando l'erba.
Accidenti, ci sono un altro paio di canalini piuttosto invitanti, ma non sapendo come continuano sopra evito l'avventura e me ne sto tranquillamente sul mio canale a 35-40 gradi nel quale le piccozze non sono per nulla necessarie e posso andare solo con bastoncini e ramponi. Meglio che niente almeno i polpacci friggono.
Che bella questa sensazione di salire su dritto per dritto coi Ramponi che mordono la neve a volte solo con le punte frontali a volte con tutte le punte per la gioia della caviglia punto questo freddo sano, non come quello nebbioso della pianura. Mi ci voleva proprio!
Arrivo praticamente in cima, dove trovo un altro disagiato come me che non è altro che la persona che mi precedeva sulla salita. Mi concedo un po' più di calma e di foto, "oggi si vede anche il Tibet" come direbbe il vecchio saggio: in realtà si vede mare e Monte Rosa ma per me è già abbastanza. Il vento però soffia ancora forte e non mi permette di stendere la tovaglia e concedermi il mio pranzo di Natale in quota.
Via giù allora, a scappare da questo vento che mi sta creando un fastidio agli occhi tipo congiuntivite. Devio continuamente a destra a buttare un occhio ai canali e alle lingue di neve per capire se quelli che vedevo da sotto riescono a uscire fino in cima o se ci sia solo terra ed erba.
Senza il vento impetuoso è tutta un'altra cosa, però ancora un po' di vento lo si patisce e quindi di nuovo non posso stendere la mia tovaglia e pranzare. Continua la discesa, e una volta giunto al Passo di Lama Lite riprendo verso il Passone: chissà forse là potrò concedermi cibo e birra.
E invece no manco lì, non riesco a trovare un angolino riparato dal vento dove non debba sedermi sul fango. Porta pazienza, scendi giù verso il bosco. Ma all'imbocco dello stesso ormai il sole se n'è già andato e quindi nemmeno qui mi posso godere il pranzo.
Come temevo, il mio pranzo finisce consumato sul cruscotto dell'auto dopo essermi dato una lavata alla fresca fontana al parcheggio. E come temevo finito il pranzo il sole si è nascosto dietro La Piella lasciando la mia auto all'ombra. Non c'è verso di cacciarci una dormita dentro l'auto con effetto serra. Mi tocca scendere verso la pianura.

Qui altre foto.

lunedì 24 dicembre 2018

Le giornate decisamente no: trekking alpinistico a Brentino

Ci sono quelle giornate che sono completamente inverse. Diciamo pure che ci fosse già un buon mix di ingredienti: un'arrampicata arrampicata probabilmente oltre le mie possibilità, un ginocchio che mi fa male se cerco di caricarlo da piegato, freddo e giornate corte.

La giornata parte malissimo con una nebbia, che già mi ha sconvolto ieri, che non si dirada nemmeno arrivati a verona. Persiste. Ormai mancano 2 chilometri ad Affi e ancora siamo in mezzo alla nebbia: se è così finiamo in palestra. Al casello varchiamo la linea di confine tra le terre buie e le terre illuminate: almeno questa cosa sembra essersi aggiustata.
Brentino me lo ricordo bene, è un po' uno spauracchio: vie dure poco frequentate, sentieri di avvicinamento giunglosi e discese molto esposte. In un periodo in cui ho più paura del solito questo è già abbastanza per farmi tenere le orecchie dritte. Ci avviamo dal parcheggio con un freddo bestia ma vedendo che il boomerang lassù è al già al sole.
Io credo che chi abbia aperto queste vie e cercando questi sentieri d'accesso sia davvero uno bravo. L'avvicinamento parte su comoda carrareccia ma infestata dalle piante, per poi infilarsi su per pendii scivolosi saltando sassi, ghiaie, alberi caduti che non sempre è chiaro che siano caduti e che afferrati per trazionarli..poi ti restano in mano. Di certo ci scaldiamo.

Giunti all'attacco dopo pochi minuti di immobilità per prepararsi, il freddo si fa già sentire. Siamo al sole ma un po' coperto dagli arbusti intorno e tira vento. Accidenti. Sono pure già le 10:00, bisogna darsi una mossa per percorrere questa via o altrimenti facciamo notte. Giorgio ha già profetizzato che "Mal che vada ci facciamo un trekking a Brentino".

Come da tradizione parte il mio amico, E considerando che il primo tiro è anche il più duro, questa tradizione mi viene incontro. Tre spit a distanza molto ravvicinata fanno presagire che non siano per nulla banali quei metri, e infatti anche Giorgio ci impiega parecchio tempo a tentare riprovare partire scivolare mollare. Finché una volta ghisato non si decide ad azzerare: ma anche così la faccenda risulta parecchio complicata. Prosegue poi verso l'alto, ma non lo vedo correre fluido da far pensare che le difficoltà siano drasticamente calate, anzi. E mi sembra che vada pure oltre la sosta: accidenti a lui, io che già Inizio ad avere il sospetto che tocchi calarsi.

E ora tocca a me. Tutti quelli che fanno endurance dicono che sia la testa a comandare il corpo. Probabilmente è vero anche in arrampicata, e oggi la testa comanda in senso negativo. Azzero tutto l azzerabile perché se ha fatto fatica lui, io di certo non posso passare. E anche azzerando è molto difficile, anche perché dopo il terzo spit ne hanno tolto uno, quello che era fondamentale per azzerare facilmente.
Grido al mio amico che non ce la faccio, poi riprovo e riprovo finché non riesco a passare. Ma ormai la testa è andata, non posso farci nulla e sarebbe deleterio sforzarmi di negare l'evidenza. Di nuovo azzero l'azzerabile anche se alcuni passaggi mi tocca farli puliti. Il vento soffia, il freddo avanza, arrivo in sosta e verifico che ci abbiamo messo 2 ore per fare 40 m.

Espongo subito al mio amico la possibilità di calarci. Solo che non possiamo farlo da qui, siccome non ha visto la catena della prima sosta è avanzato fino a un clessidrona mettendoci un suo cordino, metà del secondo tiro ufficiale. Riparte quindi Giorgio per raggiungere la vera seconda sosta dalla quale dovrebbe essere possibile calarsi con una sosta intermedia che non abbiamo la più pallida di dove sia siccome il secondo tiro va completamente in traverso.
L'arrampicata mi scorre già meglio nelle vene, Sarà perché le difficoltà sono calate sarà perché so che tutto sta per finire senza continuare verso l'alto. L'orario proibitivo, la parete che non è già più al sole,le difficoltà che adesso riprendono ad aumentare. Anche se fossi in forma, probabilmente questa via oggi non s'ha da fare.

Con enorme dispiacere dico a Giorgio che penso sia meglio scendere. Il mio amico molto comprensivo, oppure convinto anche lui che sia impossibile finire la via senza la affrontare senza gelarci completamente, acconsente e predispone tutto per la discesa. La prima calata finisce in mezzo a delle sterpaglie ma dove troviamo una sosta di una via che corre a fianco di 31 agosto. Da lì un'altra doppia speriamo che ci depositi a terra.

E invece non sarà così, e l'altra profezia di Giorgio si avvera "Ma perché anche una via sportiva dobbiamo sempre farla finire in modo alpinistico?". Con una sola mezza corda si rimane a 8 m circa da terra, e ci tocca far sosta su un alberello in mezzo alla parete. Cordino abbandonato e via.

Di nuovo alla base, di nuovo sommerso di dispiacere per la mia titubanza, i miei timori, che anche se credo fondati mi dispiacciono comunque. Ma vedo che Giorgio ride e scherza: non se l'è presa, forse non ho compromesso la nostra cordata oggi! Come invece temevo in sosta..

La discesa si rivela più agile del previsto, forse perché il terreno non è particolarmente bagnato: in questo caso sarebbe da stare veramente attenti. Manco la birra finale riusciamo a berci bene visto che il bar della Gigia è chiuso e ci tocca ripiegare con una birra in bottiglia e un panzerotto al bar di Affi. Mamma mia che giornataccia!

Qui altre foto.

domenica 23 dicembre 2018

Uno zaino pieno di speranza: Gemello (?) all'Alpe di Succiso

L'idea è una sola è abbastanza chiara: spicozzare in Appennino. Più che un'idea è una speranza, una speranza molto remota, ma che arde dentro. E non soltanto a me, ho sentito che anche Luca e Federico vogliono tentare di fare qualcosa nella zona dell'Alpe di succiso. Partiti con l'idea di trovarsi la, non ci troveremo mai.
La buona vecchia e cara levataccia, ore di macchina al buio per raggiungere un luogo remoto in Appennino nella speranza che ne valga la pena. Mi incammino col sole ancora lontano dal sorgere, ma quello che vedo rende già la disperazione di quest'anno. Non c'è una mazza di neve
Ormai sono qua, andiamo a vedere, magari ci fosse anche soltanto qualche lingua di neve che arriva fino in cima o qualche pendio inclinato a 45 gradi per far friggere i polpacci, chi lo sa. Il problema è che non c'è nemmeno freddo, salgo e sudo in maniche corte.
Arrivo al rifugio Rio pascolo senza aver praticamente pestato neve. Ormai è giorno, ormai le speranze se ne stanno andando. Dalla prima occhiata dal piazzale del rifugio la situazione è peggio di quello che temevo. Sento Luca al telefono e gli riferisco il tutto: loro parmensi che amano dormire non sono ancora arrivati al parcheggio.

Senza fretta e con tanta calma zen proseguo la salita verso la conca di Casarola e Alpe di Succiso, individuo una lingua di neve che potrebbe essere interessante, poche decine di metri estetici. Provo ad andarci a mettere il naso, spererei piantarci i ramponi ma la neve è sfondosa e non trasformata. Torno sui miei passi e continuo a risalire nel vallone.

Tento di cambiare completamente esposizione, esco dal sentiero e mi infilo dentro un fosso, ma quando sono quasi dentro scopro che quello che vedevo da molto più in basso era un'illusione: a parte il non essere pendente per nulla presenta pure un sacco di zone scoperte.
Riprendo la salita. La bastionata rocciosa sulla quale inizia Anni Settanta e l'altra più imponente a sinistra sono completamente vuote, e anche in alto il discorso non cambia. Tergiverso aspettando i parmensi, per vedere se provare a infilarci su qualcosa insieme. 
Non attendo di congelare in questa conca nord (ok che non c'è freddo, ma a star fermo viene..) e mi decido a salire ancora un po' per poi traversare a destra e tentare un paio di lingue che vedevo salire verso l'alto: anche se lassù già si capisce che ci sarà da scalfire erba e terra invece che neve e ghiaccio.
Luca Federico  passeranno dal Passo della Scalucchia, risaliranno qualcosa sulla nord-est del Casarola per poi infilarsi a destra della linea salita da me sulla nord dell'Alpe di Succiso. Quando io sarò alla macchina loro saranno in cima: anche stavolta non ci si riesce a trovare
Inizio attraversare per abbandonare il sentiero e recarmi nella zona dove dovrebbero correre quelli che vengono chiamati i gemelli. La neve pare essere trasformata qui ed essere abbastanza dura da poter far godere un po' i ramponi, che calzo prontamente. Tiro fuori anche le piccozze.
Inizio a salire e la neve è ancora buona, l'inclinazione necessita solo di un appoggio da parte della piccozza, ma è meglio che camminare sull'argine in pianura. Indeciso se andare a destra o a sinistra di quello sperone roccioso che sta davanti a me, opto per la sinistra che sembra più breve come continuità nevosa ma almeno più estetica
Detto fatto, l'appenninismo si fa subito sentire. Dopo una decina di metri in cui il pendio si è fatto più ripido, la neve e finisce e obbliga a utilizzare gli arnesi metallici in erba terra ghiaia arbustelli roccia. Come direbbe qualche amico Toscano in questi frangenti "per il buco del c*** Non passa neanche uno spillo".
Passata la pendenza impegnativa su terreno per nulla nevoso, la neve riprende a chiazze su pendente più modeste che quindi risultano percorribili senza troppi patemi. Sbuco sulla cresta tra Casarola e Alpe di Succiso. Un'occhiata giù ma non vedo nessuno, un'occhiata verso sud e vedo il mare di nuvole che copre la Toscana e cerca di sconfinare sul Passo del Cerreto: quegli spettacoli che ripagano la giornata
Me la prendo comoda mangiando qualcosa sotto un caldo sole: troppo caldo sole. Vado un po' verso il passo, poi torno sui miei passi e mi decido a salire sul lato verso la vetta dell'Alpe di Succiso che visto l'orario inizia a capire che non ci sarà modo di trovare Luca Federico  prima che scatti l'ora tale in cui devo tornare a casa.
All'Alpe di Succiso sono particolarmente legato per ragioni inconscio, da lei nasce il fiume che correva dietro casa mia. Una gironzolata sulla sua cima e a vedere la Madonna protetta nella gabbia di Faraday di ferro e dopo mi decido a riscendere.
Non senza però passare anche per il Monte Casarola, che tanto è a pochi minuti di deviazione. Qualche foto anche lì e poi via giù, a cercare un sentiero nascosto da qualche banco nevoso piuttosto ripido da fare in discesa. Il solito Appennino dispettoso.
Scendo continuando a guardare sconfortato i versanti montuosi mezzi nudi: la speranza che avevo è durata poche decine di metri, i cambiamenti climatici iniziano a essere veramente vistosi. Non che questo dovrebbe essere periodo per percorrere canali, ma non dovrebbe esserlo non perché non sono in condizioni, ma perché ci sono dei metri di neve.

Breve sosta rifugio Rio pascolo e poi noiosa discesa fino alla macchina. Il meteo è il clima sono decisamente confortevoli seppur sbagliati. Sarà davvero uno shock scendere verso valle e trovare in pianura una nebbia fitta, umida, fredda: su a Cucciso c'erano 15 gradi, giù in pianura ce ne sono due con quel umidità che ti si attanaglia alle ossa.

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