domenica 26 maggio 2013

Esplorando il Brenta: Passo del Clamer

Esistono giornate in cui sembra di uscire fuori dal mondo. Di entrare in uno magico, solitario, dove pochi colori ti fanno compagnia, dove il silenzio regna, disturbato solo dal rumore del vento, o dalle scariche di sassi, o dalle valanghe che cadono dai versanti carichi, o dalle grasse risate che escono dalle nostre bocche. Giornate in cui parti senza sapere bene a cosa andrai incontro, me che quando stanno per finire ti lasciano un senso di nostalgia immediata. Questa è una di quelle giornate.
La meteo fino a venerdì sera (ultimo momento in cui la guardai vista l'imminente partenza per le Marche) dava tempo instabile un po’ ovunque, forse il migliore era l’Appennino. Marcia dei Tori la scarto perché immaginavo fosse in mezzo a fango e neve e su un percorso più corto. Mentre siamo di ritorno in auto inizio a sentire Riccardo se ha idee, io ne ho, ma voglio prima vedere cosa dicono le previsioni e se sui forum han fatto qualcosa. A casa tutto di corsa per arrivare col minor ritardo possibile alla cena con gli amici, e scopro che il meteo non è così malvagio! Porca vacca! Andiamo in trentino, decideremo in macchina il luogo preciso.
Luna alta, cielo sereno, mio Dio perché?!?!?! Non doveva esserci così bello oggi! A saperlo partivamo ieri sera alle 21 per farci una notturna della madonna! Destino crudele! Amen, cerchiamo di rimediare con un’esplorata della zona del Brenta. Partendo sopra Molveno. Ho qualche itinerario scaricato da web della zona, vediamo che si può fare: probabilmente poco visto quanta neve deve esser venuta giù ieri. E invece non è quasi nevicato per nulla!
Saliamo fino alla baita Ciclamino in macchina, e partiamo sulla forestale all’esplorazione. Bagnato sì, ma neve no. Sole. Porca miseria.. Si poteva fare qualcosa di aggressivo oggi. Penetriamo così lentamente nelle Dolomiti di brenta, osservando i ciccioni dolomitici stagliarsi verso il cielo mentre ci avviciniamo alla loro base: e ciò li rende ancora più mastodontici. La noiosa forestale ci conduce in 50 minuti al Rifugio Croz dell'Altissimo, sopra il quale si slanciano le sue pareti: urca!
Già dal parcheggio scorgevo un’interessante canalino che sale (credo) verso la Bocca del Tuckett che voglia di spiccozzare.. Ma optiamo per dirigerci verso il Passo del Clamer. In fondo quel canalino giace sopra un rigolo d’acqua, e chissà quanto è spesso lo strato di neve. Risaliamo con fretta di sete di scoperta una zona che pare da cantiere di lavori in corso per rifacimento sentiero, fino al nostro bivio col 344, dopo il quale iniziamo a pestare neve.
La cosa inizia a farsi interessante. Superiamo con timore un ponte di neve sotto il quale sentiamo e vediamo scorrere acqua. Un passo, due, tre, quattro, è fatta. Ricky tocca a te! Andata anche per lui. Sopra di noi un camoscio svetta e salta su un pendio bello ripido, che poi scopriremo dover percorrere anche noi. Intorno vedo canali su canali, cime, roccia, argh, che voglia.
Il sentiero, ancora a sprazzi visibile o intuibile, si inerpica zizgando sul verticale. Robetta d’estate, ma con 20cm di neve che non permette di capire su cosa stai appoggiando il piede (roccia liscia? Sempre che su qualcosa tu stia appoggiando poi..) diventa interessante. E sbuchiamo così sul pendio sommitale, una bella distesa candida di neve, dove pare che nessun uomo abbia mai posato piede o lamina o ciaspola. Fantastico. Con i colossi dolomitici sempre a farci compagnia. Cielo limpido ma sole che non ci raggiunge per colpa del Croz dell’Altissimo, troppo altissimo.
Ora si naviga a seguendo la nostra meta, il passo del Clamer, il sentiero è sotto chissà quanta neve. Cerchiamo di andare al sole, dove consumiamo un picnic dolomitico e dove calziamo le ciaspole perché inizia a essere un po’ troppo arduo proseguire senza. Il sole adesso ci colpisce in pieno, e sulle pendenze finali la combinazione tra irraggiamento e fatica farà l’effetto grondaia sul mio naso.
Un masso equilibrista, una meringa, delle cornici, che selvaggio, che affascinante. Proseguiamo a spron battuto, quando i miei occhi scorgono una possibilità di salita leggermente differente da quella che immagino sia quella del sentiero. Ma su, proviamo. 
Canalino con a fianco un po di roccia, che risaliamo rigorosamente ciaspole ai piedi. Calcia con forza per infilarla bene sotto, in modo che crei un bel gradino, estrai il piede sotto, solleva il più possibile e ripeti. 30°, 45°, i bastoncini aiutano, ma iniziano a scendere parecchio nella neve. Una mano sulla roccia, 50°, l’uscita si avvicina, ma che cornice! Poco strapiombante, ma alta un metro. 60°, e sono ormai in piedi a cercare di salire sopra la cornice stessa, mentre inondo Riccardo di polvere bianca. Alla fine non riuscendo a scavalcare opto per la soluzione brutale: spacca tutto e fatti una trincea per salire.
Eccoci fuori, ancora in ambiente desolato, appagati da ciò che ci circonda. Osserviamo tutto intorno a noi la magnificenza della montagna.
La Cima Lasteri poteva essere una meta di oggi, ma vediamo che la montagna è un po’ severa in queste condizioni: verglass, roccia ricoperta di un lieve strato di neve, meglio desistere. Scendiamo. Togliamo le ciaspole perché se no temiamo di metterci a sciare senza controllo alcuno su questo ripido pendio iniziale: in compenso affondiamo i primi passi fino all’ombelico. Tutto ciò farebbe ridere assai, non fosse che se non riesci a uscirne.. ma dopo un po’ di tentativi di divincolarci, riusciamo a emergere e scendere a folle velocità.
Osserviamo l’immacolato pendio nevoso essere puntinato dai tarlocchi di neve che stacchiamo e che scendono più veloce di noi. Ma cerchiamo di tenergli testa, anche se foto sono d’obbligo in questo spettacolo. Torniamo sui nostri passi, sulla parte da camoscio che temevamo dover scendere (qui se scivoli voli giù per parecchia metri) ma ce la caviamo. Anche il ponte di neve sul ruscello regge ancora.
Ora patiamo un caldo.. E osserviamo la bastionata roccioso di fronte a noi essere percossa da valanghe in successione. Impressionante, non sembrano nemmeno grandi ma il rumore è terrificante lo stesso. Appena rimettiamo piede sul 322 decidiamo di spogliarci. Detto fatto e il sole si oscura e inizia una brezza fastidiosa. Strano.
Il Rifugio Croz dell’Altissimo si è animato di vita, altra gente presente, ma la nostra fetta di solitudine ce la siamo già presa. Scendiamo annoiandoci alla macchina, fantasticando sulle prossime gite e cime, concludendo con un bagno dei piedi nell’acqua gelida, e la consueta birra finale. Per fortuna si è annuvolato il cielo, il rimpianto per una notturna mancata non poteva sopportar anche quello per una giornata mozzata a mezzogiorno.

Qui altre foto.
Qui report su on ice.

sabato 25 maggio 2013

Marche bagnate, Marche bagnate: Balze della Penna

In questo maggio meteorologicamente pazzerello occorre davvero tirare fuori conigli dal cappello per concedersi uscite di svago. Meno male c’è chi è davvero mago in questo, Nicola. Partiamo quindi alla volta dell’entroterra marchigiano, mai così a sud per cercare un posto che dovrebbe essere asciutto, almeno fino alle 14, quando dopo danno pioggia debole. Via del Grande Traverso alle Balze della Penna. 
Ma al nostro arrivo un vento gelido soffia, vento che costringe il buon Paolo all’inseguimento della relazione che scappa sulla statale, mentre Nicola e Gianluca sono già sul sentiero verso l’attacco. Partiamo anche noi, ma abbondiamo il sentiero CAI troppo presto, e siamo costretti a salire in mezzo alla vegetazione, e oggi machete non ne abbiamo. Partiamo bene! Ma queste Balze della Penna sono davvero estetiche, belle forme, tanta voglia.
Ma alla partenza della via Paolo è già dubbioso. Le nuvole sulle colline a fianco già avanzano, il sole sta nascosto, il freddo ci morde. La va presenta dal terzo tiro al sesto tiro un traverso che non lascerebbe possibilità di fuga in corda doppia, e beccarsi un temporale o della roccia bagnata su un traverso di IV+ non è nella mia to do list. Insomma, sappiamo già come andrà a finire.
Gianluca parte con Nicola che gli fa sicura, ma quando sarebbe ora di traversare a sinistra, preferisce andare su dritto, finendo chissà dove. Si avventura sulla parete, finché non parte anche Roberto, che correttamente traversa e in seguito si mette alla ricerca della sosta con Gianluca in alto e lui in basso. Morale della favola: Gianluca disarrampica, scende un po’ e arriva in sosta con Roberto. E noi a tremare di freddo..
Finalmente Nicola e Paolo possono partire (Paolo dopo una pisciatina in sicura) e io a ruota, così mi scaldo un po’. Delicato supero le difficoltà del primo tiro, e arrivo quasi in sosta, non fosse che quella suocera di Nicola non vuole che arrivi li finché lui e Paolo non sono ripartiti. E aspetta i loro comodi, con Mirko giù che mi urla che ha freddo e vuole partire.. Finalmente i due bisbetici partono per il secondo tiro e io posso dare il nulla osta a Mirko.
Paolo e Nicola si eccitano su qualche passaggio del secondo tiro (ovviamente le cordate sono state scelte per separare i più forti, e il primo a partire di ogni cordata in modo che i tiri duri se li beccassero i più forti), mentre sempre più forte cresce la convinzione della calata strategica per preservare l’asciutto dei nostri abiti. Poi partono anche Roberto e Gianluca, che passeranno il tempo a districare i nodi creati dai loro primi con le corde, mentre a Mirko toccherà aspettare per poter proseguire.
Non faccio in tempo a partire per il secondo tiro, che Nicola e Gianluca mi passano a fianco calati in doppia. Giusto così, non ci va di metterci in trappola. E dopo poco anche io mi ritrovo alla base della parete dopo una calata da 55m e Nicola che implora “togli il freno togli il freno che mi bruci la corda nuova”. Che famo? Dai, qualche monotiro aspettando che inizi a piovere ci sta. 
Nicola e Gianluca partono all’improbabile esplorazione della ricerca di monotiri, dimenticando (volendo dimenticare) che ci siamo passati davanti prima. Parto io su “1 Rosso”, Paolo a fianco su qualcosa altro, che arrampica con le scarpe da avvicinamento (lui che è bravo), e poi arrivano anche Nicola e Gianluca dopo la fallita esplorazione.
E qui scatta la Nicolata. Se quella di prima era la Paolata (ritirata in seguito a gufata, ma ben condivisa da tutti), adesso facciamo di tutto per prendere il temporale, e ci riusciremo! Nicola parte su un monotiro, arriva in sosta e dice a Gianluca di salire anche lui, non di calarlo, e “prendi lo zaino”. Come su “1 Rosso” da cui sono appena sceso, si vede che proseguono verso l’alto questi tiri. E noi? Dico a Mirko che sta salendo a sua volta “1 Rosso” di proseguire che vediamo com’è. E Paolo dice a Roberto che adesso si lanceranno all’inseguimento molesto della cordata Nicola-Gianluca. Il dado è tratto.
Tutti saliamo in modo disordinato, senza sapere su cosa e verso dove, in ogni caso su terreno facile. Mi alterno a Mirko e salgo verso Nicola che è già alto (quarta sosta per lui? Mirko ha concatenato due tiri di “1 Rosso”) e che ha traversato vistosamente per giungere sopra di me. Paolo insegue Gianluca. Arrivo da Nicola in sosta e cosa vedo? Veh che bella grotta li sopra, solo 7m, io vado li a far sosta, c’è una catena e un albero!
Salgo li, mi siedo comodamente sull’ albero, sono al riparo dal vento, sto al caldo, e in seguito starò al riparo temporaneo dalla pioggia. Arriva anche Gianluca che però sui appende alla catena. Poi dal malumore e l’invidia di chi sta sotto di noi (ormai un po’ tutti) capisco che sta piovendo. Ritirata! D’altronde la via è finita, a meno che si voglia tentare di uscire da questa grotta in vistoso strapiombo sul liscio.
Ci facciamo calare in sosta dove c’è Nicola, che lancia le corde nella speranza che arrivino fino giù: 55m di calata, per un pelo. Pioggierella per il momento, ma cielo minaccioso e vento freddo. E l’impermeabile ce l’hanno solo Nicola, Paolo e Roberto, gli altri han lasciato giù tutto. Giù Nicola, giù Gianluca (la cui giacca giù alla base sta proteggendo la mia roba e quella di Mirko), giù Paolo, tocca a me, e giù acqua, ora piove serio.
Via svelti, raccogli gli zaini, sistema un po’, metti l’impermeabile, e ci si incammina verso la macchina. Un lampo, 5 secondi, tuono. Mmm, vicino. Camminiamo. Altro lampo, 2 secondi, tuono, meglio spicciarsi, aumenta il passo cercando di non scivolare. Altro lampo, 1 secondo, tuono, corri! E men che non si dica siamo alla macchina.
Butta tutto dentro, sali in macchina chi ancora con l’imbraco, vai a far metano  e dopo comodamente sotto la tettoia del distributore di benzina successivo a cambiarci e sistemarci. Sulla SS sembra di essere a guadare un torrente, ma non possiamo andare a casa senza birra, e partiamo alla volta di Fano alla ricerca di una pizzeria/piadineria bar.
Trovata! Ma non ha il bagno.. Finiamo, caffè, ma non qui, andiamo in un bar così andiamo in bagno. Ma nemmeno al bar hanno il bagno! Oh, a me scappa.. Facciamo un giretto in spiaggia.. Il tempo di arrivare sulla riva, tirare due sassi in acqua, e in fila aumentiamo il livello idrico e salino dell’acqua del Mar Adriatico.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui relazione della via iniziale (molte altre sullo stesso sito).

sabato 18 maggio 2013

Speed Baldo before Marriage

“Sei proprio nato con la camicia” recitava una mail di Gianluca rivolto a Nicola: meteo instabile questo weekend, perciò ci tocca venire al tuo matrimonio invece che andare sul Cervino! Ma almeno un giretto mattutino voglio farlo, un po’ di svago e devo sfondare le scarpe da trekking, ora che si apre la stagione. Perciò, via in palestra, la mia seconda palestra naturale, dopo l’Appennino Reggiano, è il Baldo.
Giro ripetuto mille volte (qui, qui, qui, qui e poi mi fermo), perciò stavolta avrei l’idea di aggiungerci la visione dell’alba, ma aletto si sta bene, e mi ritrovo a mettermi in cammino quando l’alba è già iniziata. Temperatura frizzante a Prada Alta, il termometro della seggiovia in disuso segna +4. Tempo 5 minuti e metto i guanti che le mie povere dita non ne possono più!
La visione del Carè Alto mi suscita sempre un voglioso amaro in bocca, ma un girono (si spera presto) pareggeremo i conti con quella piramide adamellica. Cerco di salire a spron battuto, voglio far presto per due motivi: 1. Esser a casa in tempo per concedermi qualche ora di sonno e non essere uno straccio stasera. 2. Esser in tempo per una colazione a un orario da colazione. 3. Essere alla macchina prima della perturbazione. 4. Darmi una bella stancata in velocità. Avevo detto tre? Beh erano quattro.

Perciò vado vado, ma la fatica che faccio mi lascia pensare che sto andando ben più piano di quello che credevo di poter fare. Per la visione dell’alba dalla cima avevo preventivato di incamminarmi due ore prima della stessa, ovvero 5e40. Mi sa che a salire ci metto più di due ore. Va beh, pace e amen.
Marmotte da ogni cantone, mi sa che anche loro guardano il calendario per capire se dal letargo si sono svegliate troppo presto o troppo tardi. Camosci lassù stagliati verso il cielo. Ora che c’è poca gente in giro (nessuno a parte me) la natura da il meglio di se.
Arrivo all’altezza del Rifugio Fiori del Baldo che sono ancora all’ombra, il sole sta dietro, e qui ho la conferma che la patinina bianca su ogni cosa è ghiaccio. Mi sa che siamo sotto zero, e si sente. A maggio. Continuo a salire e trovo una bella galaverna sull’erba del Baldo.
Invece che passare per i due rifugi, ho cercato di evitare di salire subito in cresta per soffrire meno il vento che soffia, che combinato al freddo ha un effetto wind chill che se posso evitare non mi dispiace. Ma ora che ci sono, la galaverna da il meglio di se, con il lato est del Baldo al sole e quindi bagnato e senza ghiaccio, di un bel verde erba rigogliosa primaverile, mentre il lato ovest è bello bianco di ghiaccio su erba rinsecchita autunnale.
Ed eccomi in cima, ad ammirare le cime adamelliche e brentiane, lontane e agoniate, uffa. Doveva essere un giro del menga, e invece marmotte e galaverna gli han dato un fascino inaspettato: la montagna riserba sempre sorprese, a volte belle. Guardo l’ora, oh la peppa! Ci ho messo 1h20 a salire! E io che temevo di esser lento e stando.. adesso capsico perché mi sentivo stanco.
Qualche foto al panorama e poi giù. Il sole è alto, poche nubi in giro a dispetto delle previsioni. Altre marmotte in giro, belle infreddolite anche loro mi sa!
Alle 8 sono alla macchina, alle 8e40 davanti a me si materializza un latte macchiato e una pasta al cioccolato: oh yeah! Poi di corsa a casa per andare a letto e svegliarmi per i preparativi delle nozze.

Qui altre foto.

domenica 12 maggio 2013

Anche io vado al lago, ma in bici

Devo lasciare riposare le ginocchia, ma devo allenare le gambe, e soprattutto godermi una giornata all’aria aperta: quindi, bici! Anche se la mia vecchia Schokblaze mi fa paura, mi da l’impressione che possa spezzarsi da un momento all’altro, speriamo regga.
Sveglia alle 4, volevo partire per l’alba, ma a letto si sta bene, e prima dell 5e30 non metto giù i piedi. Temperatura ottima alla partenza, temevo patire freddo, e invece si va bene. Itinerario silenzioso, a quest’ora poi, e raggiungo in un paio d’ore lo sbocco del Secchia nel Po. In seguito obbligato a prendere l’asfalto verso Mantova. L’altra volta avevo cercato di prendere il Mincio, ma ricordo fango, e con tutte le piogge che ha fatto, oggi non potrà che essere peggio.
I laghi di Mantova brulicano di gente, fin troppa, e non vedo l’ora di abbandonarla, dopo una bella fontana però! Acqua ce ne è, i laghi, i canali, il Mincio, belli pienotti e con giochi d’acqua notevoli. La ciclabile si infittisce man mano di gente, il traffico diventa quasi insopportabile verso Valeggio sul Mincio. 
Poi finalmente arrivo al Lago di Garda, corro in stazione, ma poi scopro di avere un’ora prima del treno. Vai di birra e panino (un cigno me ne chiede un pezzo, ma col cazzo che glielo do!).
Doppia birra, perché la prima non mi appaga. 
Poi sul treno, senza macchinista, sotto gli occhi increduli miei e di quattro austriaci che non hanno nemmeno pagato il biglietto per la bici, ah! Dormitina tra Verona e Mirandola, e poi di nuovo in sella per gli ultimi 18km che mi separano da casa.
Le gambe sono ok, il fiato anche, è il culo che con la sella va poco d’accordo!

Qui altre foto, ma oggi fatte poche che c'era da pedalare!

sabato 11 maggio 2013

Vai con la frutta: Buccia d’Arancia, Machaby

“Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo” cantava Gino Paoli: io, Riccardo Marco potevamo cantare “eravamo due amici da scazza (più uno a casa in attesa di news) che volevano salire Giordani e Vincent” ma letto sul sito delle funivie che queste avevano chiuso lo scorso weekend e che il gatto delle nevi portava solo a quota 2300, demoralizzati un sacco. E così che si fa che non si fa, non si fa nulla, ma Nicola risveglia assopiti istinti proponendo un’arrampicata ad Arnad: Corna di Machaby, via Buccia d'Arancia..
E così partiamo, ci aspettano lunghe ore di macchina, ma piuttosto che stare a casa.. preoccupati del meteo in quanto alcuni siti danno umido, altri sole. Arriveremo con un bel sole anche se la parete inizialmente sarà bagnata, e questo aumenterà il pepe della questione. Già, perché l’uscita dell’autostrada la sbagliamo e tiriamo dritto, passando quindi davanti alla parete “ma no, non può esser quella, è tutta bagnata”, ma dopo la colazione “sì è questa”. E dopo attimi di indecisione “andiamo in un altro posto” “aspettiamo un’oretta che si asciughi”, ci vestiamo, imbraghiamo, zainettiamo, e si va. D’altronde ci sono altre cordate che sono andate, sapranno il fatto loro..
Nicola e Davide sono più svelti a preparasi e vanno avanti, io e Riccardo rimaniamo indietro, e nell’euforia del “più salgo prima arrivo” ci incuneiamo in un canale che da risalire non sarebbe mica banale: “oh, ma se Nicola e Davide son saliti di qui son bravi!” e infatti abbiamo sbagliato noi sentiero, scendi giù un po’ e prendi la strada giusta. Eccoci all’attacco, dopo un avvicinamento su placche lisce e bagnate (Riccardo patatom, per terra). Su questa via solo noi, meno male. Per ora.
La frenesia sale, scarpette, nodo delle guide con frizione e via andare! Parto io, dopo aver visto Nicola sudarsela sono un po’ preoccupato. Ma il granito mi piace, mica quel calcare maledetto! E la suocera mi corregge, non è granito questo, è gneiss. Ci metto un po’ a leggere il traversino (umido) sotto il tettino, ma poi capisco e vado liscio come l’olio! Mi diverto già, è una bella arrampicata, atletica. Arrivo in sosta, pesto appena appena la corda del Nicola, e la suocera che è in lui torna fuori alla carica.
Riccardo è alla sua prima volta su granito, no, gneiss, e non vede l’ora. E visto quanto è bravo, sale svelto e compiaciuto. Per poi passare davanti a tirare la fessura del secondo tiro, mica banale, e da secondo e la godo senza cagarella in mano.
Più facile come grado, ma carico di esposizione, il traverso del terzo tiro su cengetta con sotto il verticale, è psicologicamente “corposo”. Quando poi mi ci metto a complicarmi la vita e salire per una linea più dura, do’ il meglio della mia scarsa lettura della roccia! Intanto una cordata ci insegue frenetica, altre sparse sulla parete, la Corna di Machaby brulica di formichine legate a una corda.
La temperatura, che stamattina era frizzante (io con maglietta maniche lunghe e una corta sopra, gli altri con la giacca, mah) adesso è allegra nel verso opposto, si sta piacevolmente in maniche corte, e con un vento vistoso che ci spazza e rinfresca. Cielo terso, la mente vola per un attimo ai 4mila, ma per due che non sanno sciare era improponibile questo weekend. Si rimanda l’incremento della lista.
Ricky parte a farsi lo spigolo successivo, siamo passati davanti a Nicola e Davide fin dal secondo tiro, ma cosa si inventerà Nicola per “ristabilire” l’ordine! E il tratto chiave sta per arrivare.. Un tiro a me, e poi quello dopo ben più cazzuto a Riccardo.
Ma partiamo col mio diedro, spalmato sulle facce opposte della parete, tutto bello atletico, a rinviare col cuore in gola. Che bello il granito, no, lo gneiss. E si vede che è gneiss, perché certi pezzi sono levigati bene! Un elicottero gira a recuperare un rocciatore.
Fiu, tirando la corda come se ci fosse attaccato un treno, arrivo alla mia sosta, è fatta. Ora son cazzi. Riccardo parte sul levigato sesto tiro, il chiave della via, e quando lo vedo che azzera sul rinvio mi dico “bene, ho già capito”. D’ altronde una caduta da qui vorrebbe dire caviglia a puttane, nessuno vuole correre questo rischio. E quindi tutti e quattro, chi più chi meno, si va di mungitura. E Si sbaglia la via.
Già, perché noi fare le cose facili, o lisce, no. La relazione che abbiamo in mano parla di girare a sinistra, e così Riccardo fa. Davide lo segue, anche se li vediamo entrambi titubanti lassù, a cercare e guardare in giro. Ma di spit han visto solo quelli. Quando salirò io invece, noterò sulla destra del terreno all’apparenza più facile, con degli spit in lontananza, ma ormai siamo qui e seguiamo la linea disegnata dai nostri compagni. E da sotto ci informano che “no, era a destra”.
Proseguiamo o torniamo giù? Ci si cala con mezzo barcaiolo sulla cengia sotto con le betulle, e si riparte. Confortati dal fatto che ormai il grado dovrebbe scemare verso il facile, ci godiamo il sole che ci brucia le parti di corpo esposte ai suoi raggi. Bramiamo la birra fresca già da un po’, e la consapevolezza di aver perso tempo sulla sosta errata accresce la voglia di tagliar corto e arrivare in cima, e quindi all'auto e quindi al bar, in men che non si dica. Intanto una guida porta su il suo cliente. La guida che mette giù un rinvio ogni 15m, ma sale come una libellula, chapeaux.
Concateno gli ultimi due tiri, dove sull'ultimo quasi si corre, e ci siamo, via finita. Meritata pausa panino e acqua, una sete della madonna, e che ore sono? Tardissimo! Ma ne è valsa la pena dai. Spiace solo l’azzeramento collettivo del sesto tiro, ma rischiare una caviglia per una placca unta, anche no. Alla ricerca del sentiero per scendere, leggiamo che ci sono due possibilità, sentiero agli attacchi o strada, ma al paesello troviamo solo le indicazioni per il sentierino tortuoso e quello prendiamo.
Dopo una passeggiata in mezzo a un prato di fiori alti mezzo metro, con un sostenuto ronzio di fondo delle api che ciucciano il nettare, ci aspetta una discesa fangosa e sdrucciolevole mica male! Ma non ci abbatterà nemmeno questa! Arriviamo alla macchina che sono quasi le 17.. Urca! Cambiamoci di corsa, birra e poi autostrada! Ma Davide, che resta un po’ indietro sul sentiero, si perde, e al suo non arrivo iniziamo a preoccuparci e chiamare, e chiede aiuto. Sarà mica finito nel canale che io e Riccardo stavamo per salire stamani?! Via su di corsa, ma falso allarme per fortuna.
Il resto è la solita storia della birra fresca tra amici, a raccontare la bella giornata passata, e a sognare la prossima dove sarà!

Qui altre foto.
Qui la relazione usata (che però al sesto tiro è diversa).
Qui una relazione più simile alla via che ci hanno indicato e che poi abbiamo seguito.
Qui le foto di Nicola.
Qui il report.