giovedì 31 dicembre 2015

Chiusura dell'anno: Sorgazza DX integrale

Allo stesso modo di come era iniziato, chiudiamo l'anno 2015 nello stesso modo in cui lo si era iniziato, ovvero a sgranocchiare un po' di ghiaccio nel quel di Malga Sorgazza, dall' amico Maurizio. 

Dubbiosi fino all'ultimo per le condizioni e per cercare di non essere degli stracci la sera a cena con le rispettive morose, la partenza è comunque tale per arrivare al parcheggio ancora a buio, nella speranza di essere i primi. Saremo i primi, ma per un pelo, mentre ci prepariamo altre auto arrivano (il genio che si porta la bici per fare l'avvicinamento, invidia). 

Zero neve, avvicinamento veloce, ma quando arriviamo di fronte al flusso..mamma se è magro e bagnato: ma ormai siam qui, proviamo, sembra al limite ma comunque scalabile. Parto io, zaini alla base, che tanto con un tiro unico dovrei arrivare all'albero di sosta e poi..vedremo, che un'idea ce l'ho già. 

Il ghiaccio morbido permette un infissione con poca fatica, ma dietro ogni piccozzata si nasconde la paura che la becca rimbalzi sulla roccia. Alla ricerca del percorso più grasso, scorro a fianco del masso con lo spit, incredibilmente secco e non salibile in diedro, tocca passarci sopra. Ultimi metri di placca bagnata e poco consistente e poi qualche bella piccozzata nella terra per arrivare all'albero. Alè! 

Recupero i miei amici, mentre scruto il possibile proseguo della via. Una volta giunti gli chiedo cosa vogliano fare: oggi che non c'è neve, si potrebbe proseguire la salita e scoprire i salti superiori, oppure scendere e rifare questo tiro alternandoci o andare alla sinistra. Solo che entrambi hanno salito un tiro che per magrezza li ha poco entusiasmati, e la sinistra sarà occupata dai 4 che ci sono passati vicini prima. 

Parte allora Roberto per il secondo tiro, un muretto iniziale bello grasso. Poi scompare alla nostra vista, e man mano che la corda finisce, ci avviciniamo camminando verso il muretto. Possiamo partire, e dopo questo divertente muretto, il terreno spiana a districarsi in mezzo ad alberi caduti. 

Tocca adesso Simone, che parte con un nuovo muretto ma non molto grasso, anche se forse sarebbe stato più interessante (ma delicato!) salire alla destra in diedro roccia-ghiaccio. Anche lui scompare alla nostra vista, ma lo sentiamo entusiasta di una salita in una piccola strettoia, oltre che sentirlo cercare il legno. 

Ci ricongiungiamo, nuovo scambio materiale (oggi ognuno ha provato i guanti dell'altro) e chi va per quello che sembra essere l'ultimo tiro? "ragazzi, non chiedetelo a me, fosse per ma salirei da primo sempre", lascio quindi il posto a Roberto, che con pendenze blande e bastarde arriva a far sosta. 

Ora inizia la nuova fase di avventura. In base allo schizzo/disegno di Maurizio, si sale fino qui (non abbiamo trovato soste a parte la prima, ma ci sta visto che penso siamo in pochi a salire anche i tiri successivi al primo) e poi o si scende in doppia o si traversa verso sinistra a cercare la doppia della Sorgazza sinistra. Scendere in doppia è impossibile da qui, troppi incastri e materiale da abbandonare. 

Si traversa in prati secchi, si scende osservando montagne marroni all'orizzonte, e infine ecco l'ancoraggio per la doppia. Sotto di noi qualcuno arrampica, o meglio, tritura il ghiaccio salendo e scendendo a criceto, ma ci stà! Cercando (ma forse non riuscendo) di disturbarci il meno possibile, una bella calata da 50m e siamo alla base. 

Un panino e birra e dolce ristoratore alla Malga, un saluto ad altri pikkiatelli del gruppo "Cuori di Ghiaccio", e concludiamo l'anno nel modo che ci piace: con le picche in mano!

Qui altre foto.
Qui e qui report.

domenica 27 dicembre 2015

La salita dell'anno: spettacolare Hochferner Nordwand

Da dove iniziare? Da una salita scovata per caso (e la cui paternità di scoperta è ancora contesa) quasi un anno fa? Da una ricognizione 3 settimane fa? Dalle 16 ore passate a girovagare tra seracchi, ghiacciai e sentieri impestati di acqua solida e scivolosa? Eh già, è proprio lunga capire da dove iniziare..
A mia memoria (non a quella di Gianluca), Hochferner Nordwand, una parete scovata con una banale ricerca per immagini su google, forse un  po'ignorata inizialmente per premiare quella (sua carta) più facile dell' Hochfeiler (Gran Pilastro). Quest'ultima tentata tre settimane fa in un impeto di alpinismo romantico, lontano da posti noti, frequentati, report recenti e con una gelida notte in bivacco. Una parete che però è rimasta lì come un tarlo, insinuatosi in ogni mente alla quale ho parlato di essa. 
Dalla cascata Wagnis und Glück si parla di cosa fare dopo Natale: come un adolescente che ha appena perso la verginità, avevamo già voglia di ghiaccio al ritorno in auto. Un altro poi si aggiunge in quanto facente parte del tentativo di tre settimane fa alla parete minore del fratello maggiore, poi Simone che incappa in problemi improvvisi, e Gianluca che salta sul treno in corsa con un "Ma porcam****** non potevi non dirmelo". La ciurma è al completo: io, Gianluca, Cristian e Giorgio.
All'1:30 siamo al solito parcheggio, destinazione Val di Vizze, al suon di "allora raga, siam pronti a questa cazzata?". In realtà tanto cazzata non pare: le cascate di ghiaccio sono ancora scarse, fa troppo caldo per loro. In giro c'è poca o nulla neve, non nevica da un tot e fa caldo, il che rende agevoli gli avvicinamenti e probabili le buoni condizioni di una neve che può essersi trasformata. Luna piena e sole. Altre cordate viste 3 settimane fa. Altri itinerari papabili hanno meno chance di essere in condizioni e (sulla carta) paiono più lunghi.
Di nuovo in questa valle, ma stavolta cambia la logistica: lascio un paio di scarpe da corsa al terzo tornante, e portiamo l'auto al quinto, così ci togliamo un bel pezzo di avvicinamento parcheggiando su, e con le scarpe comode e senza zaino tornerò a prendere l'auto. Mentre metto giù le scarpe, un'auto piomba e parcheggia. Sulla strada una spolverata di neve ci fa capire che rispetto a tre settimane fa, qualcosa, poco, è sceso. 
Colazione al chiaro di luna, e si va. Si parte. Si prova. Si tenta. Si spera. 
Partiamo un po' separati, tra chi era pronto prima, chi teme di esser lento e si mette subito in moto. Ognuno resta così da solo coi propri pensieri: non ci è dato sapere quale tempesta di pensieri giri nella testa degli altri amici. Nella mia girano un po' le solite preoccupazioni: che nessuno si faccia male, di divertirsi, di riuscire a compiere la salita, di uscirne stanchi ma soddisfatti, di capire se stiamo sopravvalutando la cosa o sottovalutando. 
La luna è potente e ci illumina la strada, fa caldo e ci si spoglia, ma siamo anche in salita e con la frenesia. Intanto notiamo due frontali alla base della parete, saranno quelle dell'auto che ha parcheggiato al terzo tornante: vacca se son svelti! 
Scendiamo dal sentiero, per un periodo ci siamo ricompattati e abbiam riso e scherzato, ora la seraccata basale si vede bene, così come sia aggirabile a sinistra. Ci si ridivide alla ricerca del passaggio più agevole per giungere sul bacino dove cadono le cattedrali che ogni tanto si staccano da questo mostro si ghiaccio. Già perchè parrebbe un mostro anche a chi non capisce l'imprevedibilità di questi ammassi di ghiaccio in continuo di movimento: quel buco sulla destra sembra una bocca pronta a inghiottire tutto, o a sputare di tutto. Ma noi cerchiamo di stargli lontano finchè si può.
Giunge l'ora di ramponarsi, col cielo che inizia a illuminarsi della luce solare. Si tratta ancora di un debole assaggio di quello che ci aspetta dopo: possiamo tranquillamente proseguire senza legarci, si tratta di risalire un pendio di neve stando sulla sinistra (faccia a monte). Man mano che si avvicinano le rocce, levigate dall'azione millenaria di un ghiacciaio che solo 8 anni fa levigava ancora (sigh), mi rendo conto che si avvicina un momento di corsa sui ramponi. 
Per evitare di fare del misto (ma dopo dall'alto vedrò che invece si poteva proseguire dritti facendone davvero poco!) si traversa tuuuutto il pendio sotto la serracata, fino a portarsi dall'altra parte, dove lo sputo della bocca non può arrivare, una "passeggiata" tutta d'un fiato. 
Si risale un altro po', su neve non proprio delle migliori, sempre all'ombra della nord, mentre altrove il sole sta già scaldando tutto ciò che riesce a toccare. Si sale finchè non tocca ritraversare dall'altra parte, nuova passeggiata col fiato in gola visto che adesso si è ancor più sotto queste cattedrali di ghiaccio in bilico: ora che se ne può comprendere la dimensione e la..fragilità. Una volta dall'altra parte immortalo compiacente i miei tre amici quanto siano piccoli sotto di loro.
Ok, il gioco inizia a farsi interessante. Scrutando il disordine ghiacciatorio che sta alla nostra destra, si risale una piccola goulottina con le pendenze che si fanno già più interessanti, e una neve che regala emozioni. Non oso immaginare la gioia insita nei cuori dei miai amici quando affonderanno le loro propaggini metalliche qui. Un breve passettino di misto, ma in traverso, e ci si riporta su pendenze camminabili, in direzioni del plateau mediano. 
Con poco sforzo abbiamo superato quello che adesso è uno scivolo di neve misto rocce (ma rocce belle lissie eh!) e che una volta era ben ricoperto da una lingua di ghiaccio che scendeva più basso del Bivacco Messner. Una volta, una decina di anni fa! Terribile.. 
Guadagnando quota riusciamo a osservare il mare di ghiaccio che soggiace alla forza di gravità, liscio, spoglio, frastagliato. Pensare di passarci vicino o sopra fa rizzare i peli. Lo sguardo si alza, e incassata nelle pieghe della roccia si innalza una bella e regolare goulotte, che oggi di certo guardiamo e ignoriamo. Però un giorno.. 
Noi ci alziamo, e la serraccata mediana si scopre ai nostri occhi: ancora lontana s'intende, ma è lì, e dobbiamo superarla se vogliamo salire. Riusciamo a notare i due che ci precedono salire ormai sullo scivolo nevoso a destra della serraccata, e che vanno a concludere le difficoltà della loro salita. Noi invece dobbiamo ancora trovarle. 
Arriva il momento di legarsi: quello che abbiamo davanti sembra un pavimento più o meno regolare, ma di certo nasconde trappole buie e fredde, dentro le quali meglio non finire, e se proprio, almeno essere legati la mondo esterno in qualche maniera. Parto avanti, deciso ed emozionato, in fondo è la mia prima serraccata da salire. Non solo la mia a dirla tutta. 
Amore e odio. Entusiasmo e timore. Coraggio e paura. Il contrasto di questi sentimenti ha ancora qualche minuto di spazio per lottare, per tentare di eleggere un vincitore in questa battaglia mentale. Ma è tutto inutile. Arriverà presto il momento in cui il cervello non avrà il tempo per pensare a tutto ciò, dovrà concentrarsi e lesinare le energie focalizzandosi su una sola cosa: "salire". Beh, diciamo "salire portando a casa la pelle".
Per ottimizzare i tempi, a casa mi sono riempito le tasche dello zaino, quelle accessibili senza doverlo togliere, di snack, e ne lascio uno nella neve per il mio compagno Gianluca, che lo vedo possa averne bisogno. Ma come burla, lui non lo noterà, e sarà Giorgio pollicino a raccoglierlo. 
E giunse così, la seraccata mediana: sciolgo la bambola. Senza troppo starci a pensare, tuc tuc, e le picche si piantano nel ghiaccio, e in seguito i ramponi. La testa si spegne e diventa piuttosto basica nel ragionare: via i pensieri inutili, le preoccupazioni al di fuori di ciò che mi circonda di materiale in questo momento, e salire! 
Una decina di metri, e mi accorgo di aver fatto una bella cagata. Le viti. Ho solo le mie 6, non ho preso quelle di Gianluca. Quindi, togli le due per far sosta, ne restano solo quattro di protezione, per un tiro che da basso non sembrava, ma i suoi 80-90m ci sono. E sempre per la smania, siamo su una sola mezza. Accidenti alla smania!
Fortuna che la pendenza non è proibitiva, e la conserva protetta sarebbe comunque una scelta obbligata per non far notte su questa nord. I polpacci iniziano a friggere, le braccia tentano di sostituirsi a essi, ma ne pagano presto il pegno di inghisarsi pure loro. Qualche tratto con pochi centimetri di neve allevia la fatica. Intanto osservo gli altri amici sotto, e grido a Gianluca di sciogliere anche la sua bambola. 
Il posto buono per far sosta è lassù, a due passi, più o meno. Due intervalli con un po' di neve hanno giovato alle mie forze, ma gli ultimi metri di ghiaccio passano dal marmoreo allo spaccoso, spaccoso che ruzzola giù sui miei amici. 
Finalmente eccomi, a lato della rampa che pare proprio essere il proseguimento della via Klassical, e non della variante dritta su che è ben più dura: sulla carta. Numerosi buchi di viti mi confermano che siamo nel posto giusto, dentro gli spadoni e assicuro Gianluca. Intanto una cordata ci ha raggiunto sotto di noi, belli svelti questi qua.
Arriva anche il mio amico in sosta, un breve scambio di battute, e via andare. La strada sembra ovvia, verso destra. Tracciata e pestata. Beh certo, anche sopra di noi lo è, ma è più duro, e noi oggi vogliamo stare basso profilo che ne abbiamo già a sufficienza. Mentre Gianluca procede, la sosta si affolla. Poi lo vedo traversare su ghiaccio, un passaggio mica banale, e scomparire dietro. 
Bene bene, immagino che si sia un bel po' di rampa che porta sulla sinistra orografica del flusso ghiacciato, tutto facile. Ma quando vedo la corda "tornare indietro" inizio a temere qualcosa non vada per il verso giusto. Parto, e mentre sono in marcia ricevo poco rassicuranti notizie da chi mi sta davanti: è un vicolo cieco. 
Ne informo subito la cordata che ci ha raggiunto e che ha superato Giorgio e Cristian: loro fan presto, partono su dritti! Io guardo giù e vedo delle tracce su neve: abbiamo sbagliato, c'era da stare più bassi! Le offese che non mi autoinfliggo.. Avviso Cristian, che non so bene cosa faccia, io proseguo, c'è poco da fare. 
Arrivo dal mio amico che esordisce con un "ora facciamo un bell'abalakov". Vado in perlustrazione, come aveva già fatto anche lui, ma mi dice che vale la pena. Praticamente siamo su un balconcino, una piazzetta in mezzo alla serracata, un bel posto da bivacco non fosse per l'incombenza di lavatrici di ghiaccio sulle nostre teste. Da qui impossibile proseguire, non resta che calarsi.
Non siamo certo stati gli unici ad arrivare qui, è tutto bello pestato. La cordata di stranieri intanto è su e ci dice che è la strada giusta. Anche Giorgio insisteva a dire di salire, e col senno di poi probabilmente poteva aver ragione, ma ormai siamo tutti indirizzati a piegare verso destra (faccia a monte). Armeggio per fare l'abalakov che mi viene al primo colpo: il secondo o il terzo della mia vita, lacrime agli occhi.
Cristian intanto sta traversando sotto di noi. Gianluca si cala, con la sosta pronta a reagire in caso ci molli l'ancoraggio su ghiaccio, poi tocca a me su soltanto quest'ultimo. Cerco di scendere puntando dove sta andando Cristian, più che altro per evitare strani incastri di corda su, ma così facendo finisco sulla bocca di un bel buco, e in un modo che dire goffo sarebbe troppo cortese, striscio verso il basso scappando da esso, in modalità sogliola. 
Operazioni di recupero, maledizioni per il tempo perso, maledizioni per la mia indicazione errata, e adesso forza e coraggio. Coraggio a Giorgio, che da secondo deve scendere dalla sosta, traversare su ghiaccio vivo, con Cristian che non lo vede e quindi tira un po' la corda: ma ci sono io a bloccarla amico! 
La nuova sosta, per Cristiane Giorgio è S2, per noi è una S3, è poco distante dalla verticale del balcone di ghiaccio sul quale eravamo finiti, e questo significa che siamo sotto ad altre lavatrici, tir, bulldozzer, ecc. Non vedo l'or di andare via di qua, d'altronde lo scivolo nevoso col quale le difficoltà dovrebbero terminare, è giusto li sopra. 
Lì sopra: sopra un bel pezzo di misto. Un pezzo che dal balcone sembrava ben abbordabile, d'altronde la via classica siamo certi che passi di qui, ma che adesso pare più ostico di quello che si credeva. Giorgio ha lasciato le viti in imacchina, noi i friends, e quindi dopo aver prestato loro le protezioni da ghiaccio, ora loro ci prestano quelle da roccia.
Parto con un fiducioso "Andrea se non te la senti possiamo tornare giù", ma ormai siam qui, fammi provare. E non è mica facile! Oltre al fatto di non riuscire a metter giù protezioni, la roccia è tutta più che svasa, e la neve poca o nulla. Mi arrabbatto in qualche modo a superare questo salto di roccia, tra picca incastrara in una fessura e rampone sul liscio, dopo un tempo che pare infinito, riesco a salire a sufficienza per trovare qualcosa dove piantare la picca. Dopo aver visto un paio di scintille.
Sgusciando a destra e sinistra, salendo di qua e di la, in qualche modo trovo la strada per salire, ma mai il modo di proteggermi cavolo. Solo dopo svariati metri una fessura accoglie un friend. Pianterei anche un chiodo da roccia volentieri, ma non trovo fenditure. Va beh, è andata, spero solo gli altri se la caveranno e spero fare presto una bella..sosta! Ma dove, non c'è modo davanti a me! 
Scivolo nevoso con la corda che tira, Gianluca che grida, il ghiaccio lontano. Un bel blocco a sinistra, ma temo una voragine sotto di lui: salgo a quello dopo con gli ultimi cm di corda. Sento un secco "NO!" urlato da Cristian: spero non avergli tirato qualcosa addosso io! 
Quando arriva in sosta, mi mostra un sorriso con un pezzo di incisivo superiore mancante: si è tirato il martello in faccia. Ci mancava questa, ora inizio a essere ansioso: abbiam perso tempo, uno si è fatto male (ma lieve eh), è tardi, e basta! Almeno col prossimo tiro finiranno le difficoltà e saremo sul pianoro superiore! 
Mica tanto. Gianluca riparte subito, non voglio sapere che ore sono, pedalare. ma la fatica inizia a farsi sentire. Giorgio lo segue a ruota, qualche vite sul ghiacciaio che sta alla loro sinistra, mentre proseguono sulla neve davanti a loro, verso l'alto, verso l'uscita imminente spero. 
Finita la corda si parte anche noi, per uno scivolo che pare non finire mai. A detta di Gianluca "ogni volta che vedevo sopra la pendenza cambiare, mi dicevo che ormai sarà finito, ma non finiva mai". Per fortuna la neve è buona (spesso, non sempre), quel cigolio che ci piace tanto quando si estrae la piccozza.. 
Scorriamo a lato di altre cattedrali di ghiaccio, tra una guglia e l'altra butto l'occhio per vedere dove sono passati gli altri, e mi accorgono di un evidente traccia di quelli che dalla nostra S1 salgono dritti. Traccia evidente che attraversa un sacco di ponti di neve su crepacci bui: un bel campo minato. E mentre sento Gianluca che discute con Giorgio su dove andare, noto anche una traccia che dal nostro scivolo ha deviato a sinistra per incrociare quell'altra. 
Ricompattati dopo 45 min di continua pendenza, valutiamo il da farsi: scendere verso la traccia, finire sul plateau sommitale e poi risalire, oppure spararsi su dritti e poi arrivare alla selletta sotto la cima tramite cresta. A votazione vince la prima, così parto salendo per avere una più chiara visuale su che bocche fameliche ci possano essere sotto. 
Non se ne vedono, ma se ne intuiscono. "Gianluca, io salirei. La cresta sembra fattibile, e di certo è molto più sicura". Dopo L2 errata, L4 bella tosta, la terza decisione che prendo sarà corretta? Il peso delle decisioni che deve prendere il capocordata è spesso davvero tanto: sono scelte che gravano non solo sulla vita propria, ma anche u quella del proprio compagno di cordata, oltre che dei nostri cari a casa. Anche per questo la fiducia tra chi si lega insieme deve essere altissima: io decido (interpellandoti ovviamente), ma te devi fidarti della mia decisione. 
Riprendo a salire, tracciando tutto, neve a tratti ottima a tratti sfondosa, e la fatica di fa sentire: 1300m di salita nelle gambe ci sono già. E la tensione per un orario che ci sta sfuggendo di mano non aiuta. Come il "tiro" di prima, anche adesso la cresta sembra non arrivare mai: numerose pause per prendere fiato, sguardi su a quella mini cornice, a destra a quel ghiaccio scoperto, a sinistra alla cresta, alla selletta, al plateau. 
Dubbioso se andare un po' a destra, un po' a sinistra, su dritto, finalmente quella cornice arriva, riesco a notare tracce sulla cresta, è un buon segno. La cornice richiede un traversino delicato ed esposto, poi finalmente lui, il sole. Potente, caldo, luminoso. Fuori da questo imbuto di parete. 
Cerco un posto spazioso e mi svacco a terra, recuperando la corda. Il paesaggio è ampio e fantastico, ma cerco anche di guardare le impronte per capire dove siano andate, e capisco bene che la direzione da prendere è quella della cima dell'Hocferner. Vedo anche tracce che poi vanno sul Gran Pilastro, altre che scendono a imboccare la sua normale, un'altra sotto di noi. Vedremo, intanto c'è da arrivare alla sella. Intanto devono arrivare anche gli altri tre. 
Intano siamo solo noi quassu. Intanto sono le 14:30. 
La cresta appare non certo larga, ma nemmeno affilata. Un solo tratto di salita su rocce. Dovrebbe essere agevole. Si passa a conserva corta, e prendiamo la direzione della selletta, che ormai vediamo come un miraggio: non c'è spazio alle congratulazioni ancora. Ci aspetta ancora della strada, un bel ghiacciaio crepacciato da attraversare. E l'uso di una frontale sempre più certo. 
A pensarci bene, questa è proprio la cresta che voleva fare Giorgio! E per la quale si era preso delle offese (io piuttosto puntavo alla cima del Gran Pilastro, hihi).. Ben presto incappiamo in un tratto marcio e ostico da scendere, che una volta sceso sembra proprio una cavolata, ma mentre ci sei sopra..no. Scesi tutti, il resto della cresta è piacevole, neve buona, panorama, esposizione. "Gian, sai che se cado da una parte, te ti butti dall'altra, vero?!" 
Sono ben contento di aver scelto di salire per cresta: oltre che più sicuro, è anche molto più bello ed estetico. Oggi non ci facciamo mancare nulla!
Arriviamo alla selletta, il crocevia di tracce. Ci sarebbe da decidere se salire sulla cima o scendere, e ci sta che il mio amico voglia scendere, rispetto la sua scelta: tanto tra poco ci saliamo comunque! Una pausa ristoro ci stà, beviamo e mangiamo al sole (ma i guanti tolti si induriscono subito, segno che oltre al sole c'è anche il freddo!). Un sms a Nicola vista l'ora tarda per far sapere che siamo vivi.
Scendiamo per la traccia che attraversa la sud dell'Hochferner, decisi e un po' frettolosi: la neve ben presto lascia posto a dello sfasciume terroso poco invitante, e sopratutto franoso. Non ci capisce bene dove si possa scendere senza rischiare la vita in modo eccessivo. Continuiamo a traversare, dubbiosi, ancora legati, poi tentiamo di risalire seguendo delle tracce, sperando che una volta tornati in cresta sia chiara una discesa più agevole. 
Ma nulla, una volta in cresta le tracce erano di salita, così continuiamo sulla cresta salendo in cima io e Gianluca ("ce l'hai fatta a portarmi in cima, io che non volevo!") e scendendo dall altra parte dove c'era la selletta, mentre Giorgio e Cristian scendono tra detriti. Propongo "Gian, però adesso ci sleghiamo, se scivola uno si porta giù anche l'altro e nessuno può soccorrere nessuno". Rieccoci quindi alla selletta, di nuovo il traverso su neve che poi diventa sfasciume, e stavolta giù a rotta di collo, delicati come fossimo su bicchieri di cristallo.
Finalmente mettiamo piede sul Weisskarferner, osserviamo le tracce presenti e decidiamo di seguire quella che pare più breve e anche più marcata: così si scende subito. Intanto la luce che illumina la coltre nevosa si fa sempre più flebile, tenue, ci..lascia lentamente. Di nuovo legati, ora c'è un discreto e crepacciato ghiacciaio da scendere, cerchiamo di essere sgaggi e approfittare della poca luce che resta.
Non c'è stato tempo, modo, spazio, per le congratulazioni per la salita. Sarebbe prematuro, la discesa è lunga e ricca di insidie, non si può calare la concentrazione adesso. E in più, non sappiamo esser fieri dei tempi che ci abbiamo messo.. 
Durante la discesa sul ghiacciaio, il cielo si infiamma, si colora, notiamo distintamente il profilo delle Dolomiti in lontananza: montagne "di casa", mentre qui ci sentiamo davvero in territorio lontano e selvaggio. La vista di Marmolada e Sassolungo ci calma come se vedessimo un caro amico. Strana la vita. 
Mamma mia che crepi che vediamo, che buchi a volte sotto i nostri piedi, e che lacerazioni ai lati. La voglia di scendere alla svelta aumenta grazie alla voglia di allontanarsi da questo campo minato. La luce resiste, tinge il ghiacciaio di varie tonalità, difficile eleggere la più bella. 
Finalmente abbandoniamo il ghiacciaio, possiamo slegarci ma non rilassarci, la strada è ancora tanta, e adesso è buio. La luna sorgerà, ma più tardi, adesso abbiamo solo le nostre frontali a dare una mano alla nostra vista. Per fortuna un po di neve ancora c'è, e questo permette di seguire le tracce di chi ci ha preceduto: pezzato siano molti i passaggi su rocce liscie dove non riusciamo a vedere (sempre che ci siano) i punti deboli dove appoggiare le punte dei ramponi. L'eleganza di alcune "calate di culo" è notevole.

Le caviglie non ne possono più, ci caviamo i ramponi conservandoli vicino che non si sa mai. La neve finisce, e adesso orientarsi diventa difficile. Si continua a scendere su una dubbia traccia, poi tocca tirar fuori la cartina per capirci qualcosa. E mentre io esploro in lungo e in largo, il GPS di Giorgio ci informa che poco sotto di noi dovrebbe esserci..il sentiero! 10m di fiducia in più, e lo avremmo trovato senza mezzi tecnologici.

Oh che bello il sentiero, ora siamo tranquilli! Ma non è finita: quanto sale questo sentiero?! Noi dovremmo scendere! E invece saranno parecchi i km in falso piano e quelli in salita, prima di arrivare finalmente a scendere verso la strada. Intanto ci godiamo un bel sentiero semi ghiacciato con a lato un bel burrone, e noi che ogni quattro passi scivoliamo..

Giorgio e Cristian prendono il largo, io e Gian rimaniamo indietro ma non c'è dubbio su dove si debba andare. Ci si ricompatta, e allora io e Giorgio ci separiamo dai nostri due amici per scendere più svelti e salire solo noi a prendere l'auto. Il sentiero sale, il ghiaccio aumenta. Torniamo a metterci i ramponi, stufi di dover cercare di evitare il ghiaccio e di scivolare quando non ci riusciamo: li terremo fino al terzo tornante io, fino al quinto lui.

Un gufo ci vola davanti al naso facendoci rizzare i capelli, i ramponi che si incastrano in mezzo alle rocce, sui pioli artificiali. La mente inizia a essere stufa, sono parecchie ore che siamo in giro e non se ne vede la fine: ci fosse un bivacco qui, mi fermerei! Ma finalmente un cartello ci da conforta che manca solo 1h alla strada. E dopo mezzora, siamo nel punto dove tre settimane fa ci dirigemmo verso il Bivacco Messner.

Finalmente al terzo tornante, smontiamo gli zaini, togliamo gli imbrachi, e io mi cambio pure scarpe (lasciate stamani nascoste nel bosco)! Rinati! I nostri amici chissà dove sono, ma tanto a noi ci aspettano altri 4,5km e 300 e passa m di salita per andare a prendere l'auto e concludere questa giornata. Lunga giornata. 
Inizia il giro di telefonate, ora che la situazione è più rilassata, scherzando con la morosa e con le mogli degli altri, oltre che con amici e amiche. Con la luna che ci illumina seguiamo la strada, sperando (ma sapendo di illuderci) che la dietro spunti la carrozzeria dell'auto. Solo dopo 1h di cammino la luce lunare rifletterà sul tettuccio. 
Non facciamo in tempo a salire in auto che Cristian ci chiama per sapere dove siamo. Arrivati motorizzati al terzo tornante, sbattiamo tutto in macchina optando per sistemare e dividere il materiale a Carpi. Sono le 23 ormai, sperare in una buona birra e panino è da utopisti, e infatti finiamo ad accontentarci dell'autogrill.

Vacca boia che giornatina! Di certo una delle più dure salite che io abbia mai compiuto nel complesso di tutti gli aspetti che la compongono, 16h a girare senza pause importanti, il gps parla di 2300 metri di dislivello e 17,5km (12 solo la discesa..). Forse un po' lunghi come tempi, è vero, ma mica una passeggiata.

Una bella chiusura di 2015: la salita dell'anno del 2015! A parimerito come impegno psicologico della Tour Ronde, ma a differenza della vetta del Gruppo del Bianco, questa ce la siamo goduta.

Qui altre foto.
Qui e qui report.
Qui relazione.