giovedì 12 novembre 2015

Dal budello al Paradiso: Couloir dell'H al Monte Nero

Quando si dice cogliere la palla al balzo. La voglia di ghiaccio, di drizzare una stagione che ha visto pochissima o nulla alta quota. Meteo perfetto e condizioni buone dai numerosi report. Ma su questo apriamo una parentesi.
La pulce nell'orecchio ce l'avevamo già prima del report degli Alpinisti del Lambrusco, il quale ha poi decretato un assalto a tutto l'assaltabile della parete nord del Monte Nero, confermando anche la nostra prima intenzione. Tutte pecore? Forse, ma non nel tono dispregiativo del detto popolare. Viviamo in un periodo storico in cui la disponibilità di tempo e denaro non è così ampia. Di stagioni meteorologiche che si stravolgono rispetto ai decenni scorsi. Quindi ritengo giustificabile che se si viene a sapere che là puoi andare a colpo sicuro, allora ci vai.
L'assalto di questi giorni consiglia di evitare i weekend per non essere in coda, coda che potrebbe esserci anche in infrasettimanale. Decido quindi, viste anche le ottime condizioni meteo (salvo le temperature), di giocarmi il bonus del giorno di ferie da lavoro. Giovedì è la giornata scelta, mercoledì nel tardo pomeriggio si partirà per dormire al Bivacco Invernale del Segantini.
Partiamo già in ritardo, sosta a Comano Terme per una pizza e birra (io non volevo bere alcool, ma Nicola mi ha costretto!), ed eccoci all'imbocco della Val Nambrone, valle che conosco per un tentativo scialpinistico dell'anno scorso. Breve pausa messaggi per tranquillizzare i propri cari e via su. Il dubbio sulla percorribilità della strada col mio mezzo a quattro ruote si risolve abbastanza bene, e siamo a 2000m.
Carichi come muli iniziamo la salita verso il locale invernale del Rifugio Segantini. Fa caldo, salgo in braghe corte, speriamo che questo non infici sulle condizioni; ma sono giorni che si leggono report di salite.. Chiacchiere e sbeffeggi sotto una stellata magnifica: anche oggi ne vedo talmente tante che non riesco a distinguere l'Orsa Maggiore.
Ultimi metri su neve marmorea, un'allucinazione della vista di una finestra ci fa temere di esser saliti troppo, ma l'altimetro non mente, e dopo qualche momento di scompiglio e di scherno reciproco, eccoci al nostro ricovero per questa breve notte. Qualche foto e via a letto, che sono già le 23 passate!
Suona la sveglia, notte fredda nonostante tutto, e come dice Messner "il difficile è uscire dal proprio tepore". Colazione fugace ma senza troppa fretta, senza doversi limitare nel rumore che facciamo, senza paura di pestare le cose di altri: siamo incredibilmente soli. Alle 4e30 siamo finalmente pronti, una cordata salita dal parcheggio ci supera mentre qualcuno fa pausa toilette.
Saliamo alla luce della frontale sotto un mare di stelle, seguendo i bolli della normale della Presanella. Chiaramente abbiam fatto i cazzoni e studiato poco, e ciò sarà lampante a breve. Neve sparsa, risalita sulla morena e poi sù dritti sulla sua cresta: ma prima o poi dovremo scendere.. Intanto continuiamo a salire, con calma, le frontali degli altri due non le vediamo da un pezzo.
Il dubbio che stiamo salendo troppo si insinua tra noi, ma la pigrizia è tanta e si continua nell'errore. Con le prime luci che invogliano alle foto, siamo costretti a fermarci e guardare relazione e cartina: "..dopo 20min.." e invece noi è più di un'ora che saliamo! Però dai, intuiamo (speriamo) che si possa anche scendere più sù: ormai la luce ci permette di avere una profondità maggiore di veduta, e troviamo un canale per scendere (dove c'è già qualche traccia).
Ramponi ai piedi, altre foto all'alba, e via che si scende. Sembrano secoli che non indosso queste propaggini metalliche: era già stato emozionante preparare lo zaino martedì sera, ora ancora di più, e tra poco la gran felicità! Scendiamo quindi un tratto anche ripido, ci si tuffa sulla Vedretta d'Amola (bah, quel che ne resta), osservando le tracce di chi si è infilato in questa valle prima di noi, ma anche quelle di chi ci si è infilato più tardi!
Il sole inizia a scaldare le pareti est di Cima d'Amola e in parte della Presanella, siamo in paradiso. Ed ecco che traversando il pendio iniziamo a scorgere il budello del purgatorio del Monte Nero, con chi ci ha preceduto poco più avanti di noi. La risalita del pendio ha un po' di ravanata, ma non ci si lamenta. Piuttosto mi fanno un po' paura gli spindrift che scendono dalle altre linee, linee bellissime
Siamo alla base, sotto al masso riparati da quello che arriva dall'alto. L'altro momento psicologicamente difficile è arrivato: attaccare.
Parte Nicola: io ho un timore reverenziale verso queste salite, e considerando da quanto tempo sono lontano dall'elemento "acqua solida", voglio andare con calma. In più voglio lasciare allo scalmanato la possibilità di divertirsi il più possibile. Come ci si poteva aspettare, la corda finisce, si parte in conserva per qualche metro fino a che non mi recupera in sosta. Il primo muretto di ghiaccio arriva presto sotto la fame delle mie picche: goduria.
Riparto io, fatto il primo salto ci aspetta un bel corridoio di neve racchiuso tra il granito tonalite: sarà un crescendo di piacere, proporzionale alle difficoltà che aumentano e a quanto ci incassa in questo ambiente. Saliti i 55m della corda, osservo il mio amico seguirmi da basso. Sulla sinistra qualche protezione si vede, ma è anche il corridoio di scarico di chi sta sopra, e per questo una volta finito il materiale opto per far sosta a destra. Vacca se mi diverto!
Nicola sale i suoi primi metri ben al riparo grazie ai massi sulla destra, ma la sosta gli è obbligata proprio sul lo scarico dell'alto (oh, che poi ci sta lo scarico dall'alto). Osservo la roccia, e sogno il Monte Bianco. Sogno anche i friends piccoli che non abbiamo raddoppiato nella nostra dotazione..
Da S3 uno sguardo verso l'alto rivela che adesso il misto inizia ad affiorare, così come la necessità di infilarsi in qualche ruga del Monte Nero per cercarne l'uscita. Vado, ghiaccio troppo sottile per delle viti (grac, fresata la roccia), e all'uscita dell'imbuto trovo roccia troppo friabile sulla sinistra: amen, poche protezioni e altra conserva lunga, che sbucato sul triangolone di neve mi può anche star bene. E così arrivo a far sosta sotto la ruga.
La nostra S4 è panoramica: un punto privilegiato per poter assaporare dove siamo, cosa siamo e cosa stiamo facendo. Cime non lontane ma al sole, a differenza nostra che siamo all'ombra. Un pinnacolo di roccia che prima sembrava altissimo è ormai alla mia stessa altezza. Uno sguardo verso l'alto che ancora non vede la via di uscita, anzi, vede che ora ci infiliamo nel budello.
L5 è per noi il tiro più duro, infatti vedo anche chi ci sta davanti trovare qualche difficoltà nel superarlo. Arriva Nicola, a lei il divertimento! E anche lui lo vedo salire circospetto, cercare di proteggersi alla bene e meglio, e infine giungere sotto il tratto roccioso verticale, la cui difficoltà è avere neve farinosa sopra dove le picche fanno poca presa. Ma sale, supera, e sul finire della corda fa sosta. Vado io, e forse grazie a qualche cm in più (e la corda dall'alto?!) salgo senza annaspare troppo.
Una S5 un po' (tanto) psico, ed ecco il masso incastrato caratteristico della via. Nicola, vai pure ancora te! Non vedeva l'ora. Ma anche la placchetta spoglia all'inizio ha il suo perchè, e obbliga a una delicatezza degna di Brentino. Si toglie un guanto per metter giù un friend e poi "ma guarda te, mi è andato del ghiaccio nel guanto!" e via ad aspettare dei minuti che lo estragga..
Poi giunto sotto il masso lo vedo contorcersi in questa strettoia per muoversi e proteggersi, e infine salire bene e sentirlo dire "ma era ben più duro giù!". Non posso dargli torto, qui gli agganci di picca ci sono e sono buoni, anche se le punte dei ramponi vanno a cercare impercettibili protuberanze e buchi fantasma. Ormai superato questo è fatta.
Il budello è superato, la ruga più profonda di questa linea è salita, ma anche la parte in alto sembra essere un bel parco giochi, tra neve dura e rocce dove mettere le protezioni e trazionarsi con le mani e picche. Vado io, e più salgo e più sento il cuore esplodermi. Sono quelle sensazioni indescrivibili che mi pare inutile raccontare.
Finita la corda Nicola parte (dopo avermi rotto le balle per non aver allungato a sufficienza le protezioni), ed è dura stare ad aspettare il tempo che smonti la sosta, ho fame di salire! Ultimi metri con qualche passo su roccia, ma sono già in vista della cornice, e adesso anche in vista del sole. Esco sulla cresta, esco dal budello, sono in alto, sono libero, sono estasiato.
Recupero Nicola coi lacrimoni agli occhi, fiero della sosta approntata col materiale rimastomi, eccolo che arriva. Eccolo uscire anche lui e godersi il panorama. Una stretta di mano e un abbraccio reciproco che ci facciamo anche a noi stessi.
La giornata è ancora splendida, quindi nessuna fretta di far su il materiale, piuttosto di mangiare e bere e godersi il panorama. Giusto in tempo, perchè tra poco delle velature offuscheranno il cielo, rendendo il vento che ci sferza non più compensato dai raggi solari: fa freddo insomma.
La Presanella, la mia prima uscita alpinistica, è lì. L'Adamello, una delle fatiche più bibliche è la. Il Care Alto, una delle varie cime che mi ha cacciato ma una delle poche sulla quale non sono ancora tornato è laggiu. Le Dolomiti dietro. La palestra del Baldo a lato. Mi sento a casa!
Dopo una pausa al sole sotto una roccia,finito il godimento, si scende. Solo ora leggiamo bene quanto sia arzigogolata la discesa, che credevamo una cioffeca, e invece. Giù a dirotto verso una fascia rocciosa leggermente attrezzata ma che un po' di disarrampicata ce l'ha.
Siamo così sulla Vedretta Nardis Orientale, lungo traverso a sinistra sotto un caotico versante di pilastri di granito dall'aspetto poco saldo, e si giunge a un altro tratto attrezzato per la risalita verso la Bocchetta di Monte Nero. Tutto ciò rende la discesa meno monotona di quello che si temeva, ma anche più faticosa, divertente, e ricca di sfottò e prese in giro reciproche.
Gradini e cavi, una finestra verso il Brenta, e poi si passa di la, all'ombra, sopra la Vedretta di Monte Nero. Discesa un po' più complicata e meritevole di attenzione visto il cavo semicoperto, ma non abbiamo fretta, siamo qui per goderci la giornata in pieno! Per respirarcela tutta!
Finito il cavo, finite le difficoltà, camminatone su neve a volte non portante, in un limbo virtuale tra le stagioni: l'estate che domina ancora l'orizzonte, un debole autunno in questa ombra frigorifera. Tutto vista Brenta davanti a noi, fino a giungere a una sorta di pianoro fatato, sul quale il tempo sembra sospendersi. Finita l'acqua da bere.
Ancora giù per il pistone, con le anche e i piedi che iniziano a dolere (non più abituati a questi scarponi) ed eccoci arrivare dove stamattina abbiamo deviato per scendere verso l'attacco. Alla luce del giorno vedremo più avanti le tracce in basso.
Sulla morena sembra di esser di nuovo al confine di due stagioni: a sinistra l'autunno con le sue prime nevi,  destra l'estate con la roccia, terra, sfasciumi secchi. Via i ramponi, che ci leghiamo vicendevolmente allo zaino, ognuno convinto che l'altro li abbia legati malamente. Dei versi di rana richiamo la nostra attenzione: sono pernici bianche.
Il tramonto si fa spazio, il Brenta si spegne man mano.. La magia del rosso che avanza, e scompare.
Di nuovo al Segantini rifacciamo i nostri zaini, una volta per tutte in modo da arrivare all'auto e poter partire subito, che è tardi! Ci fosse ancora luce ci potremmo godere questo paradiso, queste visioni di cime, ma il buio ha già fatto capolino, e di conseguenza la voglia di tornare a casa per bramare altre giornate come questa
PS: grazie del bigliettino sull'auto. Nella salita avevamo una cordata che ci precedeva, che abbiamo "redarguito" perchè almeno poteva avvisare quando scaricava ghiaccio (normale che qualcosa si stacchi, anche se si spera sempre nella delicatezza di chi sta sopra), e che gentilmente non vedendoci più ci ha tenuto a sapere che stavamo bene.

Qui altre foto.
Qui e qui e qui report.

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