lunedì 7 dicembre 2015

Alpinismo romantico: parete Nord Gran Pilastro (TENTATIVO)

Giusto ieri sera ne parlavo con Claudio, altro lettore alla serata di  Maurizio di Malga Sorgazza ("50 sfumature di Ghiaccio"). Ma se ne parla da tempo anche tra noi amici, e credo un po' tra tutti quanti quelli che si definiscono Alpinisti. Ovvero di quanto la tendenza sia diventata essere un gregge di pecore: appena c'è un report di qualche itinerario, tutti la!

Ritengo che questo approccio non vada condannato, io stesso la più parte delle volte metto un cappotto di lana bianca (in senso figurato), per una serie di semplici motivi: soldi, tempo, risultato, cambiamenti climatici e ammetto anche una certa dose di ignoranza. Ormai un weekend costa parecchi soldi e tempo che si "ruba" ad altro/i, e quindi partire da casa con l'incognita "salirò o non salirò?" non è un risultato tollerabile. Poi i cambiamenti climatici che hanno stravolto il normale ciclo delle condizioni delle pareti. E l'ignoranza nel non saper prevedere con occhio clinico le condizioni.
Ma oggi non saremo pecore, però nemmeno leoni!
Primavera scorsa per caso capitai su una foto della parete nord dell'Hochferner: vacca che bella. Però anche dura.. Ci provai a coinvolgere qualcuno, ma non trovai tempo fertile, almeno a quei tempi (in futuro invece, lo andremo tentare!). Lì vicino però c'è la più "facile" nord del Gran Pilastro, che deve essere uno scivolone fantastico in ambiente di ampio respiro, isolato e selvaggio. Insomma l'alpinismo che più mi piace.

Per una carambola di eventi, stavolta trovo due che si lasciano ammaliare da questa stramba idea di partire per tentare questa parete, Giorgio e Cristian. Valutiamo tutti insieme che la parete potrebbe essere in condizioni in questo pazzo autunno, e cogliamo l'occasione anche per sperimentare una notte in bivacco al freddo (e che freddo).

Dopo la giornata e la seratadi ieri, la partenza non può essere troppo presto, e d'altronde non ce ne sarebbe il senso. Ma le buone speranze iniziano a scricchiolare fin dal viaggio in autostrada: un SUV davanti a noi perde due paia di sci, che per fortuna non ci trafiggono attraverso il parabrezza stile "Final Destination", ma ruzzolano sotto le ruote e per fortuna senza squarciarle. Poi gli autogrill imballati di gente che va ai mercatini, tantochè c'è da fare la fila anche per uscire, ma va beh.

Entriamo nella Val di Vizze col termometro che va in picchiata verso il basso, -1, -2, -3,..-7! Ci fermiamo a prendere un caffe in una Gastof, dove ci accoglie una teutonica settantene gufatrice. Adesso, a ben pensarci, Stephen King deve essere stato qui quando gli venne l'ispirazione per Misery. A parte l'aspetto fisico, che poteva anche essere abbinato alla figura di una nonna cuoca tutta gentile e "mangia che è buono", questa esordisce con un "oh state attenti, avete famiglie a casa che vi aspettano, non morite, dahh", e parlando di quelli che fanno sport estremi "beh quelli li normale che prima o poi muoiano così, daaaa". Grattatina di maroni che consuma i pantaloni.
Terzo tornante, yeppa! Ci siamo: indipendentemente dallo stato della strada, non vogliamo proseguire, preferiamo fare un po' più di fatica oggi, ma domani scendere qui senza dover risalire al quinto. Ancora non sappiamo che non servirà a nulla. Il sole fa il suo effetto, e io parto stile tutina lasciando i pantaloni nello zaino, per non sudarli già ora.
Ci incamminiamo così sul sentiero in mezzo al bosco, tiepido al sole e gelido all'ombra, e col terzo cattivo presagio che incombe: dopo 10 minuti di cammino, mi giro e "ragazzi, ma l'accendino chi ce l'ha?" e tutti a mani abbassate. Azz, no accendino no acqua no pasta, che famo?! Per fortuna Cristian ne ha uno in macchina che tra l'altro esaurirà il suo carburante giusto per farci fare l'ultima accensione di fornello!
Abbandoniamo presto il sentiero 1 per proseguire nel 7, nella speranza che domani scenderemo da lui. Le prime avvisaglie di una temperatura davvero gelida in una parte di valle che vede il sole tanto quanto il nord della Groelandia, iniziano a paventarsi con pozzanghere e funghi di ghiaccio sparsi qua e la. Fino a trovare interi metri di sentiero completamente off limits senza ramponi: aggiriamo sopra e sotto, con Giorgio che temerario tenta un passaggio finendo a guardare da vicino il suolo.
Uscendo dal bosco il panorama si apre in due direzioni che catturano la mia attenzione: una è chiaramente quella che punta verso nordest, verso il bivacco sul quale incombono due bei ghiacciai serraccosi che prima o poi vorrei salire. L'altra è verso sudest, dove una collana di colate ghiacciate addobba i pendii di una montagna spoglia di neve. Voglia di ghiaccio..
Siamo ormai nel letto dell'ex fiume di ghiaccio che ha scavato questa valle, un lontano ricordo di un epoca in cui i nostri arnesi di acciaio avrebbero goduto a fondo, altro che riscaldamento globale e innalzamento dei mari. Ma questo letto conserva il ricordo del freddo, pungente, non ci si può fermare pena l'ibernazione: osservo il sole che scalda e illumina i pendii un centinaio di metri sopra di me, ma è lontano come i miei vent'anni.
Quel puntino giallo, la scatoletta di tonno, è già visibile la in fondo, fermo mentre noi ci avviciniamo a lui. Deboli e sporadiche chiazze di neve diventano sempre più presenti, ma non diventeranno mai un manto continuo: bella storia per il nostro avvicinamento, brutta storia per le nostre vite future. Brutta storia anche notare delle impronte di scarponi davanti a noi: fiduciosi di trovare un posto selvaggio in quanto non reportizzato, iniziamo a temere di non trovare alloggio in "hotel".
Le montagne che stanno alla nostra destra mostrano versanti solcati da qualche ruga nevosa, placche, roccia che quando lavorata pare forte quanto Popeye a digiuno di spinaci da mesi, e infine una bella cascata che sta pian piano coprendosi di H2O solidificata. Insomma, tanta roba ma nessuna in forma, e una stagione balorda che non si sa come affrontare. E al tempo stesso, una voglia e una fame di alpinismo..datemi spinaci!
Servito il quarto presagio: il cimitero dell Hochferner! Per la verità non solo suo, ma la maggior parte delle croci piantate reca come luogo di morte proprio quella parete. Va beh, noi, almeno per oggi, puntiamo alla più tranquilla Nordwand del Gran Pilastro, se non finiamo in qualche crepaccio nell'avvicinamento. O se non dovesse servirci la facoltà di volare per superare la terminale.
Stacco un po' i miei amici senza volerlo, mi fermo ad aspettarli coi miei dubbi sulla riuscita dell'ascesa: logico e saggio avere sempre dei dubbi, "Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno" cit Voltaire. Uno sguardo all'insù, e un piede torna davanti all'altro.
Si scende dal sentiero, che non è mai salito al sole, si abbandonano i prati per scendere (e presto risalire) su pietraie coperte da un velo bianco che a volte nasconde un foglio grigio ghiaccio. La seraccata dell'Hochferner è sempre più visibile, è sempre più invogliante. Come le sirene con Ulisse mi stà chiamando, ma ho promesso a Cristian che oggi non l'ascolterò.
Cercando la strada migliore, seguendo quando visibili i segni del sentiero, alcune peste di chi ci precede, continua l'avvicinamento formato piccolo mulo (attenzione, mulo, non asino!) al Bivacco Messner. La via più logica di salita deve fare i conti coi tratti di accumulo di neve e coi tratti di ruscello ghiacciato, a scapito della fatica: ognuno di noi prende una strada diversa, uno dei punti di maggior bellezza dell'alpinismo.
Salgo e cerco il bivacco con lo sguardo, salgo e studio la nord davanti ai miei occhi, salgo e noto un canalino, salgo e noto impronte di salitori della parete agognata, salgo e sento fame e sete che mi mordono: ma Giorgio almeno a una di queste osservazioni ha la soluzione, panini. Quando arriverà.
Calpestando gli ultimi metri di una morena che da l'impressione di poter volar via a suon di brezza, eccomi finalmente al bivacco Messner, una scatoletta gialla con le spalle protette da un macigno di tonnellate, un balcone sulla Val di Vizze e sulla parete nord dell'Hochferner. Ripetitivo lo sò, ma su questa parete ho lasciato gli occhi, e domani in questo angolino delle Alpi lascerò un pizez e core.
Abbandono il mio menhir e aspettando gli altri due sgattaiolo proseguendo la salita verso il terreno di domani, dietro il bivacco: l'idea di oggi era anche quella di andare ad esplorare buona parte dell'avvicinamento, in modo che eventuali sorprese (ostacoli) fossero scoperte oggi e vi si potesse porre rimedio tornando in auto e ripiegando su qualche altro itinerario per poter portare a casa qualcosa. Ma salvo poche decine di metri e lo studio di dove passare domattina, non si farà altro.
Arrivano in sequenza Cristian e Giorgio, ci sistemiamo all'interno di un bivacco tutto per noi (incredibile pensare di starci in più di 4 o 5), usiamo tutti i letti per le nostre cianfrusaglie e vettovaglie, e finalmente giunge l'ora dei panini! Giunge anche l'ora di iniziare a capire quanto freddo patiremo nelle prossime ore. Ci si inizia a vestire.
Il telefono prende segnale, possiamo avvisare a casa, prima di rimboccarci le maniche e metterci avanti coi lavori: riempiamo di neve tutti i contenitori e sacchetti che abbiamo, cercando quella più pulita, ma cosa vuoi mai, quella poca che si trova è molto "minerale" anche negli accumuli. Fortuna che ci siamo anche portati nello zaino anche 8 litri di liquida, se no stasera saremmo rimasti fino alle 23 col fornellino acceso.
Inaspettatamente il sole fa capolino, sbuca dalla cresta rocciosa che ci faceva sentire ancor più isolati e scalda le nostre membra che stanno chiedendo a gran voce "ma che diavolo ci facciamo qui?!". Come nei migliori filmati di alpinismo, ci sediamo sui blocchi che stanno sulla morena, a parlare del più e del meno, come dei gladiatori che aspettano pazienti e rilassati il momento di salvare la pelle contro i leoni.

Il sole se ne va sul più bello, quando son lì ormai nelle braccia di Morfeo, riportandomi alla dura realtà della spesa calorica per scaldare il mio corpo: oggi ho una fame incontenibile. Ci rinfiliamo nel bivacco, una gabbia di Faraday che ho l'impressione che non isoli altrettanto bene il calore quanto l'elettricità: coi soli nostri tre corpi, la temperatura interna ed esterna sarà sempre allineata.

Due chiacchiere, poi non avendo nulla da fare optiamo per riposare un pochetto. Ognuno sul proprio materasso, combinando varie opzioni: coperta da isolante tra corpo e materasso o no, a letto vestiti o no. Giorgio russa già, Cristian per nulla, io inizio a breve. Giunge il momento di svegliarsi, e di sentire che freddo c'è e si è patito: per la notte occorre trovare astuzie.

è ora di metterci all'opera con lo sconosciuto rito dello scioglimento delle nevi. Un rito che generalmente non richiede immediati sacrifici umani, ma solo nel caso che venga mal eseguito può portare a effetti spiacevoli sul corpo stesso di chi vi partecipa. Le candele accese non sono necessarie all'invocazione del grande Dio del quale ci prefiggiamo di calare la sete, ma sono utili per diminuire il consumo delle batterie delle frontali e per rendere l'ambiente più "caldo" (dal punto di vista psicologico, non certo reale).
Il fornello viene acceso col Santo Graal accendino, recuperato in extremis e per botta di culo, la prima neve introdotta nel contenitore all'avanguardia di Cristian, e man mano rabboccata quando il volume del liquido intristisce il volume del solido di origine. Possiamo ora farci un the rigenerante, e una volta liberato il fornello, metterci la gavetta di dimensioni idonee a contenere poi la pasta. Il rito continua, e l'attesa inizia ad assumere connotati sfiancanti.
Finalmente l'acqua bolle, i batteri possono decretarsi tutti morti! Ma sul fondo si osserva una certa quantità di residui..minerali. Pur cercando la neve più pulita, questo è quello che abbiamo trovato, e filtri non ci viene in mente come farne. "Mamma, butta la pasta!"
Mentre lo chef Giorgio mescola con cura la nostra prelibatezza di stasera, esco a dare un'occhiata alla solitudine di questo posto, rimanendo ammaliato da una stellata pazzesca, un buio pesto (non si distinguono i contorni delle montagne) e un silenzio da non credere.
Dopo un'attesa interminabile, finalmente la pietanza sembra sufficientemente morbida per poter essere masticata senza sputare frammenti di dente: si svuota la gavetta in altro contenitore per poter sciogliere l'acqua di cottura della seconda portata. Come bravi fratelli, mangiamo dalla stessa casseruola, con le stesse smorfie di disappunto quando mordiamo i sassolini! Masticare con calma!
Tra una risata e l'altra, e varie cose che stiamo imparando su cosa fare e non fare in queste situazioni, altra lunga attesa e anche la seconda pietanza è pronta, mentre si lotta per tenere viva una candela che non vuole saperne di rimanere accesa. L'accendino non va più, ed è il panico. Come un piccolo utensile può decretare la sconfitta di tre energumeni.

Per fortuna Giorgio ha nello zaino un thermos: possiamo tenere acceso il fornello, sciogliere altra neve per riempire borracce e fare il the per domattina, che un sorso di qualcosa di caldo di certo sarà un ottimo modo per iniziare la giornata. Solo che questa attesa sarà struggente. Tre tornate di neve in scioglimento, interminabili, con le nostre teste che si accasciano sul tavolo, i nostri animi distrutti che pensavano alle 20 di infilarsi sotto le coperte e invece nulla.
Abbiamo neve appena sufficiente per fare tutto, ci si arrabatta per costruire un imbuto, e una volta che le bottiglie sono tutte pronte si può andare a letto! Una frase che a leggerla ci si mette pochi secondi, ma che è durata delle ore. Le astuzie che ci vengono in mente per sopperire al freddo sono poi poche: tante coperte, e guanti che passano dal coprire le mani al coprire i piedi. Provo a mettere il passamontagna per sopperire al freddo che avrò in faccia, ma questo mi soffoca: lo tolgo e amen.

Suona la sveglia! Nemmeno troppo presto, visto che non vogliamo arrivare alla Griesscharte prima che si veda qualcosa: dall'altra parte c'è un ghiacciaio che non sappiamo quanto crepacciato. Ma nonostante siano solo le 4e15, scendere dal letto è dura. Mi aiutano le risate che mi sfociano mentre mi raccontano come sia trascorsa la notte: gli chiedo "ragazzi, avete dormito bene?" "noi no, ma te si, hai russato! Io (Cristian) che ti davo pugni da sotto e lui (Giorgio) che ti diceva <<Andrea basta russare>>".

Il thermos ha fatto il suo dovere, il the è bello caldo e la torta di Chiara finisce presto, seguita dai biscotti di Cristian. Si esce dal bivacco, si abbandona il luogo sicuro per avventurarci in una zona sconosciuta e ancora buia (niente luna), si lascia quello che da "luogo scomodo, freddo e angusto" è diventato in un attimo "il nostro nido".
I pochi passi fatti ieri, uniti alla mia super frontale, si dimostrano utili a individuare il miglior percorso di accesso alla forcella, seguendo quel poco che resta di morena e poi tagliando il pendio, dopo aver messo i ramponi. La neve è molto variabile, da bella dura e sprofondosa, sopratutto in mezzo a blocchi di roccia dove quasi si incastra il piede.

Due frontali a valle ci fanno sentire meno soli, ma son sicuro che non seguiranno i nostri passi, perciò è una compagnia sfuggevole e che dura il tempo di pochi minuti distanti. Ciò che invece ci fa sentire in compagnia di un mostro gigante, sono i blocchi di ghiaccio vivo di fianco ai quali passano i nostri piedi, blocchi staccatisi dal Griesferner, altra seraccata.

Scrutiamo nella notte le poche informazioni visive incamerate ieri pomeriggio, riuscendo a trovare la strada migliore per infilarci verso la forcella. Il GPS sembra non andare, meno male, possiamo e dobbiamo fare senza. La risalita di un pendio nevoso si dimostra un po' ostica per la qualità della neve, che obbliga a cercare i tratti di pietraia scoperta quando ci sono.
Le impronte di una lepre mettono a tacere quel senso dell'esser soli con roccia e ghiaccio che tanto cerchiamo, ma che a volte ci opprime. Lepre che non è affondata come noi in alcuni metri che sono stati davvero da "un passo avanti e un passo indietro".
Con giusto le prime luci, più puntuali di un orologio svizzero, siamo alla Griesscharte ma..con qualche dubbio. Il panorama dall'altra parte è superbo, seppure tremendamente secco! La Grosser Mesule troneggia, e quasi tutte le rughe della parte bassa della montagna sono riempite da colate di ghiaccio. Ci guardiamo un po' intorno, mangiando anche qualcosa.
Ma sarà la forcella giusta? Dalle immagini che avevo non c'è dubbio, dalla logicità della salita nemmeno, ma ora ci sarebbe da scendere un canalino che sembra di almeno 100m (e infatti sono precisi precisi 100m di dislivello) e a 45°. Da vecchio saggio fifone esordisco con "ragazzi, bisogna che ci preoccupiamo di non sbarrarci una eventuale via di ritorno se poi non troviamo le condizioni: quindi da qui scendiamo solo se siamo certi di riuscire a risalire".
Giorgio sale sulla cresta verso est per vedere se non ci sia altro passaggio, che non c'è. Tocca scendere. Qualche passo titubante faccia a valle e poi mi giro faccia a monte, questo cambio di pendenza da + (la salita alla forcella) a – (la discesa) così repentino non mi ha acclimatato. Presto mi giro faccia a valle però! Mi guardo a destra e sinistra, il canale è esilino, mi chiedo in tarda primavera come possa essere scendibile, e verifico che si possa risalire. Chiaramente senza proteggersi, la roccia è marcissima.
Siamo alla base del canalino, e diventa chiaro anche a Cristian ciò che era già chiaro a me fin da casa: la parete ancora non si vede, e quella cresta che vediamo ostacolare il nostro ipotetico itinerario verso est, è da superare. E nel punto più alto pare vedersi un punto debole, dove il ghiacciaio Roteckkees va a mangiarsi la cresta rocciosa. Proviamo, io inizio a essere dubbioso sulla nostra riuscita, ma ancora non dispero.
Giunge quindi l'ora di legarsi, meno male ieri mi sono ricordato di fare il cordino da ghiacciaio. Non sappiamo bene come possa essere questa tavolata bianca che ci si para innanzi, ma vediamo bene che la parte bassa è uniformemente ben cosparsa di buchi, e la parte alta vicino alle rocce presenterà di certo dei bei buchi anche lì: in mezzo chissà. Ci sarà abbastanza neve da tappare le trappole?
Da cartina so che il ghiacciaio vero e proprio parte tra un po', ancora si tratta solo di nevaio, di certo si inizia subito ad affondare fino al ginocchio nella neve. Mmmm non mi piace! Va beh, proviamo oltre, ci tocca traversare nel verso più sbagliato possibile il ghiacciaio Roteckkees (ovvero nel senso non di massima pendenza) ma almeno questo può darci un'idea di quanto possa essersi trasformata la neve visto che certi tratti saranno anche a 45°.
Scorriamo sotto la Rotwand, una barriera rocciosa imponente e dall'aspetto poco rassicurante: non pare per nulla solida, ma in certi tratti ha dei colori fantastici: passa dal marrone scuro, il colore che ti aspetti, a striature di bianco e grigio, sembra un cremino! La fame si fa sentire.. Si fa sentire anche la fatica visto che ci continua a passare da neve dura a sfondoni. Certe croste da rigelo spesse 5 cm mi farebbero tornare indietro a gambe levate se ci fosse più neve.
L'emozione di essermi legato coi nodi a palla al seguito è grande: speravo in un'estate di alta quota che non è mai arrivata a causa del troppo caldo, dello stato dei ghiacciai, del permafrost che non tiene più insieme le rocce (più impegni fuori dalla montagna): pericolo oggettivi ci hanno fatto desistere e ci siamo dedicati alla roccia, non che ci abbia fatto schifo, ma mi mancava. Trovarsi a dicembre su un ghiacciaio per tentare una parete nord, roba da matti.

Ogni passo lo soppeso sperando di non incappare in un crepo, guardo la neve che muoviamo che ruzzola giù verso quelle bocche fameliche, oserei dire senza fondo. Cerco di tenere quota e rimanere abbastanza vicino alle rocce, che mi danno fiducia. Guardo avanti, quella cresta, il nostro ostacolo, il nostro prossimo obiettivo. Guardo anche tutte le colate ghiacciate che scendono dalle montagne alla nostra sinistra, dall'altra parte della valle “bassa”: tutte perfettamente sicure, dato il NON innevamento superiore.
Una prua di roccia scende parecchio verso il basso. Scendo e la aggiriamo, o proviamo a passarci sopra? Sotto ci sarà garantito un bel buco, però siccome gli ultimi metri sono stati piuttosto “affondanti”, non voglio perdere 30m di quota, proviamo a vedere se si passa. Salgo su, qualche metro delicato, guardo giù dall'altra parte: non si va, ma si dai si va, o meglio la, no facciamo qua. Qualche metro delicato di discesa verso una zona ben tappata del grande sorriso profondo che separa roccia e ghiacciaio.
Scendono anche gli altri due, chiaramente Giorgio è quello a cui resta meno neve su cui far presa coi ramponi sulla lavagnetta di roccia che sembra esserci sotto. Poi possiamo proseguire, sempre guardinghi ai cambi di colore della neve, alla nostra meta, quel passettino lassù, e di tanto in tanto altri sguardi alla parte più bassa della cresta in cerca di altri passaggi. Metri di cramponage aggressivo, e metri di ravanamento si alternano come i tre classici colori al semaforo.
Punto un masso che giace solitario in mezzo a ettari bianchi, immagino sia un masso erratico, non certo un cugino degli iceberg, ma mi ispira fiducia, sotto non può esserci un crepo, o non sarebbe rimasto lì per farsi vedere ai nostri occhi. Il passo ormai non è lontano, ciò che resta lontano è sempre il sole, che intuiamo esista, ma non ne abbiamo le prove: ha sì colorato il cielo, dato vigore a cime alle nostre spalle, ma mica è venuto a scaldare i nostri corpi.
Il passo è ormai a un tiro di schioppo, così riesco a vedere che sotto di lui c'è un altra boccuccia famelica che chiama ma alla quale non voglio rispondere. Anche più basso si intuisce esserci un piccolo campo minato sopra il quale non ho nessuna intenzione di passare: mi avvicino alla boccuccia, ora saliamo anche nel verso corretto, quello di massima pendenza. Mi avvicino, mi avvicino, e vedo che la boccuccia è piuttosto lunga e larga: impossibile da saltare, ma pare che tutto a sinistra ci sia passaggio, e pure vecchie impronte.
Le vecchi impronte ci rinvigoriscono l'animo: allora forse si può fare davvero! Non siamo stati dei visionari! Ma ora pensiamo a salire ancora qualche metro: scorro sotto il labbro inferiore fino ad arrivare vicino alle rocce, mi permetto ora di passare dalla parte del labbro superiore, scoprendo che questa faccia è piuttosto sfregiata, abbiamo un'altra bocca sopra! Salgo tutto a sinistra per stargli il più lontano possibile.
Eccoci al passo! Ecco laggiù la parete! Ecco lì la crepacciata da attraversare.. Ecco qui una discesa che pare davvero ardua.. Ecco che tutto scricchiola. Ci ricompattiamo, il sole esce pochi minuti in mezzo alle montagne che ci si parano davanti, ma questo non è sufficiente a schiarirci la via.
La parete è ancora lontana, e ve beh, non è che abbiamo il cronometro ai calcagni, un ghiacciao da attraversare in discesa prima che i ponti si sciolgano, quindi su questo saremmo anche tranquilli. Arriveremo magari a casa a un orario in cui mogli e morose avranno il dente avvelenato, ma va beh.

La parete, la vediamo, ma sarà in condizioni? La pendenza non dovrebbe permettere un gran accumulo di neve, ed è mesi che non nevica. Però il tratto appena attraversato non è che fosse proprio tutto duro. Almeno la terminale sembra passabile, si vede che è stata tappata ed è di colore più tendente al ghiaccio che alla neve. AH già, il colore! La parete non è in ghiaccio, un bel candore sembra indicare che i polpacci non periranno in 300m.
La parete, come arrivarci. Ricordo i crepacci della Barres desEcrins, il crepo saltato sotto al Mont Blanc du Tacul (che ridere quando ci ripenso), ma ragazzi, quella roba laggiù è impressionante! Chiaro che dovremmo starci più alla larga possibile, ma mi sa che è continuo, e se non lo sembra da “sopra”, di certo lo sarà da “sotto”. E ci sono tanti altri fratellini (ma l' “ini” non si ad dice proprio a quelli lì) intorno a lui da schivare. Proprio un bel terreno insidioso.
Ma il ghiacciaio, c'è anche da arrivarci. Saremo 60m sopra di lui, e sotto i nostri piedi la cresta è bella dritta, non è come da questo versante che ci si arriva solo coi piedi, qui c'è da disarrampicare su roccia e neve. Che poi sotto sembra puri che spanci. Potremmo fare una doppia! Già ma su cosa? Sulla roccia marcia? Su un fungo di neve? E se poi la parete non è in condizioni, come torniamo indietro?
Discutiamo brevemente, pochi vocaboli che lasciano trasparire una delusione che arriva, che già c'è. Cristian “bene, quindi se non lo vuol dire nessuno, lo dico io che è il caso che lasciamo stare?”. La frase che tutti avevamo sulle labbra ma che nessuno voleva pronunciare. Eh già, l'avventura finisce qui. Non che grondino lacrime dai nostri sei occhi, siamo consci che è la decisione saggia da prendere: già tornare indietro non è mai la scelta sbagliata, stavolta è proprio quella giusta! In mezzo a quella crepacciata ci finiamo dentro sicuro.
Abbiamo quindi il tempo per fare un po' di foto, iniziare a sospettare che forse non siamo nel posto giusto: Cristian controlla il gps, la traccia, e vede che in effetti siamo troppo alti. Però più in basso la cresta sembrava invalicabile, a meno di scendere davvero tante e troppe centinaia di metri. Ma poco conta, la crepacciata sarebbe rimasta comunque da superare.
Valuto se dare un'occhiata se da qui si riesca a scendere, ma desisto presto perchè andare a rischiare di farsi male non mi sembra il caso. Proviamo quindi a salire la paretina per vedere se sopra essa ci sia un migliore punto di osservazione, ma anche questa è una cagata: una decina di metri di misto, si potrebbe continuare, ma poi c'è da scendere, no no lasciamo perdere.
Zaini di nuovo in spalla, inversione della cordata, e si riparte, abbiamo anche già fatto due conti su un ipotetico orario di arrivo all'auto e non è che abbiamo molto da bighellonare. Ripassiamo nei pressi del sorrisone poco amichevole, e ci rimettiamo sulla nostra traccia che è bella marcata: i punti di neve dura in cui rimanevano solo i segni dei ramponi sono pochissimi, molto più evidente una piccola trincea che attraversa da ovest a est il ghiacciaio.
Numerosi saranno i nostri sguardi alle nostre spalle, in realtà un po' più giù, a capire dove quella maledetta cresta possa essere scollinabile senza eccessive difficoltà. Sì che poi c'è comunque da aspettare che si tappino i buchi. Nei pressi della prua rocciosa dell'andata, il tratto più visibilmente delicato della traversata, optiamo stavolta per passare sotto e amen, un po' di traccia nuova guasta poco le gambe di Giorgio, che ora sta davanti.
Di nuovo alla base del canalino, di nuovo a guardare quella cresta, a ipotizzare, a farfugliare. Via la corda, e fantastico di una piccola sfida personale, salire questo canalino alla svelta: chiedo a Cristian di verificare in base alla quota, quale sarà il dislivello. Piccole soddisfazioni, 100m in 15min. Preferivo però i 300m della parete anche in 3h! Ma prima di partire mi spoglio perchè ci sarà da sudare.
Sudo sudo, e salgo, sognando canali, sognando vaji. Gli altri due mi seguono a ruota, la Grosses Mesules laggiù sorniona pronta a tornare solitaria, senza più nessuno intruso a infastidirla. Sono alla forcella, rivedo la val di Vizze ma da un'angolazione che non avrei voluto rivedere oggi. Bon pace, è stata la scelta giusta.
Di nuovo tutti e tre insieme, di nuovo a guardare quella cresta, ma dove diavolo si passa se non da dove eravamo noi?! Scendiamo va la che qui tira un po' d'aria e a questo punto sogno almeno una bella birra e un bel piatto di qualcosa. Scendiamo senza seguire troppo le nostre impronte che cercavano il “secco”, piuttosto meglio gli accumuli, finche non ti fanno ribaltare a faccia in giù perchè ti ci incastri dentro..
Ma cosa vediamo, altre impronte di persone, che stamani non c'erano! Sono scesa da là, no sono salite, beh andiamo a vedere, magari scopriamo un altro punto d'accesso per la parete. Già perchè se adesso nel canalino sotto la Greisscharte c'è così poca neve, figurati in altri periodi. Altra impennata, altro lavoro per gambe e polmoni, e per qualche decina di metri sopratutto per i polpacci: ecco, qui sì che nella neve restano solo i due buchini delle punte frontali, goduria!
Nuova forcella, in Austria scende più dolce, ma poi verso destra pare esserci un repentino cambio di pendenza. La soluzione principe resta la Greisscharte. Qualche altro metro seguendo le impronte che sembrano aver poi proseguito lungo il confine, non la nostra meta. Ma da qui abbiamo una bella visuale sul Greissferner, altra serracata da seghe montane.
Riscendiamo di nuovo verso la nostra traccia pre-alba, osservando la nuova pin-up del momento, la colata di ghiaccio del Greissferner. Ne arriviamo alla base, dove al buio immaginavamo esser sotto di lei per i vari pezzi che aveva perso: provo a picozzarne uno ma esplode sotto i miei colpi, ghiaccio secco, ghiaccio non buono! Dai su, meglio cavarsi da qui.
A differenza di poche ora fa, ora si cerca di stare il più possibile sulla neve per evitare di rovinare i ramponi, ma correndo il rischio di finire in buchi vuoti tra le rocce, come succede ovviamente. E mentre gli altri due parlano di ciclismo (bah!) mi defilo frettoloso di arrivare al bivacco per cavarmi i ramponi e rivedere l'Hochferner.
Mangiato un boccone, o meglio, finito quasi tutto quello che abbiamo da mangiare, finiamo anche buona parte di ciò che abbiamo da bere: acqua in granita. La meta è la birra ora. Da raggiungersi con fatica però, discesa dalla morena ripida e friabile, poi sentiero il più possibile, avendo già concordante di scendere per il 5 tornante adesso, così vediamo com'è.
Arriviamo al cimitero dove siamo passati anche ieri, ma di sfuggita, e ora osserviamo tutti i nomi e i luoghi di scomparsa. Toccatina, ma rispetto, e si prosegue, bramando il sole che finalmente ci colpisce e ci fa spogliare quasi completamente. Il sentiero scende, ma se scendiamo..addio sole! Stiamo alti, puntiamo a passare sopra quei cespugli, poi puntiamo quell'albero e infine dietro a quel dosso dovremmo vedere qualcosa.
L'idea sembra ottima, ma il prato è infido, sembra il temibile paleo delle Apuane, qui pure ghiacciato in certi tratti, e io infatti faccio uno scivolone come Giorgio ieri sul ghiaccio. Ma sto quinto tornante non arriva, che agonia: già scendere è sempre una palla mortale, oggi che la discesa non è frutta di una salita, è anche deprimente. Ma eccolo il tornante! (detta così, pochi secondi, in quei momenti, svariate decine di minuti).
E al tornante altra lapide con una bella serie di periti sulle pareti e vie limitrofe, chiaramente l'Hochferner è primo classificato. Ci torna in mente la signora di ieri, la gufa, capiamo perchè sia così gufa. Accidenti, c'è una macchina parcheggiata, qualcuno potrebbe essersi divertito più di noi oggi.
Comincia la discesa più pallosa, noiosa, lunga, moralmente estenuante. 50 minuti che sembrano 50 ore, una strada che perde quota più lenta che una pista ciclabile in pianura, un sole che picchia invogliandomi a togliere i pantaloni (sopra sono già a maniche corte), un terreno dura che non è congeniale alle articolazioni.
Quarto tornante, alleluja, lastrone di ghiaccio sul quale vedo Cristian quasi pareggiare il conto con le cadute mie e di Giorgio, ma che si salva in extremis, e poi ancora giù, giù, giù quasi in piano, era meglio fare il sentiero forse, al freddo sì, ma più breve. No aspetta, era pieno di lastre di ghiaccio.. va bene dove siamo.

Finalmente all'auto, finalmente giù lo zaino, ed ecco l'apparecchiata per sistemare tutti i nostri averi. I vestiti in auto sono gelidi, e il sole qui non arriva, chiuso dagli alberi in una morsa impenetrabile, e noi a gelarci! Altro freddo, ricordiamo la notte trascorsa, questo è niente.
Davanti a una birra e panino prima di riprendere l'A22 (che accidenti ai mercatini di Natale, troveremo con code anche oggi) termina una due giorni in cui non abbiamo compiuto salite importanti, ma abbiamo visitato un gran posto, imparato tante cose, sperimentato un bivacco invernale, mangiato sassi, e fatto due buone, vecchie, grasse risate. E pianificato altre salite, of course.

Qui altre foto.
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1 commento:

  1. Bella avventura, quando si fallisce sembra che ne usciamo sconfitti, solo il giorno dopo apprezziamo ciò che abbiamo fatto perchè in ogni modo arricchisce il nostro "bagaglio" di esperienza.Penso che ognuno di noi che frequenta la montagna, almeno una volta si possa essere identificato nella tua relazione. Christian

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