domenica 18 dicembre 2016

Avventura Alpinistica nel cuore del Brenta: Cima Brenta, Scivolo-Traversata-Massari

Quelle giornate che non ti aspetti. Già in fase di decisione su cosa fare e dove andare la lista dei desideri è ampia, e alla fine decido di accontentare Giorgio (eh, uno schifo il posto che mi propone eh!). Ci si aspetta un giro forse un po’ lungo, ma nemmeno troppo; ma di certo che non dovrebbe essere impegnativo, ma molto panoramico. Poi durante pensi ormai che la piega sarà quella, invece se ne prende un’altra. Credi che ormai siano finite le “ostilità”, e invece eccone un’altra.
Ma tutto ciò , porta a una grandissima soddisfazione.

La sveglia è uno dei record, l’1:15. Non le 13:15, proprio l’1:15. Entrambi cotti dal sonno ci alterniamo alla guida, la forma non è quindi il massimo ma si sa che poi quando c’è da pedalare..si pedala. Stellata e cielo limpido, un freddo becco a valle che ci fa temere l’ibernazione più su, e invece..ni. Eccoci a Vallesinella, e i ricordi corrono al Canalone Neri, forse la più grossa tirata che abbia fatto: ma anche quella volta, che giornata spaziale.
Alle 5:30 ci incamminiamo da Vallesinella. Buio pesto, ed è meglio così: al ritorno la discesa sarà resa meno noiosa dal fatto che non l’abbiam già vista poche ore prima. Penso all’orso: se lo troviamo che si fa? Beh, per renderci più voluminosi possiamo metterci uno fianco all’altro, così le nostre frontali simulano due occhi distanti 40-50 cm, e urliamo. Ma si può pensare certa roba?
Al Rifugio Casinei arrivo sperando che la fontana sia aperta, siccome ho solo 1,5l con me nello zaino e temo siano pochi (e infatti lo saranno). Ma giustamente tutto chiuso, se no scoppiano le tubature, pistola. Ripartiamo. Neve zero, ‘na tristezza. Lungo traverso e finalmente qualcosa di bianco da pestare appare, ma davvero poca roba. Usciamo dal bosco, ombre enormi davanti a noi e luci verso valle.
Avevo il timore di un avvicinamento lungo, e invece in meno di 2h arriveremo al Rifugio Tuckett, dopo l’impennatina finale di pendenza, finalmente pestando una neve che comunque è poca. Ma questo poco ci consente anche di poter salire itinerari che se no sarebbero primaverili.
Pausa ristoratrice e per calzare i ramponi, e dal locale invernale escono quattro ragazzi con le nostre stesse intenzioni: Scivolo Nord, traversata, Canale di Massari. Loro non la faranno, noi sì, ma in discesa ci ritroveremo sul sentiero sotto il Casinei a far due chiacchiere.
Bocca di Tuckett la davanti, il massiccio di Cima Brenta e Cima Massari, e noi piccini piccini. Le prima luci sul Gruppo dell’Adamello Presanella e su quello dell’Ortles Cevedale: un’alba stupenda che ci fa fare numerose soste per voltarci dietro e ammirarla. Uno di quegli spettacoli che potrebbe essere una delle risposte alla domanda che molti ci pongono “ma perché lo fai?”.
Esci dalla traccia e si sprofonda da matti. Accidenti, speriamo bene. Va beh che dalle peste sul sentiero, dovrebbero essere saliti in tanti nei giorni passati, ma oggi siamo solo noi sei?! Lo scivolo ancora non si vede, il seracco si scopre alla nostra vista invece: sogno proibito la sua cascata. E la luna che staziona sopra il complesso delle Torri di Kiene: quante rughe bianche che salgono verso l’alto!
Pensiamo alla nostra di oggi che è meglio. La Bocca di Tuckett si avvicna, lo Scivolo Nord si mostra e io lo pensavo diverso: più simile allo Scivolo Nord delle Presanella, e invece questo è molto più incassato (a tratti) e sinuoso. Beh, ambiente top.
Lasciamo il miraggio di un sole che alla Bocca di Tuckett ci scalderebbe (io oggi soffrirò il piede che mi costringerà a parecchie pausette in salita, e Giorgio che non trova più le moffole soffrirà le mani), attraversiamo una ghiacciaio che ancora ruggisce con un bel buchetto aperto, e via su verso l’alto. Ma ancora coi bastoncini, le picche possono aspettare.
I polpacci iniziano a godere, la mente di più. Sempre più in alto, sempre più lontani dalla “civiltà”, dentro le sagge rughe della montagna, al cospetto di paretoni di dolomia, facendo il solletico a un versante nord con tutte le cime lontane a fare da spettatrici disinteressate a questi minuscoli e insignificanti bambini al parco giochi.
Una pausa verso metà per mangiare qualcosa, e si coglie l’occasione per tirare fuori i ferri. Riparto davanti perché stare fermo sento troppo freddo, e mi ritrovo così in questo circolo, in questa conca che tanto m’abbraccia ma tanto resta distante da me: finchè non riuscirò a raggiungere quel colletto di uscita dove il sole brillerà.
Giorgio segue, anche i quattro ragazzi sotto. Noto una bella linea di uscita a destra, ma non voglio esagerare: invece forse sarebbe stato meglio (ma chissà poi la cresta rocciosa per arrivare in cima come l’avremmo trovata). Ultimi metri tra pareti sempre più vicine, sempre più chiuse. Dai che la cima sarà lì, è fatta. Lo scivolo l’ho trovato molto più facile di come me l’aspettavo.
Ma. Il colletto è la sella di un cavallo: piccolo! Non ci si sta in due temo. E per prendere la cresta, mamma mia che parete rocciosa verticale che c’è! Ma siam sicuri sia di qua.. Questo proprio non me l’aspettavo. Provo a partire perché se arrivano gli altri qui si sta stretti. Provo, e dopo un po’ di tentativi e sospriri lunghi riesco, ma che fatica.
Solo ora noto sosta messa sepolta (sotto c’era un cementato anche), direi d’obbligo per scendere calandosi da qui. E non è finita. Neve poco consistente e delle cenge detritiche dove pare di giocare a Shangai, ma con la sensazione che qualsiasi mossa farai.. perderai. Perderanno anche quelli sotto se cadono sassi però. Passi lunghi 2m per evitare tutto ciò, e finalmente neve dura a 45°.
Oh dai che la cima sarà.. Niet. Cresta affilata ed esposta: bellissimo eh, alpinisticamente doc, io però un pezzo me lo faccio a cavalcioni su essa che se no mi caco addosso. E anche il mio amico dietro di me lo vedo bello delicato e sensibile alla gravità.
Finalmente ecco il panettone di vetta, con la sua croce e il suo zucchero a velo a coprirlo anche se in modo poco abbondante. E il panorama spazia a 360°.
Scivolo facile, ma uscita tutt’altro! E infatti ho l’impressione che se non siamo gli unici nell’ultimo periodo ad aver proseguito per la vetta, poco ci manca. 10e10, chissà la mia amica come se la sta cavando. Noi ci godiamo il cibo, il Mars, l’acqua (già da centellinare), il sole (freschino però), e tutto ciò che l’occhio può arrivare a vedere.
A proposito di vedere, vedo che di certo nessuno ha proseguito per la traversata a Cima Brenta Occidentale: il vento non può aver cancellato eventuali tracce così ovunque. Mi sposto su una cresta verso sud est per vedere un po’ la situazione, e titubo parecchio. Non pare proprio agevole aggirare quei torrioni e risalire quella parete rocciosa da quel passo.
Certo che tornare giù da dove siamo venuti.. Ma ci sono le doppie (anche un cordino più su della sosta). Di là c’è l’ignoto. L’avventura. E io c’ho paura, lo ammetto. Andiamo non andiamo, Giorgio mi convince a provare, alla prima grossa difficoltà torniamo indietro. E devo ringraziarlo il mio amico, perché “provandoci” ci siamo riusciti, e non è stato banale ne tecnicamente, ne fisicamente, ne mentalmente.
La direzione per Cima Brenta Occidentale è facile: quando non si può stare in cresta, si traversa sul pendio a sinistra. Non che sia difficile, ma se sbagli ti si ripesca parecchi metri più giù. L’ultimo torrione consiglia invece di scendere sul plateau che alimenta il seracco, ed infine eccoci al colletto che vedevo prima. Già mi pare tanto essere arrivati qui, ma i passaggi che non si vedevano invece c’erano.
Qui invece tale e quale a ciò che vedevo da lontano: metri di roccia verticale. Guarda dritto, a sinistra, a destra. Mmmm. Provo a destra, all’ombra, senza guanti per poter avere un po’ di sensibilità. Anche qui non è facile, quasi verticale e poco o per nulla ammanigliato. E non sono mica in tenuta da falesia. Ma anche questa viene superata, per poi ritrovare una buona neve fino al nuovo panettone che ha una testa molto più ampia.
Talmente ampia che: dove cavolo si va adesso?! E i dubbi tornano. Nessuna impronte, tutto vergine. Gironzolando sul campo da calcio, a destra e sinistra, seguendo quelle che paiono vecchie impronte ma probabilmente sono solo giochi di vento.. no di qua no. Prova di la allora, no. Ah ecco forse una cresta che può farci scendere..sì ma verso dove? Mi pare che finiamo tanto lontani dalla nostra meta. Eppure non c’è molta alternativa.
Tanta, tanta disarrampicata. Con dei bei passi di III più iva secondo me, cresta sposta e rocce appoggiate coperte di neve. Anche qui non si può sbagliare, ma manco legarsi visto che poi della gran sicura non la si può fare. Sembra eterna questa cresta, ci mette a dura prova anche dal punto di vista psicologico visto che non siamo sicuri che si stia andando nella direzione corretta.
Io continuo a guardare se ci sia qualche canale da prendere per scendere, ma tutto troppo ripido e stretto. Un’altra parete a scendere da superare, dove non lo vedo, ma vedrà poi Giorgio che c’erano anche dei chiodi. Passi delicati, speriamo regga tutto, le picche in mezzo alle balle, e forse finalmente laggiu scorgo segni di passaggi: forse c’è l’imbocco del Canale Massari!
Anche questa cresta, non me l’aspettavo. PD o AD un paio di balle. Ma non è mica finita, tocca scendere su neve e poi traversare: neve buona eh, ma qualche lastrone mi fa scorrere qualche goccia di sudore freddo lungo la schiena, “Gio, stiamo distanti”. Vacca boia che traversata selvaggia!

Nonostante la regolarità che dimostravano da lontano, quelle che mi parevano vecchie peste sono invece tracce di sassi rotolati giù. Bastardi, brutti giochetti verso noi alpinisti.. Insomma, vaghiamo ancora alla ricerca della via. Però dai, il Canale Massari deve essere questo: bello largo, anche se mi sembra abbiam vagato parecchio e il rifugio non lo vedo.
Bene così, sospirone, bevutina (ma ina, perché l’acqua scarseggia), mangiatina. Siamo su un bel balcone in mezzo al Brenta, ma un balcone che non è mica all’ultimo piano, ben più giù: o almeno così spero, in realtà l’altimetro di Giorgio mi scoraggia alquanto su quanto poco dislivello abbiamo perso.. Ecco, allora andiamo giù alla svelta!
Al sole si stava bene, torniamo all’ombra dei giganti di roccia adesso, in un bel vallone largo e poco ripido che da sciare deve essere una goduria. Solo che, ricordo che dal rifugio si vedeva che la base di questo canalone era interrotta plurime volte da fasce rocciose. Vedremo, ormai non si torna indietro.
La discesa dovrebbe essere esente o quasi da fatica: questo lo dice chi di discesa ne fa poca. Affondando fino al ginocchio nella neve poi, il lavoro compiuto per ritirare fuori la gamba dallo sprofondamento non è poco. E qui, si affonda spesso. Ma che ambiente grandioso.
Candelotti di ghiaccio sulle pareti a lato, e ora acqua solida anche da pestare: le rocce affiorano, le caviglie temono le trappole, e un capitombolo in avanti mi fa temere. Comincia il nuovo periplo alla ricerca della via! Girovaga in mezzo ai dossi nevosi che identificano la presenza della roccia e del ghiaccio, ma i dossi diventano sempre più rocciosi e meno nevosi. E più numerosi..
Finchè non tocca ricominciare a disarrampicare. Ecco, non me l’aspettavo, non è finita. In realtà stavolta lo speravo, perché già da stamani temevo questo rischio. Solo che a un certo punto la verticalità diventa un po’ troppa: fortuna scorgo a 10m da noi (in completo traverso) un cordino per una calata. Oggi la corda la usiamo, non si è fatta solo un giro nello zaino!
Prima doppia, scende Giorgio che poi va alla ricerca del passaggio in mezzo alle fasce rocciose. Recupero la corda, la faccio su, metto via l’attrezzatura, e lo vedo che ancora cerco: bon, ritira fuori tutto, rismonta la corda che su questa clessidra ci mettiamo un cordino e facciamo la seconda doppia.
Ora pare che il bianco domini sul marrone, dai che magari ce la facciamo. Ora si vede pure il rifugio! Il mio amico va avanti, non so come mai ma dal suo modo di procedere mi pare di capire che è cottarello.. Beh, comprensibile, ci sta impegnando più di quello che si credeva. E non è finita..
Un mare candido di bianco lascia di nuovo posto a dossi, rocce, ghiaccio, e tutto sempre più ripido. Un nuovo labirinto nel quale muoversi alla ricerca della strada migliore, che probabilmente era traversando tutto alla nostra destra, ma ormai siamo qui. Siamo qui, siamo li, andiamo la, torniamo un po’ su. Sembra fatta, sembra.
Un bel salto ci separa da quello che pare essere invece un dolce pendio che può portarci sotto al rifugio. E va bene, facciamo un’altra doppia, lasciamo giù dei chiodi, come dice il saggio “quando c’è da portare a casa la pelle, tutto è da abbandono”. Troviamo invece un clessidrone orizzontale su cui fare la terza e ultima doppia della giornata.
E sarà ben finita ora! Si ride e si scherza, si mangiano le ultime cose rimaste e ritirano fuori i bastoncini: si osserva e ammira il nostro paradiso-purgatorio di oggi. Dal rifugio e quindi dal tranquillo sentiero di discesa però, ci separa un accumulo di pietre semicoperte di neve, che rappresentano l’ultima “trappola” della giornata: se una gamba ti finisce in un buco, son dolori.
Alleluja, fuori dalla vallettina sotto al rifugio, ora non ci resta che raggiungere il sentiero che stanno percorrendo i ragazzi che erano dietro di noi sulla salita e che poi sono ridiscesi dallo scivolo. Spogliarci, sramponarci, e distendere i nervi con qualche battuta e risata. Ma che giro!!!
Bellissima giornata, di quelle che non ti aspetti. Un meteo ottimo che ci ha permesso di godere appieno del panorama, condizioni buone della neve per una veloce salita, una discesa tutta da “fare” che ci fa quasi sentire alpinisti seri. Una giornata da incorniciare, il Brenta è sempre severo.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui relazione.
Qui e qui traccia gps.

1 commento:

  1. Bellissimo giro, complimenti, oltre la difficoltà dell'intero percorso c'è da considerare tutto il lungo tragitto fatto con l'auto che non è da poco !!

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