sabato 14 gennaio 2017

Dove il ghiaccio non finisce mai: Paperoga

“Non c’è due senza tre” dicono, ma siamo piuttosto intenzionati a smentire nel modo migliore questo detto: e ci riusciremo! Dopo la Presanella e la Busazza, io e Giorgio siamo piuttosto carichi, determinati, ma comunque col buon vecchio “l’obiettivo della giornata è poter tornare in montagna anche altre volte dopo questa”.
Intanto la nevicata e vento di ieri ci hanno già cambiato drasticamente i piani: giorni che si pensa a una meta precisa, e al venerdì sera ci tocca rimescolare le carte finchè alle 23 una decisione viene presa. Si va nel Civetta, nel budello dove nascono Paperoga e Hypercoldai: direi che punteremo alla più facile delle due, condizioni e affollamento permettendo.
Le condizioni non molto, ma l’affollamento preoccupa tanto: cascate conosciute, reportizzate, rinomate, e (a conoscenza di web) tra quelle più in forma. E invece saremo noi, una cordata su Hypercoldai e un’altra che attaccherà tardi Paperoga ma ci raggiungerà veramente presto: Patrizio ha deciso di farla in semiconserva..
Si parte all’orario che i meno nottambuli vanno a letto, si scende dal Passo di San Pellegrino notando la palese differenza tra la gestione Trentino e quella Veneto della pulizia delle strade, un cappuccino al bar e poi mentre ancora stiamo guidandoci abbuffiamo di crostatine. Si risale verso Pian di Pezze ancora a buio, strada ripida commisurata alla neve al suolo. Neve che non ci fa vedere il parcheggio e salire oltre.
Ci vestiamo con la Nord del Civetta in faccia, a sbeffeggiare queste due scarse figure che tentano di accaparrarsi il titolo di “alpinisti”. I lavoratori agli impianti iniziano la loro giornata, e noi tentiamo di iniziare la nostra chiedendo qualche indicazione agli stessi. Su per le piste, osservando la mole del Civetta che proietta la sua ombra verso un Sella offuscato.
Cammina cammina, ecco il ghiaccio la in fondo in quel budello! Ci han consigliato di non salire diretti nel conoide detritico, ma di proseguire e di entrarci tardi. Tardi per tardi, ma qui si continua ad avanzare, siamo ben oltre il ghiaccio e alla nostra destra una fitta selva di mughi pare invalicabile: ma visto tutti i frequentatori della cascata, deve esserci un passaggio! Ormai in vista del Pelmo giallino sole, e dei primi sciatori che ci sfrecciano a fianco, entriamo di prepotenza nella selva, impazienti di spiccozzare.
Per fortuna la selva non è come quella di Santo Stefano, presto troviamo una traccia e la seguiamo fin sotto un paretone: meglio mettere il casco. No, ma non si vede che voglia ha Giorgio, la davanti senza aspettarmi! In realtà il freddo che c’è sconsiglia di fermarsi ad aspettare il compagno, che comunque arriverà.
Il terreno sempre più ripido e instabile, una spolverata di neve giusto per dire “ehi, io bianca esisto ancora!”, e dei passi che vanno più indietro che avanti. Vedo il mio amico perplesso: è sulla “morena” del canale detritico, e per calarsi in esso non pare ci sia una soluzione easy. Una provvidenziale corda rende la calata meno preoccupante, ma c’è da arrivarci. Canale ancor più instabile, e finalmente siamo davanti all’acqua solida.
Vacca boia, di ghiaccio ce ne è! Ora resta solo da scalarlo, se ne siamo in grado. Salirlo, e scenderlo. Mentre ci prepariamo ci raggiunge una guida alpina (e che guida alpina, Hermann Comploj!) con cliente (forse cliente, magari amico, visto che parlano una guida a noi incomprensibile) che per fortuna sono diretti a Hypercoldai, lasciandoci soli sulla nostra. Sbuffi di vento mi consigliano di mettere la giacca di on-ice.
Chi va chi non va? Dai Giorgio decidi tu, “e va bene parto io, ho capito che vuoi farti tu quel muretto lassu”, vacca bestia se mi conosce bene il ragazzo. Parte, tiro non difficile ma rompere il ghiaccio è sempre un momento catartico: quando poi il ghiaccio si rompe davvero, gli spindrift sono leggeri ma ampi e “voluminosi”, e la corda nuova si blocca spesso.. tutto è relativo.
Lo raggiungo in sosta estasiato dalla bellezza dell’ambiente: ti guardi davanti e tutto è selvaggio, dietro ci sono le piste, ma le ignori. Scambio dei ruoli, il muretto del secondo tiro è meno dritto di quello che sembrava, e nascoste sotto tacchettine di neve ci sono gli agganci di chi ci ha preceduto nei giorni scorsi. Ma che bello ma che bello. Vedo la sosta, ma la corda è quasi finita: Giorgio avanza qualche metro dai! E con qualche passo di misto, raggiungo il cordone.
Gradi non estremi, ma l’appagamento viene dall’ambiente: grandioso. Sul terzo tiro si presenta un muretto ben più arduo del mio, così Giorgio te la godi e ti rimangi quello che hai detto alla partenza. Lo vedo infatti mettere 3 viti in 6m, segno che ha voglia di sentirsi protetto. Vacca che freddo: i ghiaccioli sul pizzetto ci sono, ecco. Superato il muretto lo vedo che sta per prendere un altro, quando invece sulla destra una bella e comoda rampa semplificherebbe la vita: occhio a che strada scegli. Bravo, vai a destra.
Bon, dalla guida di Cappellari la cascata era data 160m, direi li abbiamo fatti. Ma.. di ghiaccio davanti a noi ce ne è ancora tanto, e magari il primo tiro in condizioni normali si aggira su neve sulla destra. Abbiamo fame, proviamo a salire ancora. E le croste di L2 e L3 lasciano un po’ di posto a del bel burro azzurro, un tratto di simil goulotte, e poi qualche crosta con sotto l’acqua: ocio! Ma il divertimento è davvero tanto.
Anche Giorgio se la gode, mentre sentiamo le voci sbraitanti dei toscani salire. Che si fa che non si fa: a metà L4 una sosta c’era, dai Giorgio prova a salire 20m e vedere che si possa metter giù qualcosa sulle rocce, uno spuntone per calarsi dopo, che di abbandonare materiale oggi non ne ho voglia. Non c’è nulla, e allora sali e spicozziamo come se non ci fosse un domani! Patrizio mi raggiunge mentre sento il mio amico che mi dice che sosta di fianco a un Abalakov.
Lo raggiungo alla base di un muro che.. oh però. Avevo intenzione di dire “dai basta, ora scendiamo”, ma ora che ho iniziato a ballare.. non voglio smettere! Solo che.. oh però, se sotto il 3+ non l’ho mai visto, qui lo sento tutto! A me pare il tratto più duro di oggi, e infatti nell’enfasi mi cade pure una vite. Mettici gli spindrift in faccia, e il gioco (cattivo) è fatto. Per fortuna poi spiana e si può salire più tranquilli, non fosse per le croste.
Giorgio (sanguinante sul naso) mi raggiunge che ormai i tre toscani sono già qualche metro sopra di me in sosta. Un’occhiata all’orario, un veloce calcolo (6 tiri da 60m fatti, 360 direi ci possano bastare), e nonostante il ghiaccio prosegua, la parete faccia un bel boomerang che cela la vista del futuro rendendola più “chissà cosa c’è lassu, wow”, concordiamo che è ora di scendere.
Raggiungiamo i toscani per sfruttare il loro abalakov e dargli un nostro cordino per attrezzare quello che manca (in realtà ne attrezzeranno altri due, visto che una sosta è irraggiungibile e dall’aspetto non tanto sano), iniziando il valzer delle doppie, tante quante i tiri. Speriamo solo non si ghiaccino le corde e si blocchino..
Si scambia due chiacchiere a ogni sosta con Patrizio, il Piovra (che fa vie in Patagonia) e il Fabbro, che guarda te c’abbiamo un amico in comune, e allora via a chiacchiere disparate dove si alternano che avete fatto ieri, la conserva, il Pizzo d’Uccello, la Oppio, la Oppio salita in 2h30 dal Piovra. E sticazzi no?!
L’imbrunire avanza, non credevo fosse così tardi! Mi sa che salta l’ApresSki con le squinzie delle piste: potevamo entrare sfoggiando la ferraglia e intimando al barista di servirci una birra brandendo le piccozze, seminando cuori infranti tra le sciatrici, e invece.. Ci si mangia il Mars mentre ci si riassetta per la discesa.
Discesa molto più agevole di quello che temevo: il terreno scivoloso, sfatto, che non stava in piedi, dell’andata pare un lontano ricordo. Tranne che per qualche tratto dove in effetti il culo a terra è quasi a terra. Anche la seva di mughi attraversata si rivela inutile: poco più su c’era il passaggio (e grazie, Comploi lo sa, noi no!).
Arriviamo all’auto con lo stesso ambiente della partenza: la nord del Civetta buia che ci deride e poche anime in giro. Niente caos degli sciatori che farebbe perdere fascino alla giornata di oggi passata nelle viscere ghiacciate delle Dolomiti. Sì qualche gatto delle nevi che illumina il poco bianco in giro, ma poca roba. Una principessa che non si è tolta il trucco.
Il cambio abiti (si conservano solo le mutande) ci congela a dovere, i panini del buon Giorgio ci aprono una voragine di fame e sete che non vediamo l’ora di saziare (Val di Fiemme, arriviamo, facci trovare qualcosa!). La fame di ghiaccio invece è sazia! No, non è vero, ne voglio ancora, ne vogliamo ancora. Va beh, stasera mi sfogo a ballare.

Qui altre foto.
Qui report e relazione.

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