sabato 15 giugno 2013

Una ciambella col buco: Canalone Neri

È tanto che non mi capitava di commuovermi su una cima. Oggi è uno di quei giorni. Una gran faticata, una tirata senza soste sonno, tutto d’un fiato, in buona compagnia, una bella giornata, un bell’itinerario, panorami mozzafiato, neve a metà giugno. Semplicemente superbo.
L’allenamento per il grande progetto prevede che ci sia una giornata “Andreata”: una salita di contenute difficoltà tecniche, ma lunga ed estenuante, per mettere alla prova fisico e mente. Avevamo messo in calendario lo Scivolo Nord della Presanella, poi sfumato per troppa neve e maltempo ma da me e Riccardo e Lorenzo salito settimana scorsa, e il canalone Neri. Che comunque al di là dell’allenamento, stavano nella mia to do list da tempo.
Adesso è tempo di agire, Canalone Neri sia. Ci spaventa un po’ lo zero termico a 4000 metri, ma bisogna andare. Tutti carichi, sei baldi speranzosi verso un sogno. Zaino pronto dal giovedì mattina, è stato imposto di minimizzare il carico di roba per poter entrare in sei dentro alla multipla. Si gioca a tetris nel bagagliaio.
Finisco lavoro, il tempo di fare una doccia veloce, ingurgitare un panino e Riccardo passa a pendermi. Al casello ci si trova con Gianluca, Nicola e Roberto, ad Affi prendiamo su anche Mirko, e diamo sfogo alla fame sulla pizza e pane fatti in casa dello chef Nicola, e la birra artigianale di Roberto. Iniziamo quindi col piacere dell’abbuffata sulla panchina. Proseguiamo con la colazione in autogrill alle 21 di sera, doveroso passaggio portafortuna.
Ma avvicinandoci a Madonna di Campiglio..le nubi! Il cielo non è sereno! Perché?! Beh, in realtà le previsioni davano pioggia debole, ma nessuno se ne era curato, e chi se ne era curato si era guardato bene dal rendere partecipi gli altri: tanto saremmo partiti comunque. Eccoci al parcheggio, ci si prepara alla gran nottata/giornata, ci mettiamo in marcia che è ancora venerdì. E che caldo fa.
Pochi passi e siamo già grondanti di sudore, ci si sveste per rimanere solo con la maglietta. Penso alle condizioni della neve della settimana scorsa trovate in Presanella, alla neve trovata successivamente, e tremo. Sopra di noi le nubi, non si vedono cime ne stelle. Al Casinel ci ristoriamo con l’acqua non potabile della fontana, e io mi faccio un bel giro in altalena: col peso dello zaino divento un pendolo senza attrito, continuo a oscillare senza fermarmi. E il pensiero che corre alle luci di Madonna di Campiglio laggiù è unanime: “pensa a quanti staranno trombando, e noi qua”.
La salita si impenna, il polsino asciuga il sudore ma presto si impregna anche lui. Uno scorpione sul sentiero super incazzato ci mostra come la montagna in tutte le sue sfaccettature ci combatta. Poi la salita diventa un saliscendi, un po’ di neve appare sul tracciato, dopo ne pesteremo ben di più. Un divertente passaggio in una strettoia di roccia, con all’interno una cresta di neve ghiacciata e Roberto che dice “beh, per chi ha fatto i Lyskamm sarà una passeggiata questa crestina!”.
Il tempo passa, ma non ce ne accorgiamo, immersi nel buio illuminato solo dalle nostre scarse frontali sembra di essere chissà dove lontano dalla civiltà. A differenza della presa nella siamo solo noi, e la cosa un po’ mi preoccupa. Poi, inizia a piovere. Una pioggerella fine fine, che non bagna tanto, ma rompe le palle, presagio di qualcosa di peggio? Speriamo di no.
Arriviamo al Brentei, chiuso, non riusciamo a trovare il locale invernale (scopriremo che è un po’ distante dal sentiero) e ci rifugiamo al coperto della tettoia della funicolare per il trasporto di materiale. C’è chi vorrebbe fermarsi a dormire, in fondo non si vede una cippa, siamo poco più bassi delle nubi, e ciò non ci concede di capire dove andare a cercare l’attacco del canale. Mangiamo, beviamo e ci vestiamo, ed eccolo che appare come un miraggio nel deserto, fugace schiarita delle nuvole e Gianluca dice “no no, andiamo, è già tardi”.
In marcia, ma le nubi son tornate, seguiamo il sentiero per il Passo Brenta, ma lo seguiamo troppo. Ci affidiamo alla tecnologia del GPS, per scoprire poi che stiamo seguendo la traccia della normale. Fasi concitate di ricerca del sentiero o della traccia o di qualsiasi segno che possa indicare la via. Dopo aver percorso un bel pezzo di sentiero capiamo che siamo troppo avanti, bisogna scendere nella valle che giace sotto di noi e risalire. Sì, ma prima bisogna tornare indietro, perché sotto di noi sembra un po’ troppo ripido.
Io e Riccardo indietreggiamo decisi, via di corsa alla ricerca di una possibile discesa per svallare. Ma gli altri non arrivano, aspettiamo, torniamo a salire verso il passo e li troviamo laggiù ormai scesi che cercano come risalire sull’altro versante. Via giù anche noi. Maledette nubi. Le frontali impazzite scansionano rocce e neve, alla ricerca di un passaggio agevole per arrivare all’attacco.
Arriviamo anche io e Riccardo, calziamo i ramponi perché ormai la neve diventa molto presente, e si vede e intuisce che le pendenze aumentano. Parto deciso, finalmente eccitato al pensiero dei polpacci che mordono, salgo e cerco, le nuvole non concedono una visuale sopra le nostre teste da permettere di capire dove andare, e le tracce sono troppo vecchie e mischiano con le pozze create dalle temperature alte diurne.
Arrivo a un grosso masso, ci salgo sopra per cercare di capire qualcosa, ma invano. Arrivano gli altri, cerco un po’ a destra e sinistra di vedere qualcosa ma niente. Ed è sempre buio. Nicola propone di fermarsi li a dormire una mezz'oretta per aspettare che rischiari, Mirko mi dice che Riccardo sta già dormendo, Gianluca e Roberto partono alla ricerca forsennata. Alla fine il canale deve essere qui, vedo una bella distesa di neve che sembra continuare verso l’alto.
Vado a cerca Gianluca e Roberto, troppo convinti che il canale sia li mi dicono di chiamare gli altri. E così è, saliamo un po’ e le nubi se ne vanno, lasciandoci ammirare il canalone. È ora di fare sul serio.
Saliamo un po’ scomposti, le cordate previste sono io con Nicola e Mirko, Gianluca con Riccardo e Roberto. Ma le pendenze iniziale non indicano necessità di legarsi, e quindi partiamo in slego sullo slavinamento alla base. Il cielo inizia a prendere luce, nessuna traccia delle nuvole che ci han fatto perdere un buon 45minuti alla ricerca dell’attacco, cielo sereno e condizioni delle neve discrete. Sprofondo un po’ ogni tanto, ma riesco a trovare qualcosa di solido su cui spingere. O meglio, sprofondando si crea questo solido.
Infervorato salgo davanti a tutti, le gambe stanno bene, anche se so che il canale è lunghetto, ma so anche che è meglio sbrigarsi perché appena il sole sorgerà le pareti del Crozzon si scioglieranno: e parlo sia di neve che di roccia. Cerco comunque la miglior via di salita, dove possa trovare la neve più dura, visto che qui non ci sono i gradini come sulla Presanella, ma è tutto da tracciare. Tutto.
Felici come delle pasque perché ci troviamo nella nostra sala giochi, allegramente cerchiamo il cielo, ma ci troviamo sempre incassati tra due paretoni di roccia. Si entra nella rigola centrale del canale, offre la neve migliore da pestare, anche se è l’imbuto di tutto ciò che viene giù dalla montagna. Una picca sola è sufficiente, ma l’altra mano non sta a guardare e si appoggia alla neve.
Ma che bello ma che bello. Il ginocchio è lassù che ci fissa, sarà quello il tratto chiave da superare. Siamo ancora slegati, d’altronde anche Nicola dice “se dobbiamo legarci per poi non mettere giù niente, meglio stare slegati”. Niente mi ferma, salgo con qualche pausa per riposare un po’, chi sta sotto mi segue in fila, un po’ agevolato dai gradini presenti.
La luce rischiara sempre più, finché scorgiamo la valle vediamo un tappeto di nubi sopra la Val Rendena. E ci avviciniamo al ginocchio. A sinistra si passa, ma c’è una rigola che indica che li scarica tutto, e poco sopra si vede distintamente una cascata di acqua che non capisco se faccia diventare la rigola un ruscello o meno. Ma anche a destra c’è sufficiente neve per passare, e decidiamo di andare di li. Uscire dalla rigola per spostarsi a destra, obbliga a salire un murettino stando un po’ delicato, ma la neve è buona. Passo di sopra e ricomincio a salire.
Qui la pendenza è ben più marcata, 60° direi ci stiano tutti, e la neve non è troppo dura, ma sceso 40cm si fa fondo. Forza e coraggio. Mi si chiede di fermarsi a mangiare qualcosa, son d’accordo, ma non qui che pigliamo ciò che il Crozzon non vuole più attaccato a lui, meglio un po’ più su per superare il ginocchio e tornare al centro del canale. Ma questo tratto è ben più lungo di quello che sembrava! Riccardo mi segue, gli altri restano un po’ indietro. Supero questo tratto, mi sposto a sinistra e traverso un po’ per spostarmi dalla parete. Non è confortevole strale sotto.
Beh, bel traverso urca! Aspetto Riccardo, non vedo gli altri che sono rimasti dietro la costola nevosa. In realtà si stanno legando anche, ma dopo la pausa ristoratrice, ho troppo freddo per aspettarli: i pantaloni sono belli bagnati per l’appoggio continuo contro la neve, e le mani pure. Si riparte per cercare la rigola centrale che deve avere una neve ben più compatta, traverso salendo un pochino e vedo che gli altri sotto invece stanno traversando salendo molto meno.
Già da prima del ginocchio sapevo aver vinto una birra da ciascuno di loro per la tracciatura del canale fatto, Riccardo più sotto disse “ti facciamo andare a casa ubriaco”. Ora la neve si alterna parecchio, ma la cosa più carina è che la rigola in certi tratti si stringe a tal punto da passare appena appena, e in altri tratti è profonda a tal punto da essere totalmente dentro. In altri tratti, entrambe le cose. E inizia a scaricare neve, ghiaccio e ghiaino. Meglio sbrigarsi.
Ma le gambe iniziano a farsi sentire, normale. Sono anche un po' di ore che il mio fisico non ha il tempo di recuperare energie con una buona vecchia dormita! Inizio a contare. È la tattica che ho sentito dire a Moro. Già, ma lui la adotta a 8mila metri. Conto 30 passi, 40 quando sono bravo, poi pausa. E così fino alla fine. Sì perché l'uscita, il cielo, sembrano a un tiro di schioppo, ma ce ne è ancora. Questi 900 metri di canale ci sono tutti.
Gli ultimi metri hanno la neve peggiore, come era logico aspettarsi, ma ormai la lacrimuccia è lì pronta a uscire. Eccomi fuori dal canale e praticamente già in cima. Sì perché la caratteristica di Cima Tosa è quella di essere un pianoro sommitale, che con la neve è piallato a mo di balcone sui monti intorno. E come non mi succedeva da un po' di tempo, mi commuovo.
Panorami mozzafiato, un ambiente che sembra di essere ancora a marzo, la solitudine dell'ambiente, una soddisfazione per la salita compiuta, l'attesa per quelle che verranno, la compagnia, la montagna gigante e noi piccoli. Video di vetta.
Foto d'obbligo, ma tante. E fame e sete. Diamo sfogo alla gioia anche così, aspettando gli altri quattro, che ben presto escono anche loro dal canale. Anche loro belli felici: li aspettiamo sulla cima, si inizia a stringere le mani e battere un cinque, anche se preferirei aspettare di esser giù. Mirko è un po' cotto, si sdraia sullo zaino a godersi il sole, come non capirlo. Scrocco un po' d'acqua a Nicola, il mio litro e mezzo è quasi ancora intatto, ma mi tira il culo tirarlo fuori dallo zaino, e così alleggerisco anche le spalle di Nicola, no?!
Cazzeggiamo abbondanemente (Riccardo che si fa le foto alla Messner), inizio ad aver voglia di scendere, anche perché mi sto addormentando in piedi. Io e Riccardo ci uniamo alle cordate e iniziamo a scendere, per fortuna potendo usufruire di tracce di chi ci ha preceduto: ma oggi siamo solo noi. Occhiali da sole d'obbligo o si diventa cechi, altro che pugnette. Qualche indecisione sulla strada da prendere, ma sembra evidente si debba scendere li.
E siamo alle doppie: il caos. Troviamo l'ancoraggio buono, ma Gianluca si avventura in un camino e perde i guanti, Riccardo si fa calare ma non trova la sosta successiva, parapiglia, a un certo punto ci troviamo in sei persone su quattro cenge diverse. Alla fine ce la facciamo a scendere, e adesso è solo neve marciotta da ciaspola che scappa via verso valle!
Le nubi che salgono minacciose dalla valle di Molveno non mi piacciono, e cerco di andare avanti per trovare la strada prima che la nebbia ci avvolga: in realtà sarà inutile, perché la nebbia non calerà, meglio così. Mi fermo un attimo non vedendo più nessuno alle mie spalle, e contemplo la grandezza e la selvaggiosità del Brenta. Medito sul fatto che ci abbiamo fatto più giri quest'inverno che tutta la vita, strano.
Ecco Gianluca, nonostante sperassimo il rifugio Pedrotti fosse li dietro, non c'è. Ho già consultato la cartina, ma devo comunque convincere Gianluca che dobbiamo farci tutto quel traverso per aggirare Cima Brenta Bassa e arrivare alla Bocchetta Brenta, poi è fatta (circa). Inizio a vedere tutti i puntini corrispondenti a anime umanoide arrivare verso di me, riparto.
Il traverso in queste condizioni è infimo, meglio togliere le ciaspole, anche se si va giù un pochino. Dai, gli ultimi sforzi (mi autoilludo). La neve termina e ci ritroviamo sul sentiero, e questo porta fiducia sulla vicinanza del rifugio, che appare. Ahh.. Per me e Riccardo breve pausa, ho fretta di arrivare giù per due motivi: 1. non prendere il temporale (qui vicino abbiamo gli Sfulmini, e se si chiamano così..), 2. devo prendere un treno e bermi il Mojto sulla spiaggia. Chiedo le chiavi della macchina a Roberto e partiamo.
Passiamo sotto una parete che piscia acqua di continuo, e l'acqua è calda: quanto picchia il sole. Altri sforzi per vincere la Bocchetta Brenta e scolliniamo di la, dove ci lasciamo andare sulla neve pastosa. Non si vede la fine d questa discesa, ma ormai siam qui, e abbiam voglia di birra.
Vorremmo metterci in mutande per il caldo, fermarci a dormire e svaccarci, se avessimo della birra fresca nello zaino lo faremmo, ma i viveri vanno cercati nell'auto. Solo ora penso che da quando siamo partiti ho la corda nello zaino, a mo di zavorra morta visto che non l'ho nemmeno usata. Pazienza. Passiamo a lato della bestia domata, che nasconde la sua sommità in mezzo alle nuvole. Forse si vergogna di non averci dato abbastanza filo da torcere.. Brentei raggiunto, e una famigliola ci guarda come se fossimo dei marziani, bah.
La noia del non perdere quota subito, anzi, ci sono ancora salitelle da fare, e i piedi non sono entusiasti, già da più di 12 ore sorreggono il peso di corpo e zaino. Almeno all'andata era tutto buio e non abbiamo visto nulla, ciò da un sentore di novità al percorso e lo rende meno noioso. Voglio solo arrivare alla macchina, denudarmi e buttarmi nel ruscello.
Casinel, finalmente, ignorando la gente seduta ai tavoli e l'odore che posso emanare, faccio slalom tra la gente e mi abbevero alla fontana, ripartendo poco dopo temendo la difficoltà di ripartenza dopo una pausa all'ultimo km. Incrocio altra gente armata a tal punto da lasciare intendere che punti anche lei al Canalone Neri, ma loro stanotte dormiranno e spezzeranno la salita in due. Questo parcheggio non arriva più, poi finalmente eccolo!
Arrivo alla macchina, non faccio in tempo a contare fino a 5 e sono già in mutande, Riccardo mi ha raggiunto che dopo essersi cambiato corre sulla panchina a dormire, io a lavarmi i piedi nell'acqua gelata. Poi provo a dormire anche io, ma non ce la farò. Azzanniamo l'ottimo pane di Nicola. Dopo un'ora e mezza arrivano gli altri quattro, dai che tardi, il Mojto aspetta!
Saranno tutti felici quanto me per la giornata vissuta? Fieri per l'impresa compiuta? Frettolosi per il treno in partenza? In macchina dormiamo a turno, in tre si scambiano la guida, beviamo la birra di Roberto in macchina per non perdere tempo. Arriverò a casa in tempo per fare una doccia flash e volare in stazione, perdere il treno a Carpi, arrivare a Modena e constatare il ritardo del treno, salire, stare in piedi fino a Bologna, dormire poco, e a Cesena rimanere bloccato e perdere il portafoglio. Riuscirò ad andare a letto alle 3. Che giornata intensa, ma domani svacco totale in spiaggia.
Una tirata senza senso? Un alpinismo di forza ma poco contemplativo? Per me no. Una giornata vissuta fino all'osso, forse anche di più. più di 2000m di dislivello e 21km percorsi. Almeno per me, non sarà l'ultima nel suo genere. E ora ci sentiamo più pronti per nuove sfide. Ne è valsa la pena? Sì, come sempre.

Qui altre foto.
Qui video di vetta.
Qui relazione su on-ice.

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