mercoledì 14 agosto 2013

One Dream: Traversee Royale 2/3

Qui la giornata di ieri.

Colazione affollata. Ieri arrivati al rifugio sembravamo esserci solo noi, ma pian piano di persone ne sono arrivate un sacco. Mii che traffico troveremo. Ma che ce frega, di solito la Traversata dei Domes de Miage si fa nel verso contrario a quella che faremo noi per arrivare al Refuge Durier. Carmelo è il suo socio fanno il nostro percorso, ma non solo loro. Sembra che al Durier ci vada un casino di gente, sarà pieno. Ovvero, una scatoletta di acciughe piena. Speriamo non affogare nell'olio. 
Dai che si va, non fa freddo, ma scioccamente ieri non abbiamo fatto un giro di perlustrazione abbastanza lungo per vedere la salita. Tante lucine solcano la montagna, ma non dobbiamo seguire chi punta a metter piede sul ghiacciaio. A un bivio sento che la cosa giusta sarebbe andare a sinistra, chiedo a un francese che arriva, e stizzito mi risponde di sì, ma chi gli crede? Lo ha sol detto per troncare il discorso. Proprio un faccia di m.
Dai su di qua, mi sento alla grande. Saliamo seguendo le rocce e evitando la neve. Nonostante il non freddo la neve è dura dura. Poi sembriamo scorgere un pendio di neve che sale fino in alto, quindi cambio gomme, ramponi e via salire! Scelta azzeccata, li toglieremo solo per la parte alta della cresta de la Berangere.
Nessun bisogno di legarci, quindi saliamo separati, e in alto prendo il largo, anche perchè a stare fermo ad aspettare mi congelo anche il c. Tanto poi ci sarà da proseguire insieme, ma almeno così se sbaglio strada faccio in tempo a scendere ed evitare ai miei compagni una salita inutile.
Man mano che si sale lo spettacolo si fa grandioso. La luce illumina lentamente le montagne, la neve, il ghiaccio, la roccia. Tappeto di nuvole ai nostri piedi. Se oggi è così, domani come sarà?!
Tolgo i ramponi, ora sembra esserci solo roccia per salire alla Berangere. Mangiamo una banana, così marco alleggerisce il suo zaino. Salgo un po' e vedo che tocca rimettere i ramponi, c'è un traverso di neve. Che palle il togli-metti: allora Riccardo si inventa di salire per la cresta di roccia, esposta, alcuni tratti non proprio banali, ma almeno i ramponi restano appesi.
Riccardo prende il largo, su roccia il più forte di noi tre è lui, io e Marco lo raggiungiamo in vetta che il sole non è ancora spuntato: il gigante Bianco lo copre. E già un bel dislivello è stato salito. Ora ci aspetta (dopo una discesa di roccia e detriti) una cavalcata su cresta, non difficile, non affilata, ma mozzafiato, e con la costante visione della salita che ci aspetta domani. 
Ammetto che non siamo velocissimi, chi percorre il nostro stesso giro (considerando anche domani) non si vede più, ma non ci importa, non possiamo forzare. E in ogni caso, alla fine dei conti staremo nei tempi dettati dalla guida. E poi, perchè correre come pazzi quando sei mezzo a questa meraviglia della natura? Potenza calma e dormiente, bella, affascinante, silenziosa. “L'alpinisme, c'est comme caresser le joli museau d'un tigre endormi”.
Giunge il momento di ramponi e corda, mentre una tipa davanti a noi piscia in piedi (lunedì in un negozio a Chamonix avevamo trovato un gadget che dava questa possibilità al gentil sesso, ma mai mi sarei sognato di vederlo usare!). Una salita su pendio nevoso, e poi cavalcheremo i Domes.
E che cavalcata. Siamo contenti e felici, certe pose delle foto lo dimostrano. Neve e vento hanno giocato, si sono rincorse, inseguito la roccia sottostante e disegnato curve sinuose.
Iniziamo a incrociare le persone che fanno la traversata nel senso opposto. In certi tratti incrociarsi non è proprio gustoso, ma fa parte del gioco. Siamo ancora senza occhiali, e il sole ora è davvero potente. Ma anche il vento, e fermarsi vuol dire prendere del bello freddo, perciò optiamo per una pausa unica tra un po', appena troviamo troviamo riparo mangiamo pure. Non vogliamo commettere l'errore di mangiare e bere poco o nulla, e in questo modo essere più facile preda del mal di montagna. 
Poco sotto la cima dell'ultimo Domes, troviamo quello che cerchiamo. E intanto Riccardo litiga un po' con la bambola di corda. La sosta dura il minimo indispensabile, come siamo abituati a fare, meglio non perdere tempo. Ci aspetta l'ultima salita, poi discesa. E ben presto siamo in cima, ad ammirare tutto il bacino di Tre la Tete, la Bionassay, la sua cresta, quella delle Bosses, il Bianco e la sua faccia italiana. E alle spalle, la salita finora effettuata.
Già, solo discesa. Uno sguardo all'orologio ci fa pensare di essere molto in anticipo: vuoi che per scendere al Durier ci voglia tutto questo tempo? La foto della guida dava questa discesa anche bella innevata, si farà presto! Presto 'ste palle.
La cresta inizialmente è molto intuibile, non ci sono problemi nel trovare il passaggio. Resta comunque aerea ed esposta. Niente ramponi, se no ci mettiamo una vita. C'è da fare qualche bel tratto di arrampicata (un bel scavallamento pone a marco la domanda “Ma perchè mia mamma non mi ha dato 10cm di gamba in più?”), poi tocca rimettere i ramponi, poi il tratto un po' più ostico. Qui si che c'è da cercare, o meglio, una scelta vale l'altra, tanto sono tutti piatti messo uno sopra l'altro, pesti quello sbagliato e frana la pila.
Stiamo calmi, questa discesa che ci eravamo illusi esser rapida, sarà invece lunga. Forse la salita e discesa alla Barre des Ecrins ci ha dato quell'allenamento psicologico necessario a stare calmi e andare avanti.
Mmm, e ora da qui dove si va? Non mi sembra molto comodo. Ah ecco perchè, c'è un ancoraggio per una doppia! Ma i nostri 55m saranno abbastanza? Riteniamo più veloce una discesa in moulinette, anche perché così possiamo capire se la corda è sufficiente. O meglio, io ultimo saprò se lo è o meno. Scesi sia Riccardo che Marco, fiuu, la corda basta (d'altronde le guide parlano di 20m), e questo conforta anche la cordata che è appena arrivata alla catena.
Sarà finita ora? No, ce ne è ancora! Ci sleghiamo però, si capisce che tratti ostici sono finiti. Ci godiamo pure lo spettacolo del rifornimento viveri al Refuge Durier: via elicottero. In realtà è tutto il giorno che si sentono elicotteri intorno alla cima del Bianco, la cosa non mi piace. Osserviamo il ghiacciaio del Miage sotto di noi, che brutto: meno male non siamo saliti di li!
E finalmente al rifugio. Possiamo stenderci al sole su un masso come lucertole. Peccato per il vento, ma ciò non mi intimorisce dalla voglia di un bel topless. Stendiamo tutto, ma proprio tutto, il nostro materiale e vestiti ad asciugare. Un figurone.
“prendiamo una birra?” “no dai ragazzi, domani è una giornata pesa, stiamo tranquilli”. Tempo 2 minuti e ognuno di noi stringe nelle mani una lattina di bionda. Siamo al confine, il cellulare prende TIM se mi sporgo verso la Val Veny, perciò riesco a sentire un po' di amici, morosa, e Roberto, che ci rassicura sul fatto che la via del Tacul è aperta, gente sale e scende, ma la tragedia rimane.
Il Refuge Durier non può mancare nella vita di un alpinista. Un container con 18 posti letto (ma mi pare fossimo in di più, 22/24 se ricordo bene) incastrati su 2/3 piani a seconda della posizione, una cucina in angolo dove la tipa si districa benissimo, un tavolo centrale e una mensola su un “muro” dove al massimo si sta in 12, ovvero due turni per cena e due per colazione.
La cena pure buona, a dispetto della fama dei rifugi francesi (questo poi che è accessibile solo per elicottero e gestito da solo una ragazza..). Nel pomeriggio scambiando quattro chiacchiere con la ragazza, glielo avevo pure detto sinceramente. La sera mi sono dovuto smentire, e allora lei mi ha risposto “ma vedi, qui siamo il confine, il cesso è dalla parte francese (oddio, non andateci in quella baracchina), il rifugio da quella italiana”. Una davvero con le palle questa qui, ma di certo un po’ strana deve essere.
Carmelo ci ha fatto ridere tutto il giorno, siamo pure mezzi d'accordo che se scendiamo insieme magari ci da un passaggio alla macchina. Va beh, vedremo. Nutro la speranza di arrivare agli impianti trovandoli ancora aperti (domani è il 15 agosto, magari tengono aperto oltre la chiusura ufficiale per via della quantità di gente che ci sarà). Un po' perdo la speranza quando vengono concordati gli orari della colazione (e che bagarre solleva una tipa perché secondo lei è troppo tardi): 3e30.
Sotto di noi si è steso un tappeto di nubi, e ciò ci delizia con un tramonto fantastico. Marco immortala un camoscio famelico che lecca le rocce. Un ultimo sguardo alla Bionassay. Si va a letto, domani sarà lunga.

Qui altre foto.
Qui il report.
Qui la giornata di ieri e qui il seguito.

Nessun commento:

Posta un commento